Indagini sul suicidio

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Jon Konneri
00lunedì 27 dicembre 2010 12:53


Il Foglio,1 dicembre 2010

Annulla tutti i significati, ma non è senza significato. La fede, il materialismo, l’oriente estremo

di Francesco Agnoli


Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”: così scriveva Albert Camus nel “Mito di Sisifo”. Questa frase ritorna attuale oggi con il dibattito sull’eutanasia, che andrebbe a mio avviso affrontato, appunto, insieme al problema del suicidio (e a quello della disgregazione familiare e della solitudine, metafisica e quotidiana).

Non è infatti un caso che la richiesta di legalizzazione dell’eutanasia cresca con il crescere, nel nostro occidente, del ricorso agli anti depressivi e al suicidio. Recentemente l’Oms ricordava che nel 2000 sono morte per suicidio circa un milione di persone, ben più che in tante guerre e calamità messe insieme, mentre “negli ultimi 45 anni il tasso di suicidio è cresciuto del 65 per cento in tutto il mondo, in particolare tra i giovani”.

Uno psicoterapeuta come Viktor Frankl, che sperimentò la durezza del lager, disse che quando c’è un perché, tutti i come diventano sopportabili. Se so perché vivo, se la preziosità della vita mi è chiara, se la vita come dono è un’idea radicata, ogni circostanza, benché dura, diventa più facilmente tollerabile.

Scriveva ancora Frankl, il quale definiva il nostro tempo “l’epoca del vuoto esistenziale”: “Se una persona è riuscita a porre le basi del significato che essa cercava, allora è pronta a soffrire, a offrire sacrifici, a dare anche, se fosse necessario, la propria vita per amore di quel significato. Al contrario, se non esiste alcun significato del suo vivere, una persona tende a togliersi la vita ed è pronta a farlo anche se tutti i suoi bisogni, sotto ogni aspetto, sono stati soddisfatti”.
L’uomo è capace di adeguarsi a tutto, o quasi: solo che lo spirito sostenga il corpo, e se stesso; solo che lo spirito non sia ancora più debole del corpo. Se c’è un perché, tutti i come divengono più o meno sopportabili. E non vi è dubbio, a mio parere, che il perché vero sia solo e soltanto Dio, dal momento che tutti gli altri, in un momento o nell’altro, possono cedere. Un Dio personale che ci ha creato, che ci guarda e ci conosce e il cui amore rende preziosa ogni singola esistenza. Un Dio che manca ad esempio ai grandi popoli cinese e giapponese. Che, non a caso, hanno da secoli un triste primato dei suicidi.

leggi tutto www.fattisentire.org/modules.php?name=News&file=article&...
kelly70
00lunedì 27 dicembre 2010 14:18
La fede in Dio è sempre una cosa esterna all'uomo, che può venire a mancare in qualsiasi momento. Gli uomini non sono in grado di trovare IN SE STESSI una ragione o uno scopo per la vita e SI ILLUDONO di trovarlo in Dio.

Chi dice queste cose vi sta prendendo in giro, e soprattutto vi danneggia rendendovi psicologicamente deboli e dipendenti.

Aprite gli occhi una buona volta, non lo dicono certo per il vostro bene.

Credete in Dio!!!! Guardate quei poveri atei, si suicidano a decine...ma non sanno nemmeno che genere di atei sono. E se fossero ex credenti che hanno perso la fede per delusione?

[SM=g2407711]
Blumare369
00lunedì 27 dicembre 2010 16:11
Il suicidio è una indiretta forma di delusione su Dio. Scoprire nel momento del bisogno che Dio ti ha voltato le spalle (come potrebbe non farlo, dato che non esiste?) in taluno potrebbe scatenare una forma di sensazione di abbandono. Vedere che Dio non aiuta un figlio, per taluno è drammatico e il suicidio è a portata di mano. Il concetto di Dio è responsabile dei suicidi.

Un ateo difficilmente si suicida, perché sa di essere padrone solo di quel pò di vita e cerca di conservarsela. Invece chi cade nella prostrazione dell'abbandono perde la voglia di vivere e sio lascia morire. A Dio non basta uccidere direttamente ma sadicamente lascia che i deboli si tolgano la vita. Bel padre!
Max Cava
00lunedì 27 dicembre 2010 21:49

Questa frase ritorna attuale oggi con il dibattito sull’eutanasia, che andrebbe a mio avviso affrontato, appunto, insieme al problema del suicidio (e a quello della disgregazione familiare e della solitudine, metafisica e quotidiana).



Goffo tentativo di far "di tutte l'erbe un fascio".

[SM=g2407711]
nevio63
00sabato 1 gennaio 2011 00:49
Comunque vada:

Nessuno uscirà vivo di qui!

Jon Konneri
00sabato 1 gennaio 2011 12:31
Lo spot pro eutanasia che cambia le regole e si inventa l'uomo “fai da te”

di Carlo Bellieni
Tratto da Il Sussidiario.net il 15 novembre 2010


Spot tv dell’associazione Exitus per depenalizzare l’eutanasia: tanto scalpore, giuste critiche. Ma è sfuggito il messaggio vero (e terrificante) dello spot.


Già, parla di cambiare una legge, invece fa un’opera più forte, insinua un tarlo: che la vita è tutta solitudine. E l’ideale è: in questa solitudine fare “le scelte”. “La vita è una questione di scelte - dice il protagonista dello spot, un malato terminale -. Ho scelto di fare l'università, di sposare Tina, di avere due figli splendidi, ho scelto che macchine guidare. Quello che non ho scelto è di diventare un malato terminale".
Invece ripensiamo alla nostra vita: che ci piaccia o no è fatta soprattutto di cose che ci càpitano, non di cose che scegliamo noi. Cose belle o brutte, morti o innamoramenti, non li scegliamo, arrivano. Non mi sono fatto da me e non ho scelto di nascere, di nascere in Italia, di avere certi genitori e una certa predisposizione genetica a malattie o abilità mentali. E anche le scelte da adulti arrivano dopo l’impatto con una realtà, come risposa a provocazioni della realtà: io non sono chiuso in una cassa, solo con i miei pensieri dove scelgo come in un sogno solitario quale tipo di donna vorrei incontrare, quale tipo di lavoro vorrei fare, quale tipo di figlio voglio generare.
Insomma, la vita non è un mondo di carta che costruiamo noi: la vita ci supera, ci spiazza per definizione.
L’uomo ragionevole ne prende atto; e sa che solo una minima parte di quel che abbiamo davanti si può padroneggiare; e sa anche non giocare a essere padrone della realtà con la inevitabile conseguenza che al primo “discordante accento” tutto crolla e finisce nella disperazione.
Invece dire che “tutto è scelta” sembra ampliare le possibilità umane, è dire che la realtà che io non scelgo non deve esistere: dal figlio “imperfetto” a scuola o nell’utero; alla moglie che mostra di non essere perfetta e allora si pianta; al lavoro che appena ci si accorge che è più duro del previsto diventa profitto personale.
Giovanni Verga nella novella La roba, mostra il protagonista che, arrivando la morte e non accettando che le sue proprietà non lo seguano nella tomba, le incendia, uccide e distrugge: non rientravano nel suo disegno e dovevano perciò sparire.
Insomma, questo è il vero “tarlo” dello spot: la vita limitata a quello che noi vorremmo che fosse. Col corollario che sentiamo tutto quello che non abbiamo programmato come nemico.
Capiamo allora il messaggio diretto dello spot: l’apertura all’eutanasia. Che è figlia di questo tarlo: perché buona parte di coloro che chiedono di morire non sono persone in fin di vita, ma “scelgono” la morte per tristezza o solitudine, perché la vita tragicamente non corrisponde più ad un certo disegno o un determinato livello di vita.
Certo, di fronte al dolore e alla morte che incombe, anche un Titano cala le difese. Il problema qui è se lasciamo sola la persona o la mettiamo al primo posto nelle agende sociali e politiche, e nella nostra responsabilità personale. Perché è chiaro che la disperazione e la voglia di morire nasce dalla solitudine, non dal dolore: il dolore ha ottimi farmaci come risposta; la solitudine invece ha una sola risposta: l’incontro con una persona che aiuta a capire il senso di quello che sta avvenendo, che ti aiuta anche a curarti di te sopraffatto dall’angoscia e dalle lacrime.
L’idea che si sta affermando invece è che prendersi cura di persone così è tempo perso o una pena senza senso.
“Vuole morire? Che muoia”. Non sarà che l’eutanasia è voluta più per sollevare i familiari dalle cure del malato che per sollevare il malato stesso? Non sarà che spesso la gente chiede di morire per “non sentirsi di peso”?
Insomma, il tarlo suddetto non erode solo il diritto alla vita, ma soprattutto il “diritto alla cittadinanza”, dove chi è più debole è bene che si accomodi e non disturbi.


Anche il personaggio dello spot rimpiange il peso che è lui stesso per la sua famiglia, mostrando che sente la propria morte come una liberazione per loro. Ma siamo sicuri che le nostre famiglie sentano il padre malato e disabile come un peso?
Se è così, dobbiamo seriamente ripensare non all’eutanasia ma a come le nostre famiglie sono tragicamente malate (e come l’aiuto sociale sia purtroppo insufficiente).
Curiamo questo aspetto; avremo curato l’eutanasia
Blumare369
00sabato 1 gennaio 2011 22:52
C'è una cosa odiosa dei cattolici. Tanto odiosa che fa perfino piacere che ogni tanto ne facciano fuori qualcuno. Cos'è? E' la loro odiosa e insulsa ingerenza nei cazzi degli altri. Un cattolico crede che la vita appartenga a Dio e non passa loro per la testa che ci possano essere centinaia di milioni di persone che in Dio non credeno. Credono in un Dio inetto, impotente, feroce, nevrastenico, lunatico, farzesco che nulla può (ovviamente perché non esiste). Questi criminali delle coscienza, che in passato hanno trucidato milioni di persone, sterminato popoli, depredato templi e commesso ogni crimine vogliono perfino sindicare le scelte drammatiche di chi decide di spegnere le proprie sofferenze.

Un ateo non odia Dio, dato che sa bene non esistere. Odia l'idea di Dio che condiziona le coscienze nel popolo cattolico, che credendo in Dio commette abusi di ogni genere.

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