La Chiesa italiana e il dopo Ruini

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kelly70
00lunedì 12 maggio 2008 13:23


FRANCO GARELLI

I cambi della guardia a Roma non sono finiti. Dopo l’insediamento di Alemanno alla guida politica della capitale, un’altra poltrona è in attesa di un successore. Quella del Vicariato di Roma, una delle Diocesi più grandi del mondo, di cui è titolare il Papa. Dopo oltre vent’anni di governo di questa chiesa locale, il cardinal Ruini sta per lasciare la carica per raggiunti limiti di età. Per le stesse ragioni, un anno fa il porporato ha ceduto la guida della Conferenza episcopale italiana, di cui è stato il protagonista indiscusso per tre mandati consecutivi. Nonostante questi addii, Ruini non scompare dalla scena. Sia perché è una figura di grande rilievo, sia perché in ambito Cei continuerà a occuparsi di quel «Progetto culturale» da lui fortemente voluto per rinnovare il cattolicesimo italiano.

Questi cambi di scenario meritano una riflessione pubblica, per meglio capire il ruolo di Ruini in tutti questi anni e le sfide che attendono la Chiesa in Italia. Al di là delle polemiche «politiche», tutti riconoscono la finezza intellettuale di Ruini, insieme con la sua capacità di indirizzare la Chiesa italiana su importanti traguardi. Nei suoi vent’anni di governo, «don Camillo» ha profondamente trasformato la Cei, portandola - anche grazie alle risorse dell'8 per 1000 - da struttura artigianale a una grande organizzazione moderna.

La Chiesa italiana ha oggi una grande testa, una vera e propria struttura di governo, con tanto di «ministeri», commissioni, comitati, che si occupano dei molti campi in cui si articola la presenza cattolica nel Paese.

Con questa presidenza la Chiesa italiana tutta ha cambiato volto. Oggi la Cei ha il comando delle operazioni, interpreta le diverse stagioni, detta i tempi e i ritmi a tutto l’insieme. Non è sempre stato così. Nel passato, con i vescovi meno uniti e organizzati, la scena era dominata dagli Ordini e dalle Congregazioni religiose, il cui personale è ancor oggi tre-quattro volte più numeroso del clero diocesano. Gesuiti, Salesiani, Francescani e innumerevoli filiere di suore continuano a lavorare nel Paese, ma la loro presenza è sempre più afona o sotto traccia rispetto a una Chiesa centrale sempre più protagonista. Tra gli ordini religiosi e la chiesa delle diocesi si è dunque verificata una staffetta nella leadership della presenza religiosa nel Paese, con una Conferenza episcopale che ha assunto nel tempo un ruolo preminente.

È qui che è emersa la guida esperta del cardinal Ruini, la sua capacità di messa a punto del «motore» ecclesiale in un’epoca di grandi cambiamenti. La Chiesa negli ultimi anni si è molto impegnata per dar rilevanza pubblica alla religione, per contrastare lo strabismo di un Paese in cui il cattolicesimo è la cultura diffusa ma ha scarsa cittadinanza nell’immaginario collettivo, in particolare tra gli opinion leaders. I cattolici non devono soltanto lenire le ferite della gente, essere confinati nel ruolo del buon samaritano, venir apprezzati solo per il volontariato. Di qui la centralità della questione antropologica, l’accento sulla ricerca della verità, le battaglie sui temi cari ai cattolici (vita, famiglia, bioetica, educazione, ecc.), da parte di una Chiesa che esce dal proprio recinto per misurarsi col mondo della cultura e offrire le sue soluzioni per il bene comune. È anche puntando su questo impegno culturale che la Chiesa ha cercato di evitare la frammentazione del mondo cattolico dopo la fine dell’unità politica dei cattolici.

Il disegno di Ruini ha certamente dato nuova linfa alla Chiesa italiana e rianimato varie sue componenti, anche con la capacità di anticipare temi sensibili che toccano oggi la coscienza pubblica. Tuttavia, come tutti i progetti di rilievo ha lasciato per strada non poche zone d’ombra e perplessità. La svolta culturale e identitaria in atto nella Chiesa può destare qualche preoccupazione in quel cattolicesimo sociale che da sempre è molto radicato nel Paese. Chi opera a questo livello si è un po’ sentito ai margini di un interesse ecclesiale che tende oggi a privilegiare altri campi e impegni.

Inoltre, in questo nuovo corso, alcuni gruppi e associazioni cattoliche sembrano più a rimorchio delle idee della gerarchia che capaci di darvi il proprio apporto e coniugarle secondo la propria sensibilità. Ancora, si avverte un certo distacco tra l’elaborazione progettuale del vertice della Chiesa italiana e ciò che si vive e si sente nelle chiese locali, alle prese con altre istanze e questioni. Infine, il protagonismo della Chiesa nel dibattito pubblico avviene in una stagione in cui il cattolicesimo politico tocca il suo minimo storico, come le recenti elezioni hanno evidenziato. Parte del mondo cattolico è impegnato in battaglie pubbliche, ma rischia di perdere il contatto con la gente comune o la capacità di rappresentarla. Non mancano dunque le sfide per la Chiesa italiana del dopo Ruini. Forse si è aperta una stagione diversa, che richiede un nuovo leader che la sappia interpretare.


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