La Convivenza (in Italia)

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Claudio Cava
00venerdì 1 giugno 2007 21:21
UN PO’ DI STORIA

L’unione di due persone conviventi, non sancita dal matrimonio, è antica come il mondo. Tuttavia, quasi sempre questa particolare relazione ha avuto vita solo nell’ombra: spesso perseguitata, nella migliore delle ipotesi tollerata.


Solo nel XIX secolo, a opera principalmente di alcune letterate coraggiose, essa assume una rilevanza e una dignità propria, soprattutto nella veste di opposizione alle norme discriminatorie contenute nelle leggi matrimoniali che pongono il coniuge femminile in una condizione di generale subalternità. Le rivendicazioni a favore delle libere unioni si diffusero grandemente e, nel XX secolo, la legislazione della gran parte degli Stati del mondo occidentale ha sancito una quasi sostanziale equiparazione tra convivenza e matrimonio.


LA CONVIVENZA IN ITALIA

Nel nostro Paese la pesante influenza cattolica ha storicamente caratterizzato la legislazione italiana anche in questa materia: ad esempio, solo nel 1919 la donna sposata ottenne la piena capacità di agire e di disporre dei propri beni.


Per tutti gli anni ’50 il concubinato adulterino fu punibile per legge: mentre bisognerà attendere il 1955 perché dalle carte d’identità sparisse l’obbligo dell’indicazione della paternità (e di figlio di NN) e, addirittura, il 1975 affinché fosse concesso anche alla madre di esercitare la patria potestà sui minori. Nell’ambito di tale riforma del diritto di famiglia, tuttavia, si evitò accuratamente di normare la convivenza.


Oggi che tantissime coppie convivono, oggi che anche la pubblicità propone ripetutamente modelli di famiglia non tradizionale (e, come afferma un creativo, «essa si limita a registrare quello che avviene nella società»), ebbene, ancora oggi in Italia manca una legislazione sulla materia.



La politica sembra non coglierne l’importanza: solo recentemente, e non dappertutto, le convivenze hanno fatto capolino in alcuni bandi regionali per la concessione di alloggi in edilizia popolare, generalmente con un punteggio più basso rispetto alle coppie sposate perché la Costituzione dà priorità alla famiglia fondata sul matrimonio. Nell’inerzia del legislatore alcuni Comuni e Regioni hanno preso iniziative, anche di tipo economico, per il riconoscimento delle coppie di fatto. Nel giugno 2006 la Regione Puglia ha varato una legge regionale che estende i servizi sociali alle unioni di fatto e alle coppie gay.


STATISTICHE

Le coppie di fatto eterosessuali italiane sono, secondo fonte ISTAT, circa 555.000. Solo dieci anni prima erano praticamente la metà: 227.000.


Altre rilevazioni ISTAT (dicembre 2000), riportano che 893.000 matrimoni (il 4,6 per cento del totale) sono preceduti da una convivenza, ma la cifra non dà adeguatamente l’idea del cambiamento di costume intervenuto: solo il 2,5 per cento delle persone sposate prima del 1988 hanno fatto questa esperienza, contro il 12,8 di quelle convolate a nozze negli ultimissimi anni.


In Italia, su 100 coppie dai 16 ai 30 anni, le coppie di fatto sono il 6% (il 40% in Inghilterra, il 45% in Germania, il 46% in Francia).


Secondo un sondaggio del quotidiano la Repubblica del settembre 2005, il 64% della popolazione italiana è favorevole a riconoscere i diritti alle coppie non sposate.


LE TESI CATTOLICHE

Nonostante i sondaggi sfavorevoli, la posizione cattolica resta assolutamente intransigente: nessun riconoscimento per i conviventi né a livello governativo né a livello locale, in caso contrario lo scontro è totale, specialmente in Italia dove gli aut-aut del Vaticano vengono presi in seria considerazione.



Lo stanziamento di fondi a favore delle coppie di fatto da parte della Regione Lazio, ad esempio, è costata al suo presidente Piero Badaloni prima una violenta campagna di stampa da parte dell’Osservatore Romano e, in seguito, l’esplicito e decisivo appoggio delle gerarchie vaticane al suo rivale Francesco Storace nelle elezioni del 2000. È doveroso segnalare che, nel dicembre 2005, la nuova giunta regionale ha annunciato l’estensione alle coppie gay di alcune provvidenze economiche.



A ribadire il concetto, il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha prodotto il 26 luglio 2000 un documento intitolato Famiglia, matrimonio e unioni di fatto, con il quale i governi venivano esplicitamente sollecitati a cancellare le leggi, ove esistenti, a sostegno delle unioni civili. Le tesi sono sempre le stesse e «puzzano» di stantìo: «l’uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, ciò che è diverso come diverso […] Le unioni di fatto sono conseguenza di rapporti privati e su questo piano privato dovrebbero restare».



Il 26 gennaio 2003, il papa ha definito le unioni affettive diverse dal matrimonio «una caricatura della famiglia». Il 28 marzo 2007 la Conferenza Episcopale Italiana ha emesso una nota pastorale, ancora una volta estremamente chiusa a ogni riconoscimento delle unioni civili.



La linea è così chiara ed esplicita che c’è stato qualche parroco che si è addirittura rifiutato di battezzare il figlio di una coppia di fatto.


Non tutto il mondo cattolico è così monoliticamente ossessionato dalle coppie “peccaminose”: l’Azione Cattolica nel marzo del 2000, pur condannando la votazione del Parlamento europeo sulle coppie gay, ha ammesso che le tante richieste di legalizzazione sono la spia di una «situazione di sofferenza» a cui si dovrebbe «andare incontro».


LEGGI ITALIANE E DIRITTI NEGATI

Come già detto, in Italia manca una legge che disciplini l’argomento. Per di più, nel nostro paese ci troviamo alle prese con un testo costituzionale che, all’articolo 29, comma 1, recita: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»: interpretazioni riduttive da parte di esponenti cattolici vi hanno visto addirittura l’impossibilità del legislatore a intervenire sulle convivenze.



Ecco quindi che l’unico riconoscimento legislativo rimane il DPR 223/89 che stabilisce come, ai fini anagrafici, per famiglia si intenda anche la «comunità fondata su vincoli affettivi e caratterizzata dal rapporto di convivenza».



Nel vuoto legislativo, comunque, apre dei varchi anche la giurisprudenza, “costretta” dalla dimensione del fenomeno a intervenire laddove la Chiesa cattolica non vorrebbe. Diverse sentenze hanno quantomeno sancito la possibilità di non restituire quanto sia stato spontaneamente ricevuto dall’altro convivente. Tuttavia, ad esempio, l’abitazione della coppia, in caso di rottura, resta di proprietà di entrambi solo se nell’atto notarile sono espressamente indicati entrambi i nomi dei conviventi. Nell’aprile 2000 la Cassazione ha altresì riconosciuto il diritto di un lavoratore a ottenere dall’INAIL un indennizzo per un infortunio in cui era incorso sul tragitto lavoro-casa, laddove la casa era quella della propria compagna convivente. Una sentenza della Cassazione del gennaio 2006, infine, concernente un detenuto a cui è stato negato il patrocinio gratuito perché il reddito della convivente costituisce “reddito familiare”, ha sostenuto l’equiparabilità alla famiglia delle coppie di fatto.


Anche la Corte Costituzionale si è dovuta interessare alla convivenze con alcune sentenze: la numero 404 del 1988 ha esteso al convivente il diritto di successione nel canone di locazione, mentre la numero 372 del 1994 ha riconosciuto, in caso di uccisione del convivente, il c.d. danno morale subito al partner superstite.


Per quanto riguarda i figli non ci sono differenze tra famiglia legittima e famiglia di fatto, poiché dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 i figli legittimi e quelli naturali sono stati equiparati giuridicamente. Permangono tuttavia ancora alcune limitazioni: la famiglia legittima, ad esempio, ha il diritto di rifiutare di convivere con il figlio naturale di uno dei coniugi. Un altro elemento di discriminazione è dato dal fatto che i figli nati all’interno di una convivenza sono in rapporto giuridico solo con gli ascendenti - cioè i nonni e i bisnonni - e non, ad esempio, con gli zii e i cugini: e ciò è di particolare importanza dal punto di vista dell’eredità e dei rapporti patrimoniali. Qualora si interrompa la convivenza, il tribunale dei minori è competente sia per l’affidamento sia per il mantenimento (ovviamente, solo per quanto riguarda la prole).


Continuando a navigare a vista in attesa del “miracolo” di una legge, tanti sono i diritti negati ai conviventi. Ne elenchiamo alcuni:

non si può ottenere la pensione di reversibilità;
in caso di rottura, non si ha alcun diritto al mantenimento;
si può ereditare solo per testamento, fatta salva la quota legittima spettante ai parenti superstiti;
non è possibile scegliere il regime patrimoniale comune dei beni.

Al momento, quindi, per salvaguardare il partner svantaggiato non resta altro che stilare testamenti, oppure sottoscrivere polizze vita e pensionistiche.


Tuttavia, la legge n. 53/2000, recante Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, ha stabilito, all’art. 4, comma 1, che «la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto a un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica».


Il leader della coalizione di centrosinistra, Romano Prodi, si è dichiarato favorevole a una legge sulla falsariga dei PACS francesi. La presa di posizione ha incontrato l’immediato intervento contrario del cardinale Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Il programma elettorale dell’Unione, in proposito, riporta questa formulazione di compromesso: «L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un’unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà».



ADOZIONI DA PARTE DI COPPIE NON SPOSATE

Ai conviventi non è consentito adottare bambini.


Ciò può portare anche a conseguenze drammatiche: il 9 giugno 2000 un’ordinanza del giudice Francesca Ceroni ha costretto poliziotti e carabinieri a effettuare un blitz presso un casolare grossetano, allo scopo di sottrarre la piccola Martina alla coppia a cui era stata affidata per destinarla a una famiglia «in regola».


La nuova legge sulle adozioni, approvata in via definitiva il 12 marzo 2001, persevera nel vietare l’adozione ai conviventi, a meno che non convivano da tre anni e promettano di sposarsi.


Tutto a causa della contrarietà di alcuni ministri cattolici all’interno del Governo: e pensare che proprio il vescovo di Grosseto, commentando il caso di Martina, aveva tuonato contro la «giustizia farisea» che la sottraeva alla propria famiglia!


I REGISTRI PER LE UNIONI CIVILI

La legge 142/90 sulle autonomie locali ha portato una ventata di aria fresca: la concessione ai Comuni della potestà statutaria ha permesso ad alcuni municipî l’istituzione di un registro per le unioni civili. Non sono molti per ora e inoltre hanno contro la Chiesa che fa loro la guerra. Segnaliamo quindi quei meritorî comuni di nostra conoscenza che hanno portato avanti questa piccola proposta di libertà: Empoli (FI), il primo in assoluto nel 1993, Arezzo, Cogoleto (GE), Ferrara, Firenze, Perugia, Pisa, Rivoli (TO), Roma (municipio X), Sesto San Giovanni (MI), Tarquinia (VT), Torino, Voghera (PV), spesso a fronte di notevoli lotte con gli organismi regionali di controllo. Non tutti sono comunque al momento effettivamente operativi.


Il Comune di Montebruno (GE), un paese ligure di soli trecento abitanti, è andato anche più in là: ha consentito la registrazione pure a chi non è residente. Il suo sindaco Federico Marenco è stato più che esplicito: «voglio solo riparare a quella grave ingiustizia che l’Italia porta avanti contro le coppie non canoniche».


Il comune di Padova, nel dicembre 2006, ha adottato una mozione che riconosce le convivenze come “famiglie anagrafiche” e autorizza l'ufficio anagrafe a rilasciare certificati relativi allo stato di famiglia. Il provvedimento è stato oggetto di aspre critiche da parte del mondo cattolico.



COPPIE GAY

Le coppie gay soffrono, in Italia, della stessa mancanza di diritti delle coppie eterosessuali.


Se la Chiesa cattolica vede come il fumo negli occhi le convivenze eterosessuali, figuriamoci quelle omo: un documento della Congregazione per la dottrina della fede del 1992, dopo aver concesso che gli omosessuali sono «persone umane» come le altre, sostiene poi che «vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale […] a motivo di un comportamento esterno obbiettivamente disordinato».


Nell’ottobre 2000 un ennesimo documento ha giustificato la disparità di trattamento nei confronti di gay e lesbiche con la loro «oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita»: una tesi veramente insulsa poiché, secondo la loro logica contorta, della stessa discriminazione dovrebbero essere passibili le coppie eterosessuali sterili.



A oggi, in Italia, l’unico riconoscimento ottenuto è quello della possibilità di partecipare ai bandi per l’assegnazione di alloggi popolari (in prima fila il Comune di Bologna con una propria delibera del 1992).


Il 21 ottobre 2002 una coppia gay di Pisa è riuscita, grazie alla doppia cittadinanza di uno dei partner, a ufficializzare la propria relazione presso il consolato francese in Italia.


COSA SUCCEDE ALL’ESTERO

In quasi tutte le nazioni europee la convivenza è sancita e garantita da anni: i Paesi Bassi come al solito sono stati i primi, fin dal lontano 1580.


Tutte le nazioni scandinave, il Benelux, la Francia, la Germania, il Canada, e persino la cattolicissima Spagna hanno riconosciuto, con modalità variabili dalla convivenza al matrimonio, i diritti delle coppie gay.


Il 16 marzo 2000 una risoluzione del Parlamento europeo, approvata ad ampia maggioranza, ha chiesto ai quindici paesi dell’Unione di «porre fine agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni». Un invito, visto il gran numero di paesi già in regola, rivolto soprattutto alle poche nazioni rimaste indietro, l’Italia in primis. Il 15 gennaio 2003 l’Europarlamento ha ribadito queste tesi adottando una nuova risoluzione, con cui ha invitato ancora una volta paesi come l’Italia a dotarsi di una normativa adeguata.



PROPOSTE DI LEGGE

Un antesignano può essere considerato l’onorevole Salvatore Morelli che, nel 1867, presentò una proposta di legge volta quantomeno a equiparare diritti e doveri dei coniugi, dall’eloquente titolo Abolizione della schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna, accordando alla donna i diritti civili e politici, mai discussa, ovviamente.



In tempi più recenti diversi progetti di legge sono stati presentati, a partire dagli anni ’80, rimanendo purtroppo sempre senza esito, nonostante abbiano raccolto un sostegno trasversale da esponenti di diversi partiti (per le proposte avanzate nella XV legislatura consulta l’Osservatorio Parlamentare).



Durante la XIII legislatura (1996-2001), le ministre per le Pari Opportunità Laura Balbo e Katia Bellillo elaborarono la bozza di un disegno di legge col quale rendere validi i patti tra conviventi circa la divisione dei beni. Il provvedimento, però, non è mai nemmeno giunto in discussione al Consiglio dei Ministri a causa dell’ostinata opposizione di Patrizia Toia, ministro per i Rapporti con il Parlamento.


Nella primavera 2002, invece, il ministro del welfare Roberto Maroni (Lega Nord) ha manifestato l’intenzione di concedere sgravi fiscali alle giovani coppie, «solo se sposate», suscitando l’incondizionato plauso dei vescovi.


Il programma della coalizione di centrosinistra, uscita vincitrice dalle consultazioni politiche dell’aprile 2006, prevede la proposta del «riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto. Al fine di definire natura e qualità di un’unione di fatto, non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale. Va considerato piuttosto, quale criterio qualificante, il sistema di relazioni (sentimentali, assistenziali e di solidarietà), la loro stabilità e volontarietà».



L’8 febbraio 2007 il Consiglio dei Ministri, su proposta delle ministre Bindi e Pollastrini, ha approvato un disegno di legge in merito. Il provvedimento non spicca certo per la sua radicalità: sembra piuttosto contenere il minimo indispensabile per ottenere l’appoggio dei teodem (Binetti, Bobba, ecc) che fanno parte della maggioranza di governo. Ciononostante, forti critiche si sono levate dal mondo cattolico.



L’articolato è stato inviato al Parlamento per la discussione nelle commissioni e poi in aula. Nel frattempo, però, il progetto è uscito dai dodici punti programmatici del governo Prodi. Contro l’adozione di tale provvedimento il mondo cattolico ha organizzato il 12 maggio 2007 una grande manifestazione in piazza san Giovanni a Roma.


DOCUMENTAZIONE SULL’ARGOMENTO
Fabiana Carleo. La famiglia di fatto. Diritti e doveri dei conviventi. Finanze & Lavoro, 1999.
Una guida completa alla giurisprudenza sulle unioni civili;
Daniela D’Anna. Matrimonio omosessuale. Erre Emme Edizioni, 1997.
Corposa e completa ricerca sulla materia, ricca di documentazione soprattutto per quanto riguarda le esperienze all’estero, e con un franco resoconto delle discussioni che attraversano il movimento gay tra chi rifiuta in toto l’idea di qualsiasi forma di registrazione e chi, invece, combatte per il riconoscimento dell’unione e/o la possibilità di sposarsi.

Ultimo aggiornamento: 16 maggio 2007

www.uaar.it/laicita/convivenza/
kelly70
00sabato 2 giugno 2007 11:49
Re:

Scritto da: Claudio Cava 01/06/2007 21.21
Nel giugno 2006 la Regione Puglia ha varato una legge regionale che estende i servizi sociali alle unioni di fatto e alle coppie gay.






Questo punto merita una piccola postilla:

Non è la regione Puglia ad essere particolarmente all'avanguardia...anzi [SM=x789054]

Tutto questo è dovuto al fatto che il presidente della regione,Niki Vendola, è dichiaratamente gay. [SM=x789063]

Onore al merito però perchè è riuscito a farlo con una maggioranza quasi inesistente [SM=x789053]


L'ex Presidente Raffaele Fitto non l'avrebbe mai fatto...


Ciao

[SM=x789056]
=omegabible=
00sabato 2 giugno 2007 12:46
re x Kelly
Sei fortissima ed unica. !!!!! [SM=x789057] omega [SM=x789054] [SM=x789056]
)lullaby(
00sabato 2 giugno 2007 15:07
Re: Re:

Scritto da: kelly70 02/06/2007 11.49




Non è la regione Puglia ad essere particolarmente all'avanguardia...anzi [SM=x789054]

Tutto questo è dovuto al fatto che il presidente della regione,Niki Vendola, è dichiaratamente gay. [SM=x789063]



Grazie per la precisazione kelly, in effetti ho trovato molto strana la cosa , considerando la mentalità del sud.
kelly70
00sabato 2 giugno 2007 15:51
Re: Re: Re:

Scritto da: )lullaby( 02/06/2007 15.07
Grazie per la precisazione kelly, in effetti ho trovato molto strana la cosa , considerando la mentalità del sud.



Già il fatto che abbia vinto le elezioni è stupefacente.

Ma temo che non durerà...

Comunque vale la pena vederlo [SM=x789048]

Fatevi gli occhi QUI e seguenti

Ma non fate come le Ratzifan mi raccomando [SM=x789065]

La Madre Badessa [SM=x789056]

[Modificato da kelly70 02/06/2007 16.11]

)lullaby(
00sabato 2 giugno 2007 16:18
ah..è lui!
già visto credo in tv ma non ricordo in quale occasione .
pyccolo
00sabato 2 giugno 2007 19:29
"Nel giugno 2006 la Regione Puglia ha varato una legge regionale che estende i servizi sociali alle unioni di fatto e alle coppie gay."

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Questa frase è secondo me viziatissima.

Bastava dire: " Nel giugno 2006 la Regione Puglia ha varato una legge regionale che estende i servizi sociali alle unioni di fatto"...
difatti cosa ci azzecca quel "...e alle coppie gay."???

Le unioni di fatto comprendono le coppie gay, perciò perchè distinguerle?
Secondo me non c'è la volontà di regolare la semplice e pura convivenza, ma quella di dar risalto alla natura sessuale delle convivenze...questo non mi trova d'accordo (nella maniera più assoluta).
A me non importa un fico secco che una coppia sia gay, così come non mi importa che sia bisex o etero, ma m'importa che venga riconosciuto il diritto alla convivenza come atto fine a se stesso, ovvero che non abbia nulla da spartire con le varie forme di orientamenti, che dovrebbero essere relegati nel vissuto privato di ciascuno.

Forse non sono stato sufficientemente chiaro...se così dovesse essere liberi di chiedere chiarimenti.

Pyccolo



Max Cava
00domenica 3 giugno 2007 13:28


Signori,

quando in Italia si parla di convivenza, sembra quasi che si parli di....connivenza.

Ho convissuto per 15 anni. Nessuno é mai venuto a dirmi qual terrificante peccato stavo commettendo e neanche per un secondo mi sono sentito discriminato.
Sarebbe interessante sapere in quale percentuale divorziano le coppie che prima del matrimonio non convivono, e le altre.
Io mi butto e forse faccio una brutta figura.

I divorzi tra le coppie che non convivono sono percentualmente del, come minimo, 40% più frequenti.

Massimo [SM=x789063]

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