Laicismo e Persecuzione

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pcerini
00mercoledì 30 gennaio 2008 18:16
Per chi fosse interessato ad una lettura per così dire filosofica sul laicismo,pongo un'estratto dal link www.inschibboleth.org/Pagina9.3_files/CICC.pdf


E' una lettura breve ma un po' impegnativa,per chi ha la pazienza di leggere.

L'autore tenti di dare una giustificazione dell'atteggiamento laicista,del perche' si assume un'atteggiamento laicista.

Buona lettura

Laicismo e persecuzione.
Sulle ragioni dei laicidi Pierpaolo Ciccarelli1.

È nota l’opinione di alcuni cattolici secondo cui, nel mondo “secolariz-zato”, i credenti sarebbero oggetto di una persecuzione. Non mi riferisco al fatto, riguardo al quale non sussiste ovviamente controversia, che in alcuni paesi i cristiani cadono vittima dell’intolleranza. Mi riferisco a un’altra tesi, contestata da una parte degli stessi cattolici, secondo cui chi oggi è credente si sente discriminato rispetto a coloro che, non essendo credenti, si trovano perfettamente a loro agio a vivere in un mondo – come si dice – “senza Dio”. Sul fatto che le cose stiano effettivamente così, i pareri sono ovviamente di-scordi. Da parte laica, infatti, non mancano coloro che lamentano proprio il contrario: oggi sarebbe in atto, non già una nuova persecuzione dei cristiani, ma un’offensiva della Chiesa cattolica contro le istituzioni laiche. Anche da parte laica, dunque, si avverte un clima di persecuzione. Questa controversia tra laici (o, come gli avversari li definiscono in tono reprobativo, “laicisti”) e cattolici mi sembra alquanto pretestuosa. Non voglio quindi entrarvi per dirimerla in un senso o nell’altro. Mi interessa, piuttosto, prenderla come spunto per riflettere sul rapporto tra il “laicismo” (o la “laicità”, mi si con-senta di prendere i termini come semanticamente equivalenti) e il fenomeno della “persecuzione”: una questione su cui tanto ai laici quanto ai cattolici, o – onde evitare clichés – a tutti coloro che sono interessati a capire le ragioni del proprio modo di vivere e di pensare, converrà fare chiarezza.����������
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C’è un nesso tra laicismo e persecuzione? Il passato ci dà al riguardo un’indi-cazione chiara: la persecuzione ha costituito storicamente il motivo per cui è sorto il laicismo. Subito, però, si presenta una difficoltà dovuta alla differenza prospettica che inevitabilmente si frappone tra il nostro presente e il passato. Oggi, infatti, la parola “laico” è intesa dal parlante di lingua italiana come sinonimo di “secolare”, “profano”, “aconfessionale”, dunque come il con-trario di “religioso”. Ne segue che, osservato nella prospettiva del presente, il passato si mostra aggrovigliato, denso, non lineare. Nel corso della storia, infatti, ad esser perseguitati sono stati tanto coloro che facevano professione di fede cristiana, quanto coloro che, in nome di un’altra fede, o di un diver-so sentimento della medesima fede, o dell’ateismo, si opponevano ai dogmi di chiesa. Nel suo non lineare, non geometrico sviluppo, quindi, la storia ci presenta la religione come una causa sia del laicismo sia della persecuzione. A voler “attualizzare” il passato – come sovente si esorta a fare –, si corre in realtà il rischio di cadere in anacronismi, i quali, più che a chiarire, con-tribuiscono a rendere confuso che cosa sia propriamente “attuale”. È forse meglio, allora, cominciare con il marcare la distanza, più che la prossimità, tra il nostro tempo e quello trascorso. È preferibile, cioè, riferirsi al passato non per attualizzarlo, ma, al contrario, per mettere scompiglio tra le certezze del senso comune di cui il linguaggio è il principale veicolo. In questo caso, lo sguardo sul passato ci induce, più in particolare, a dubitare del fatto che il significato della parola “laicismo” possa essere esaurientemente compreso opponendolo a quello di “religioso”. Vacilla, in altre parole, l’ovvietà dell’an-tonimia laico/religioso (e dunque anche laico/cattolico). Con ciò, però, non si può ancora dire che le cose risultino chiare. Posto, cioè, che l’atteggiamen-to laico non possa essere definito semplicemente contrapponendolo a quello religioso, che cos’è, propriamente il laicismo? A chi o a che cosa si oppone il laico? Vorrei qui argomentare la tesi che l’opposto dell’atteggiamento laico non è quello religioso, ma l’atteggiamento persecutorio. Occorre, però, fare una precisazione riguardo al quadro generale in cui svolgerò il mio ragiona-mento. Il dibattito pubblico sul tema del laicismo si colloca per lo più entro un qua-dro esclusivamente culturale. Per far capire che cosa intendo dire, menziono un caso che mi sembra emblematico. In una raccolta di scritti, pubblicata nel 2005 da Laterza con l’allettante titolo Le ragioni dei laici, leggiamo, tra gli altri, due pregevoli ed istruttivi saggi, uno di Vincenzo Ferrone, l’altro del compianto Pietro Scoppola, nei quali vengono avanzate due tesi storiogra-fiche molto diverse. Ferrone argomenta la tesi espressa già nel titolo del suo intervento, “le radici illuministiche della libertà religiosa” (p. 57), e critica quegli storici cattolici secondo i quali il dualismo evangelico Dio/Cesare e il diniego opposto dai primi cristiani al culto dell’imperatore avrebbero avviato quel processo di desacralizzazione del potere che ha reso possibile il laicismo. Proprio a queste tesi storiografiche aderisce invece apertamente Scoppola, per il quale “la laicità ha nel cristianesimo le sue radici e le sue ragioni pro-fonde” (p. 115). La diversità, se non addirittura l’antitesi tra questi due saggi, ovviamente, non stupisce, giacché il proposito del volume in cui essi appaio-no è, come indica il titolo, quello di mettere in evidenza le “ragioni dei laici”, al plurale. Anzi, è proprio questa diversità a renderne stimolante la lettura, giacché i dissensi storiografici restituiscono al meglio il volto mai lineare e geometrico della storia. Mi guardo dunque dal pretendere che si decida una volta per tutte chi dei due abbia ragione. Né sono in possesso di competenze tali da consentirmi di discutere proficuamente singoli passaggi ����������
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dell’uno o l’altro saggio.La lettura di questi scritti, però, mi induce a una considerazione. Una con-siderazione che riguarda, non tanto il loro disaccordo, quanto il piano sul quale essi mostrano tacitamente di concordare. L’accordo sta, per così dire, nel “metodo” con cui, non soltanto in questo volume ma in tanti altri in-terventi del dibattito pubblico, è affrontata la questione delle “ragioni dei laici”: il metodo dell’indagine storico-culturale. Si dà cioè per scontato che il laicismo consista essenzialmente in una dottrina sulla base della quale si è formata nel corso del tempo una determinata forma mentis culturale. Laico è dunque chi condivide tale dottrina, non laico invece chi la nega. Da questo presupposto di fondo muove tanto chi va alla ricerca della radice illuministi-ca del laicismo quanto chi, invece, ne rintraccia le fonti primarie nell’insegna-mento evangelico. Da questo presupposto – si badi – muovono anche coloro che, ostili al laicismo, ne segnalano la pericolosa affinità con il “nichilismo”, ossia – di nuovo – con la cultura del “relativismo”, dell’”agnosticismo”, del-l’”indifferentismo” morale e via dicendo. Indipendentemente, dunque, dalla valutazione a cui per tale via si giunge, si dà luogo ad una sorta di stilizzazione intellettualistica dell’atteggiamento laico: quasi che essere laico significasse anzitutto tirarsi dietro un bagaglio culturale, avere nella testa un insieme di rappresentazioni, idee, dottrine e precetti da applicare nelle diverse circo-stanze della vita pratica. Il non laico sarà di conseguenza chi ha un altro ba-gaglio culturale dal quale, all’occorrenza, tirerà fuori altre rappresentazioni, idee, dottrine e precetti. Non intendo qui certo negare la possibilità di caratterizzare il laicismo e il suo contrario all’interno di una siffatta prospettiva storico-culturale. Ne com-prendo anche l’immediato vantaggio pratico: l’accertamento del possesso, o del non possesso, di certi requisiti culturali è uno strumento utilissimo sul piano della polemica ideologica. Senonché, collocandosi esclusivamente in questa prospettiva si rischia di omettere quello che, per chi non è impegnato o non trova interessante impegnarsi in polemiche ideologiche, è invece di sommo interesse capire. Si omette cioè di porsi, e di provare a rispondere alla domanda cruciale: per quale motivo i laici sono laici? Sono laici perché hanno letto Voltaire? Oppure perché hanno udito a messa che si deve “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”? O perché – come modestamente suggerirei qualora dovessi svolgere il mio discorso su questo piano –, avendo preso contatto con il pensiero greco, hanno inteso la diffe-renza di principio tra physis e nomos? Non è difficile capire che risposte di questo genere sono elusive, tradiscono che, in realtà, non si prende sul serio la domanda. Eppure, la domanda è seria. Oserei quasi dire che è l’unica do-manda a cui dovrebbe essere interessato un partito politico che voglia fare del laicismo un valore fondante. Vorrei dunque provare a prendere sul serio la questione cominciando con una distinzione. Alla domanda sulle “ragioni del laici” si può rispondere in due modi diversi. Un modo è quello appena esemplificato: l’indagine del-l’origine storica, ossia delle cause culturali di quell’insieme di principi che possiamo catalogare come “laici”. Un altro modo di rispondere consiste in-vece nell’intendere, non l’origine, ma la genesi dell’atteggiamento laico. In questa diversa prospettiva, quello che appare decisivo capire è il motivo per il quale si rende ad un certo punto praticamente necessario assumere tale atteggiamento. Si tratta dunque di intendere il senso del laicismo e non il suo contenuto dottrinale. Nessuno di questi due “metodi” possiede la virtù ����������
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che, con evidente ossimoro, si suole denominare “forza della ragione”: né l’una né l’altra via riusciranno cioè mai a costringere qualcuno ad essere laico. Entrambe possono, al massimo, ambire a chiarire il problema del laicismo, a preparare cioè il terreno del concreto agire pratico-politico. A mio avviso, però, tra i due metodi o prospettive c’è una significativa differenza. Il me-todo storico-culturale, muovendo dal presupposto che il laicismo consista essenzialmente in una dottrina (o anche in un insieme composito di princi-pi dottrinali), prospetterà necessariamente il laicismo come un problema di scelte dottrinali. Il suo è, di conseguenza, un chiarimento che prepara ad una adesione ideologica. L’indagine sulla genesi dell’atteggiamento laico intende invece essere qualcosa di diverso. Essa vuole chiarire, non già quale sia la dottrina più laica, bensì quale sia l’atteggiamento che fa sì che una determi-nata dottrina venga vissuta laicamente. 2. Dunque, laicismo e persecuzione. Che si abbia in mente la persecuzione di cui i primi cristiani sono stati oggetto in epoca imperiale, o l’inquisizione cattolica o – per fare un esempio contemporaneo – l’efferata uccisione in Olanda del regista Theo Vang Gogh, sempre e comunque ci si impone un dato: la persecuzione è una reazione a qualcosa che viene avvertito come una minaccia. Occorre qui fare lo sforzo, per quanto ciò possa risultare penoso e contrario alle nostre più intime convinzioni, di collocarsi nella prospettiva dei persecutori. I primi cristiani, il loro credo e il loro rifiuto di eseguire gli atti di culto nei confronti dell’imperatore furono avvertiti dai romani come una minaccia sociale e ciò ne motivò la cruenta repressione. L’adesione alle tesi copernicane da parte di Galileo faceva vacillare l’autorità della rivelazione e questo indusse il Sant’Uffizio a incriminarlo e condannarlo all’abiura. La denuncia dell’oppressione a cui sono costrette le donne nel mondo islamico nel cortometraggio Submission ha offeso gli integralisti islamici ed è questa offesa ad aver armato la mano dello spietato esecutore di Van Gogh. La persecuzione non è dunque soltanto un atto di sopraffazione, ma è, più pre-cisamente, sopraffazione in difesa di un valore. Questo ci induce a riflettere su una proprietà caratteristica di ciò che chiamiamo “valore”: ogni valore ha una natura oppositiva. Il fatto che si possa arrivare a difendere un valore, ac-cada ciò con le armi o anche soltanto con la penna, è dovuto alla natura stessa di ogni valore in quanto tale: ogni valore si oppone a un disvalore. Non si può credere in qualcosa se non opponendosi al credo opposto. Il “porgi l’altra guancia” evangelico è, al proposito, paradigmatico: nel prospettare l’amore come reazione alla violenza esso esprime in modo icastico la carica oppositiva del valore cristiano della carità. Che la reazione prescritta qui alla violenza sia, non la violenza, ma l’amore, non ne diminuisce il senso di reazione, ossia di azione “contraria”, dunque “opposta” ad un’altra azione. Si pensi, al pro-posito, all’atto d’amore (un bacio) con il quale, nelle grandi pagine dei Fratel-li Karamazov di Dostoevskij, Gesù reagisce alla condanna a morte inflittagli dal Grande Inquisitore. La domanda centrale, a questo punto, è: posto che la credenza in un valore ha una natura oppositiva o reattiva, che rapporto c’è tra forza e valore? Che rapporto c’è, cioè, tra il prevalere di fatto di un valore su un altro valore (con la forza, sia questa di natura coercitiva o soltanto persuasiva) e l’attitudine di ogni valore a contrapporsi ad un disvalore? Non è facile rispondere. Da un lato, infatti, è evidente che l’opporsi di un valore al valore contrario non è ancora il suo prevalere di fatto su questo. D’altro canto, però, l’analogia tra le due situazioni è evidente. La credenza in un valore implica infatti la ����������
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volontà di renderlo effettivo e ciò non può evidentemente avvenire altrimenti che facendolo prevalere sul valore opposto. Detto in altri termini: la “fede” in un valore o – per usare un’espressione più consona al linguaggio laico – l’”impegno” nei suoi confronti ha un senso pratico e non soltanto teorico. Certo, si possono rendere i valori oggetto di considerazione teorica, come io stesso sto facendo in questo momento, oppure come fanno tutti coloro che ne ricercano le radici storico-culturali in una determinata tradizione. Ma, a ben guardare, nell’atto stesso in cui consideriamo così i valori ne neutra-lizziamo o, per così dire, ne ‘disinneschiamo’ la carica oppositiva. Dal pro-grammatico sine ira et studio di Tacito fino alla tesi weberiana del carattere avalutativo della scienza, è stato da sempre evidente che lo sguardo teorico, o quello storico, per potersi esercitare, deve necessariamente sottrarsi al ‘cam-po di tensione’ in cui ogni valore si trova per sua natura collocato. Ma questa evidenza, lungi dal risolvere la difficoltà, la rende ancor più drammatica. La neutralizzazione dei valori li rende infatti inaccessibili nel loro senso più pro-prio. Il linguaggio di chi contempla i valori (o ne studia l’origine storica) non è il linguaggio della “fede” o dell’”impegno”. Di qui, l’incomprensione tra gli uni e gli altri o l’incoerenza in cui spesso cade chi avverte in sé entrambe le esigenze, quella dello studioso e quella dell’uomo di fede o engagé. Soffermiamoci ora a guardare il quadro che questa breve riflessione ci sta presentando. Il valore appare collocato in una sorta di spazio intermedio tra la forza e la teoria. Credere o impegnarsi per un valore non è il puro e sempli-ce atto, violento o non violento, mediante il quale riusciamo a farlo prevalere su quello contro cui si volge il nostro impegno. Né, però, è una semplice e indifferente constatazione circa il sussistere di uno stato di cose. Propongo di chiamare questo spazio intermedio tra forza e teoria, che viene qui ad occu-pare il valore, spazio assiologico. Si tratta cioè del luogo proprio del discorso (logos) che riguarda ciò che è degno (aksios), valido. Si faccia però attenzione alla diversità dello spazio assiologico rispetto, da un lato, allo spazio teorico e, dall’altro, a quello della forza. Tutti e tre sono spazi discorsivi, sono cioè abi-tati dal logos, e in tutti e tre rientra il valore. La forza può configurarsi, oltre che come violenza bruta, anche come discorso persuasivo oppure, come ac-cade nella sfera propriamente giuridica, come prescrizione normativa dotata di forza coercitiva. La teoria può essere anch’essa assiologica, ossia discorso “dei” valori, ma nel senso soltanto oggettivo di questo genitivo: i valori sono l’oggetto del discorso, il quale, da parte sua non ha la connotazione oppo-sitiva del valore, è cioè, come ho detto, avalutativo. Nettamente diversa è l’”assio-logia”, vale a dire, la manifestazione discorsiva dei valori che accade nello spazio assiologico: qui l’espressione discorsiva, per così dire, fa tutt’uno con il valore che in essa si manifesta. Ciò implica, però, una conseguenza: l’assiologia è intrinsecamente “anti-logia”, “discorso” (logos) che è “contro” (anti) un altro discorso, così come ogni valore si oppone a quello che, nel suo ambito, appare come il disvalore. Torniamo ora ai nostri esempi di persecuzione che, come abbiamo ipotizzato, motivano l’atteggiamento laico. Per intendere questo nesso di motivazione, però, dobbiamo fare uno sforzo a cui probabilmente sono di ostacolo le nostre più radicate convinzioni morali. Occorre vedere nella persecuzione, non soltanto quella che, di fatto, essa anche è, ossia una espressione della for-za, anzi, come tristemente attesta la storia, della violenza bruta. Intesa come espressione della forza, infatti, la persecuzione non è necessariamente qual-cosa di opposto al laicismo. Per quanto le odierne lamentele di taluni cattolici circa la discriminazione dei ����������
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credenti ci possano apparire inverosimili, esagerate, puramente strumentali, non c’è dubbio sul fatto che, in nome del laicismo, così come in nome di qual-siasi valore, si possano imprendere crociate persecutorie. Basti l’esempio sto-rico della persecuzione dei comunisti negli Stati Uniti d’America propugnata dal senatore McCarthy in difesa dei valori democratici e liberali; oppure la “guerra preventiva” mossa oggi contro i regimi teocratici dal governo degli Stati Uniti d’America al fine di “esportare” la democrazia. Al proposito, a mio avviso, è fuorviante replicare distinguendo tra “laicità” (o laicismo buono) e “laicismo” cattivo (o oltranzista). La distinzione che va fatta è invece quella che ci suggerisce il “realismo politico”: tra laicismo-valore e laicismo-forza. Quest’ultimo può esprimersi in un ordinamento giuridico liberal-democra-tico, ma anche in un atto di guerra (si pensi all’offensiva degli Alleati contro il nazismo). Allo stesso modo, occorre distinguere tra persecuzione-valore (o spirito persecutorio) e persecuzione-forza (il martirio dei primi cristiani, i roghi degli eretici, i processi staliniani contro i presunti “nemici del popolo” oppure il bando dagli uffici pubblici di tutti coloro che non avevano la tessera del partito fascista ecc.). Sul piano della forza può ben accadere quello che attestano gli esempi appena richiamati del maccartismo e dell’odierna guerra in Medio-oriente, ossia che il laicismo si configuri come persecuzione.Soltanto se teniamo distinte le due dimensioni, quella del valore da quella del-la forza in cui ogni valore prima o poi inesorabilmente si traduce, riusciamo ad intendere quello che ho chiamato il nesso di motivazione tra persecuzione e laicismo. Occorre cioè osservare persecuzione e laicismo nella loro appar-tenenza, non alla dimensione della forza, ma a quella assiologica, e quindi “antilogica” (nel senso prima chiarito). Osservandoli così, ci accorgiamo, non soltanto che essi appartengono allo spazio assiologico, ma che la loro oppo-sizione riguarda proprio questo stesso spazio assiologico. La persecuzione – intesa, ripeto, come valore – è quell’atteggiamento che avverte l’esistenza dello spazio assiologico come un pericolo. Di conseguenza, allorché si con-cretizza nella dimensione della forza, la persecuzione assume la forma della limitazione o, nei casi peggiori, dell’annientamento della possibilità che sus-sista e si svolga l’antilogia, ossia il contrapporsi dei diversi valori nella sfera assiologica. Ad attestarlo è una peculiarità che si rivela ad una osservazione attenta del fenomeno della persecuzione. L’interesse primario dei persecutori non è rivolto ai comportamenti esterni, bensì alle “coscienze”, ossia a quello che nella tradizione giusnaturalistica moderna (ad esempio in Pufendorf) è chiamato forum internum per distinguerlo dal “foro esterno”, ossia dai com-portamenti osservabili di cui soltanto è competente il diritto. È infatti nel cosiddetto “esame di coscienza”, ossia in quel momento che precede il nostro agire concreto, che avvertiamo con maggiore vivezza il carattere oppositivo, anti-logico, “eristico” (dal greco erizein, “contendere”) dei valori. La “co-scienza morale” è per antonomasia il luogo della discordia tra i diversi prin-cipi che avanzano la pretesa di condurci. Una contesa che si suole chiamare “dramma della scelta”: denominazione, a ben vedere, del tutto fuorviante, giacché, in realtà, la contrapposizione che ha luogo nella coscienza morale non è ancora il “dramma” vero e proprio (dal greco drama, “azione”) ma è l’esitare tra possibilità di agire in un modo o nell’altro. Esitazione che è tanto poco l’azione da poterne invece essere la paralisi. L’aspetto sconcertante della persecuzione sta, a ben vedere, proprio qui: poiché ciò che viene incriminato non è un comportamento, ma soltanto la coscienza o le “intenzioni”, agli occhi del persecutore non fa alcuna differenza se l’accusato abbia di fatto compiuto o no una determinata azione. Sono da menzionare, al proposito, le straordinarie e dolorose pagine del romanzo di Arthur Koestler, Buio a mez����������
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zogiorno: il crimine del protagonista, vittima delle persecuzione staliniana, è, non già di aver commesso azioni vietate dalla legge, ma di nutrire convinzioni potenzialmente pericolose, che possono cioè venir a contrasto con i compor-tamenti prescritti dalla legge. Ma, al riguardo, è significativa anche la vicenda delle presunte “armi di distruzioni di massa” di Saddam Hussein. L’indiffe-renza manifestata dall’amministrazione statunitense riguardo al fatto che tali armi, in realtà, non esistevano, attesta l’intento persecutorio della guerra: il crimine iracheno non consisteva cioè in azioni, ma soltanto in intenzioni. Che cos’è, dunque, il laicismo? Come ogni valore, il laicismo ha una natu-ra oppositiva. Esso si oppone all’invasione della coscienza propugnata dallo spirito di persecuzione. Il laicismo cioè proclama l’inviolabilità dello spazio assiologico, il che significa: preservarne il carattere di irresolubile aut-aut. Ciò che sta a cuore al laico è, prima ancora che un determinato valore, la sfera stessa in cui i valori possono essere quello che essi anzitutto sono, os-sia antilogie, espressioni discorsive opposte. Questo è il motivo del laicismo, questa, cioè, la ragione per la quale, nelle diverse circostanze storiche carat-terizzate dal fenomeno della persecuzione, si è ritenuto necessario credere o impegnarsi per esso. Tutto ciò potrà forse apparire una constatazione banale o, addirittura, l’ammissione del difetto capitale che viene oggi (e da sempre) rimproverato al laicismo: l’ammissione, cioè, del suo intrinseco “agnostici-smo”, “relativismo”, “indifferentismo morale”, “nichilismo” ecc. Io ritengo che questa accusa vada fermamente rispedita al mittente, con la seguente precisazione in merito a che cosa sia “relativismo”. Relativista è chi, igno-rando la sussistenza dello spazio assiologico, pensa che i valori siano soltanto oggetti che, come tali, possono essere ritenuti, a seconda dei casi, assoluti o relativi. Il relativismo è cioè una disposizione intrinseca all’atteggiamento teorico-contemplativo nei confronti dei valori. La controversia tra relativisti e antirelativisti si svolge esclusivamente su questo piano teorico, che è, e non può non essere, un piano in sé relativista o, più esattamente, “relativizzante”, giacché la teoria è in se stessa la neutralizzazione della sfera assiologica. A guardare bene, invece, il tema dell’assolutezza può essere coerentemente tenuto fermo soltanto nella sfera assiologica, là dove, cioè, i valori non pos-sono che presentarsi in termini assoluti. L’espressione discorsiva in cui, ad esempio, l’amore verso il prossimo si presenta come valore non è – ripeto an-cora una volta – la neutrale constatazione di un oggetto, né un concreto atto d’amore. È bensì l’amore che si contrappone all’odio o la cura che si contrap-pone all’incuria e, per via di questa contrapposizione, pretende all’assolutez-za, richiede cioè abnegazione, obbedienza, sacrificio di sé, intransigenza ecc. Non appena questa espressione discorsiva dell’amore-valore si sia tradotta in forza, sia diventata, ad esempio, la serie degli atti di cura amorevole il cui compimento richiede energia e determinazione, ma anche flessibilità e pru-denza, accade che il linguaggio dell’assolutezza cominci a suonare vuoto e re-torico, se non minaccioso. In questa sfera, cioè, esso diventa il linguaggio del predicatore o del professionista dei valori. Il linguaggio, insomma, della pro-paganda che, benché sembri uguale a quello assiologico, è in realtà null’altro che uno strumento della forza. Un linguaggio assoluto, dunque, al modo in cui è assoluta la forza, senza riguardo cioè per le opinioni altrui. Se veramen-te, dunque, ci sta a cuore l’assolutezza dei valori, e non quella della forza, non c’è altro modo che salvaguardare laicamente la sfera assiologica. Una volta, infatti, che questa sia stata limitata o annientata, all’espressione discorsiva dei valori rimarrà soltanto un’alternativa: o quella, nobile ma necessariamente relativizzante, del loro studio teorico e storico, oppure quella, ����������
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ignobile eppure sempre più in voga oggi quando si sollevano i problemi etici, dell’uso strumentale del discorso a fini propagandistici.����������
MauriF
00giovedì 31 gennaio 2008 13:17
Per tirare una riga di traverso sopra alla perdita di tempo rappresentata da quest'articolo basta riprendere le parole di Odifreddi...

Quelle che dicono che "IL DIRITTO DI RISPETTO NEI CONFRONTI DI CHI NON CREDE DOVREBBE ESSERE MAGGIORE DI QUELLO NEI CONFRONTI DI CHI CREDE".

Detto questo è detto tutto....

LAICITA' col cavolo che è equivalente a LAICISMO...
Il vicedirettore del Corriere della Sera lo ha spiegato bene.

pcerini
00giovedì 31 gennaio 2008 13:44
"Per tirare una riga di traverso sopra alla perdita di tempo rappresentata da quest'articolo basta riprendere le parole di Odifreddi..."

MauriF,non hai citato nemmeno una virgola di cio' che contesti dell'articolo,ti limiti solo a vezzeggiarlo senza dire alcunche' della ragione delle tue critiche!

renato-c
00giovedì 31 gennaio 2008 14:08
il laico senza dogmi
Salve
ogni giorno,notte,giono e senza tregua,il papa Ratzinger parla alla tv ,gionale ecc.. e poi si lamenta che gli chiudono la bocca,ma in verità invece è tutto l'incontrario e Lui che imponr dogmi allo stato laico contro la laicità,relativismo,evoluzionismo,impone una morale sui persevativi,copie di fatto,embrioni,aborto,anticontracceivi,etanasia,e con prepotenza entra nelle istituzioni come la scuola e ora lo voleva fare con l'università e chi più ne ha più ne metta...
se mi ci metto finisco domani di dirne...
ma il problema è che non ha capito che lo stato è democratico e laico e non una teocrazia e bisogna rispettare tutti e convivere senza imporre la propia morale nel rispetto della morale altrui ,giustamente quello che nuoce agli altri e a noi stessi và tolto,ma è solo cosa che riguarda il privato cosa te ne importa?
se non crea danni cosa importa?
ma se io soffro ed ormai è un accanimento terapeutico e desidero morire a te cosa importa?
se Maria ama Maddalena e Mario ,ama Giovanni a te che te ne frega,
se io desidero un figlio con assistenza scientifica a te cosa importa?
ecc.. se te non trovi giusto chi ti impedisce di non farlo?
e allora perchè vuoi impedirlo a me?
vuoi pregare quel Dio? Ok pregalo,non vuoi? ok quale problema è?
no sono detentori di verità e bisogna seguire la loro dottrina che poi ogni pochino un concilio o nuove verità o rivelazioni cambiano completamente.
insomma ci vuole tanta pazienza ,ma spero sicuramente in meglio con fede certa
Renato

saluti
Renato
=omegabible=
00giovedì 31 gennaio 2008 15:01
RE x Renato

[SM=g1420248] [SM=x1468553]
Non aggiugo altro se non il benvenuto fra noi!!! [SM=g8902] [SM=g8902]


omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]
MauriF
00giovedì 31 gennaio 2008 23:49
Ecco...magari se prima di scrivere leggi quello di cui si sta discutendo sarebbe meglio... ;)

CHI E' CREDENTE HA GLI STESSI DIRITTI DI ESSERE RISPETTATO DI CHI NON E' CREDENTE.



Sembra che questa facilissima regola democratica non sia di alcuna validità per Odifreddi e per molti altri laicisti.

E' sconvolgente.

=omegabible=
00venerdì 1 febbraio 2008 07:15
RE x Maurif

Toh, incomincia bene la giornata!!! [SM=x789065] [SM=x789065] [SM=x789065] [SM=x789065] [SM=x789065] [SM=x789065] [SM=x789065]




omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]
renato-c
00venerdì 1 febbraio 2008 07:55
Salve
il laico relativista,percepisce l'etica come un processo storico e sà bene che nel corso dei secoli quanti cambiamenti etici si sono fatti
inoltre ora le culture fra popoli si sono molto avvicinate e bisogna pur confrontarsi con i diversi e comprendere che il bene nostro deve essere anche il bene comune di tutti,se io inquino poi le conseguenze l'avranno tutti
invece i detentori di verità assolute cui non vogliono discuttere perchè ritenute non un processo evolutivo,ma scese dall'alto dei cieli ,ecco che il dialogo è impossibile perchè questi sono assolutisti e integralisti e desiderano solo imporre la loro verità
ma cos'è verita?
ciao Renato
pcerini
00giovedì 28 agosto 2008 14:33
UP!

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