Solo erbivoro mai, amo troppo la carne che ci prescrive il Vangelo

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kelly70
00giovedì 30 agosto 2012 18:22
 

 

Soprattutto non vorrei scrivere il solito articoletto ironico. L’ironia ci scappa sempre quando l’argomento è il mangiare o il bere e di pezzi che vorrebbero essere spiritosi ne leggo troppi: qualcuno magari è scritto bene, qualcuno magari l’ho perfino scritto io, ma non arrivano mai al cuore della questione, che è un cuore religioso. Quindi serissimo. Lo Stockholm International Water Institute, riscuotendo il plauso locale di Repubblica e di Umberto Veronesi, dice che nel 2050 diventeremo tutti vegetariani. Semmai, tanto per cominciare, “diventeranno”. Fra trentotto anni Veronesi sarà all’inferno (non so dire di preciso in quale girone solo perché non ho tempo di riaprire Dante), Repubblica sarà in libri di storia del giornalismo che non leggerà nessuno, io soggiornerò in qualche luogo intermedio che spero tranquillo ma dove, temo, non si mangerà carne. Che è la mia passione di goloso oltre che la mia certezza di cristiano.

Nella Bibbia il carnivorismo è promosso in lungo e in largo, dall’Antico Testamento al Nuovo, con un crescendo di partecipazione. Se nella Genesi la carne compare in un ordine di Dio agli uomini (“Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo”), nel Vangelo diventa dieta divina. Secondo l’esegeta José Miguel García nel Vangelo di Luca dove si legge “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi” bisogna leggere “Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale…”. Qualcuno non è d’accordo perché García lavora su un’ipotesi di originale aramaico ancora irreperibile. Vabbe’, poniamo pure che Gesù abbia fatto preparare una sala “grande e addobbata” solo per qualche cucchiaiata di passato di fave… La prova che non si può non accogliere del suo personale carnivorismo la troviamo poco dopo, nella cena di Emmaus: “Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. L’episodio conferma la moltiplicazione dei pani e dei pesci: il Figlio di Dio, onnisciente, sapeva incompleta una dieta priva di proteine animali e anziché limitarsi alle pagnotte provvide anche al companatico. Quindi chi rifiuta la carne in nome della pietà verso gli animali dovrebbe prima prendersi la briga di dire che Gesù è cattivo. Ovviamente questo non accade e, profittando del silenzio omissivo dei pastori, tanti chiacchieroni possono dirsi al contempo vegetariani e cattolici.

Gli svedesi dell’istituto internazionale eccetera fingono di prenderla molto più bassa e si limitano a parlare di efficienza alimentare: bisogna smettere di mangiare animali perché gli animali consumano, direttamente o indirettamente, eccessive quantità di quel bene scarso che è l’acqua. Li potrei anche ascoltare se la malafede degli anticarnivoristi pseudoambientalisti non fosse almeno triplice: 1) non propongono mai di sostituire, negli allevamenti, gli inefficienti polli con i superefficienti maiali (fors’anche per non turbare qualche imam?); 2) non dicono mai che degli animali bisogna tornare a mangiare tutto e non solo il filetto o il petto (forse perché gli schifiltosi aborrono fegati e rognoni?); 3) non spiegano mai che la soppressione delle chianine, nutrite a erba, darebbe un minor risparmio ambientale rispetto alla soppressione dei gatti domestici, nutriti a scatolette di carne.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/14738

kelly70
00giovedì 30 agosto 2012 18:24
Vegetariani per forza nel 2050, anatomia di una boiata pazzesca
Mangiatori di carne, pentitevi. Divoratori di hamburger, vergognatevi. Consumatori di pancetta, almeno scusatevi. Dimenticate bistecche e prosciutto, arrosti e cotolette, ma anche latte e, già che ci siamo, uova. Come? Nemmeno una frittata, neanche un ovetto al tegamino? No, rispondono categoricamente gli illustri studiosi dello Stockholm International Water Institute, che dal Guardian hanno annunciato l’apocalisse alimentare entro il 2050, sotto forma di “catastrofica penuria di cibo”, se non ridurremo al minimo (non più del cinque per cento contro il venti per cento di oggi) la quantità di proteine di origine animale nella dieta quotidiana. Meglio ancora, dicono, sarebbe abolire del tutto le proteine di origine animale, solo frutta verdura cereali, tutti vegani (la versione hard del vegetarianesimo) per causa di forza maggiore, se non per animalismo o per gusto personale.

A metà del secolo saremo nove miliardi e non possiamo più permetterci di sprecare l’acqua per gli allevamenti di animali destinati all’alimentazione, dice il rapporto firmato dalla professoressa Malin Salkelmark e colleghi, reso noto in occasione della Conferenza mondiale sull’acqua, che si è aperta il 21 agosto nella capitale svedese e che vede riunito il consueto solito circo Barnum di funzionari dell’Onu e di ong, di politici ed esperti. Duemilacinquecento persone, informano le cronache, che omettono però i dettagli sul regime alimentare seguito durante i lavori (bacche e radici?). Rincara la dose su Repubblica il professor Umberto Veronesi, splendido ottantasettenne, vegetariano da sempre per convinzione salutista e per vocazione ideale. Sono, i suoi, argomenti personali e medici rispettabilissimi.

Eppure, trasferiti sul piano delle esortazioni universali, trascolorano dalla saggezza alla boiata pazzesca. “I popoli che oggi non mangiano carne, con la crescita economica vorranno allinearsi alla cultura occidentale”, rabbrividisce il professore. E noi ci sentiamo trasportati à rebours nei rimpianti anni Ottanta, in epoca di ecologismo militante. Allora il tema era: vi immaginate che disastro, per il buco nell’ozono, quando tutti i cinesi vorranno un’automobile e un frigorifero? (ora l’ozono sta benissimo e i cinesi decisamente meglio, con molti più frigoriferi e automobili). Ancora prima, all’inizio degli anni Settanta, Aurelio Peccei con la sua accolita di malthusiani travestiti da filantropi chiamata Club di Roma, sulla scia del biologo e demografo americano Paul R. Ehrlich, andava predicando la soluzione più semplice: meno figli.

Le persone in carne (pardon) e ossa hanno la pessima abitudine di mangiare, di bere, di respirare, di voler approfittare dell’elettricità: la Terra non se lo può permettere. Meno persone ci sono, meglio vivrà il pianeta (e noi che già ci abitiamo). Anche in quel caso, previsioni tragiche: esaurimento delle risorse petrolifere entro il 1992 (ne avete avuto notizia?) accompagnato dal parallelo esaurimento di quelle alimentari (eppure, secondo la Fao, dal 1961 al 1998 la produzione alimentare pro capite è aumentata del 23 per cento a livello mondiale e del 52 per cento nei paesi in via di sviluppo. Mentre sempre la Fao, nel 2010, ha annunciato che il numero di umani affamati era sceso sotto il miliardo). Uno dei santuari dell’ecologismo duro e puro, il World Watch Institute diretto dall’americano Lester Brown, ha dovuto ammettere che “la carne disponibile per ogni persona a livello mondiale è cresciuta del 122 per cento, passando da 17,2 chilogrammi nel 1950 a 38,4 chilogrammi nel 2000” (da “I padroni del pianeta”, Piemme, di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari). La verità è che gli avanzamenti tecnologici permettono oggi di ottenere più cibo da meno terra coltivata e che, più di un problema di scarsità, esiste un problema di eccesso, di spreco del cibo disponibile e di accesso al medesimo.

Bene. Anzi, male. Per i predicatori dello Stockholm International Water Institute, corroborati dal sorriso incoraggiante del professor Veronesi – il quale invita a togliere la carne da tavola “almeno una volta a settimana” per “salvare il mondo” – non saranno né la politica né l’accrescimento delle conoscenze scientifiche né lo sviluppo a trovare soluzione ai problemi. Forse hanno ragione. A occhio e croce, ci pensa già la crisi a togliere la carne di tavola non una ma sette volte a settimana, con gran sollievo del mondo (chissà se anche degli umani).

di Nicoletta Tiliacos

http://www.ilfoglio.it/soloqui/14734

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