Omicidio di stato e “pratiche crudeli”
Gli omicidi commessi dalla Chiesa, come si è visto, sono stati in gran parte frutto dell'affidamento al braccio secolare o extragiudiziali, derivanti da guerre, conquiste, lotte fra le varie fazioni curiali e vendette private, se non addirittura indiretti, come risultato delle campagne anticontraccettive e antiabortiste. Ma vi furono, come pure abbiamo visto parlando dei singoli papi, anche omicidi “di stato”, ossia l'uso della pena di morte nello stato della Chiesa per punire reati politici o comuni (anche se a volte sotto questa dizione rientrarono peccati-reati di tipo politico-religioso, dalla bestemmia alle offese contro la religione o contro il papa all'omosessualità, che in altri casi o epoche furono di competenza dei tribunali dell'inquisizione). Qui ci occupiamo solo della giustificazione dottrinale che la Chiesa ha dato all’omicidio di stato e alle “pratiche crudeli” da esso compiute (mutilazioni o torture), e di come e fino a quando tali pene rimasero in vigore nello stato pontificio.
Agostino e le uccisioni consentite
I primi padri della Chiesa erano in genere fortemente contrari alla violenza omicida. Si veda, per tutti, Lattanzio, che scrive: “Dio nel proibire l'assassinio, biasima non solo il brigantaggio, che è contrario alle leggi umane, ma anche ciò che gli uomini considerano legale. La partecipazione alla guerra, quindi, non deve sembrare legittima a un uomo giusto” (182).
Ma nel IV-V secolo, iniziata l'età costantiniana, Agostino, insieme alla “guerra giusta”, teorizzò come voluti da Dio, e citando sempre a sostegno l’Antico Testamento, anche i sacrifici umani (!) e l’omicidio di stato. Nel 413 ca Agostino scrive nella Città di Dio: “Lo stesso magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere. Si eccettuano appunto casi d'individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona. Non uccide dunque chi deve la prestazione al magistrato. È come la spada che è strumento di chi la usa. Quindi non trasgrediscono affatto il comandamento con cui è stato ingiunto di non uccidere coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte. Così Abramo non solo non ha avuto la taccia di crudeltà ma è stato anche lodato per la pietà perché decise di uccidere il figlio non per delinquenza ma per obbedienza” (183).
Questa resterà, fino ai giorni nostri, la posizione della Chiesa per quanto riguarda l'omicidio di stato e la sua pratica nello stato pontificio. Fino al 1000, però, pareva tassativamente esclusa la tortura anche per estorcere la confessione. Nicolò I (papa e santo), rispondendo ai Bulgari nell'866, la condannava come qualcosa che “non è permesso in nessun modo né dalla legge divina nè della legge umana” (184).
Tommaso. Mutilare si può
Ma nel 1270 ca Tommaso d’Aquino spiega che “come lecitamente uno può essere, dalla pubblica autorità, privato totalmente della vita, per colpe gravissime, così uno può essere mutilato di qualche membro per alcune colpe minori” (185). Ciò apre la strada alla tortura anche se Tommaso parla delle mutilazioni come pena e non come mezzo per estorcere la confessione.
A questo fine, tuttavia, la tortura già esisteva nell’ordinamento statuale e fu adottata nel 1254, come abbiamo visto più sopra, da Innocenzo IV contro gli eretici, entrando nell’uso ecclesiastico. Dal XIV secolo l'uso dei “tormenti” detti anche, con linguaggio ipocrita, “rigoroso esame”, fu codificato in modo quasi pignolo dai più noti manuali inquisitoriali come il Manuale dell'Inquisitore di Nicolau Eymerich del 1376 o il Commentario al manuale di Eymerich, scritto due secoli dopo da Francisco Peña o il Sacro Arsenale di Eliseo Masini del 1665 fino al meno conosciuto Tractatus de officio sanctissimae Inquisitionis di Cesare Carena del 1669, che disquisisce su quando “il solo possesso di un libro proibito sia motivo sufficiente per torturare il possessore” (186). Nel frattempo, come pure si è già visto più sopra, un decreto del Santo Ufficio del 1557 contemplava la possibilità che il torturato morisse e si premurava di assolvere preventivamente i torturatori.
La tortura, come attesta nel XVI secolo la relazione di un funzionario di Filippo II, era praticata anche nel Nuovo Mondo dai religiosi nel quadro dell'evangelizzazione: i frati raparono e vestirono coi sanbeniti i trenta esponenti maya arrestati, si legge, “collocandoli in alto alla maniera del tormento della carrucola con pietre di due e tre arrobas [50 e 75 libbre] e così appesi dandogli molte frustate fino a che non scorreva a molti di loro sangue per la schiena e per le gambe fino al suolo; e su queste [ferite] le tormentavano con olio bollente come si usava fare con i negri schiavi, e con candele di cera incendiate e fondendo sulle loro carni la cera” (187).
Le “giustizie” a Roma dal XIV secolo
“Giustizie” erano dette le esecuzioni capitali che avevano luogo nello Stato pontificio e Le giustizie a Roma è il titolo di un libro che ad esse dedicò nel 1882 il liberale A. Ademollo (188). L’autore vi pubblica un diario dell'abate Placido Eustachio Ghezzi su tutte le Giustizie eseguite in Roma dal 1674 al 1739, nel quale Ghezzi ricorda che Clemente X aveva autorizzato l'Arciconfraternita della SS. Natività di N. S. Gesù Cristo degli Agonizzanti a esporre il SS.mo, con indulgenza, ogni volta che si eseguiva una condanna a morte. Il Ghezzi dà una nuda cronologia delle esecuzioni fino al 1697, poi via via le arricchisce di dettagli (nomi e poi anche colpe dei giustiziati e tipo di supplizio). Ademollo pubblicò poi nel 1886 un altro volume, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano (189), in cui pubblica le annotazioni tenute dal Bugatti, il più celebre boia pontificio, sulle esecuzioni da lui eseguite in tutto lo Stato, non nella sola capitale, per tutto il periodo nel quale fu in carica (1796-1864) e anche quelle del suo successore Vincenzo Balducci, che operò solo sei anni (1864-1870), ossia fino alla caduta del potere temporale.
Oltre a fornire dati puntuali sulle esecuzioni capitali relative ai periodi citati, Ademollo ci dà, nelle introduzioni ai due volumetti, utili informazioni sulle epoche precedenti, a partire dal XIV secolo, per quanto riguarda sia la pena di morte sia le “pratiche crudeli”.
Per tutto il Medioevo, informa Ademollo, “campo di giustizia era sempre la Rupe Tarpea” dove “Presso un leone di basalto i delinquenti udivano la lettura della sentenza che li condannava, e quanto ai malfattori di bassa condizione solevasi porli a cavalcione di quel leone con una mitra in testa e con la faccia impiastricciata di miele” (Gregorovius, Storia di Roma, vol. VII, p. 853). Dal 1488, continua Ademollo, “venne designato per luogo di giustizia un recinto davanti al Ponte S. Angelo, nelle cui adiacenze era il vicolo denominato del Boja” e “Nel 27 maggio 1500, in pieno Anno Santo, i pellegrinanti a S. Pietro ebbero la dolce sorpresa di passare il Ponte fra due file d’impiccati”, nove per parte. Ma anche Campo di Fiore e altri luoghi della città cominciarono a venire usati per le esecuzioni (190).
Il supplizio solitamente usato fino al Cinquecento per nobili ed ecclesiastici (quando non venivano strangolati direttamente in cella, come avvenne nel 1561 al cardinal Carafa) era la decapitazione (in luoghi chiusi o con poco pubblico) mediante uno spadone. I non nobili invece (compresi fra questi i “foglianti”, ossia i giornalisti del tempo) venivano impiccati sulla forca mentre per colpevoli di reati ritenuti particolarmente gravi si ricorreva a un tormento fra i più barbari: la mazzolatura semplice (cioè l’uccisione mediante bastonatura al capo con una sorta di mazza) o la mazzolatura con squarto (il condannato veniva colpito con una violenta bastonata al capo e poi, mentre ancora era tramortito, squartato). E a questi supplizi si affiancavano pene corporali e mutilazioni.
Nel Cinquecento, nel clima della lotta dell’inquisizione romana contro il protestantesimo, crebbe la durezza del papato come abbiamo visto più sopra, specie con Giulio III, Paolo IV, Pio V (santo) e Sisto V. Ciò si tradusse anche nell’estensione della pena di morte ad alcuni reati che non la prevedevano (ad esempio per l'aborto, di cui si è già detto parlando di Sisto V, e che fu di nuovo tolta dal suo successore) o di aggravamenti delle pene corporali.
Delle severe punizioni contro chi “biastemma”, disposte dal governatore di Roma ma su “espresso ordine… di Sua Santità”, vi è traccia anche nell'Archivio segreto pontificio: “Il signor governatore di Roma…di espresso ordine et special commissione di Sua Santità, ordina et comanda che nessuna persona…ardisca in alcun modo biastemmare o disonestamente nominare il santissimo nome dell'onnipotente Iddio o del suo unigenito figliol Jesu Christo e della gloriosa sempre vergine sua madre…o di qual si voglia santo o santa, sotto pena per la prima volta… di star con le mani ligate dietro tutto un giorno alla berlina,… et per la seconda volta, oltra la sopradicta pena, di esserli forata la lingua, et per la terza volta sotto pena della galera per cinque anni…et si darà fede ad un solo testimonio” (191).
Enunciata la legge, trovata l’eccezione
Circa vent'anni prima, nel 1566, il Catechismo romano, promulgato da Pio V in base alle decisioni del Concilio di Trento, ribadiva che le esecuzioni capitali rientravano fra le “uccisioni che non sono proibite”: “Enunciata la Legge che vieta di uccidere”, si legge, “il parroco dovrà subito indicare le uccisioni che non sono proibite. Non è infatti vietato uccidere gli animali…Altra categoria di uccisioni permessa è quella che rientra nei poteri di quei magistrati che hanno facoltà di condannare a morte. Tale facoltà, esercitata secondo le norme legali, serve a reprimere i facinorosi e a difendere gli innocenti …Per le stesse ragioni non peccano neppure coloro che, durante una guerra giusta, non mossi né da cupidigia né da crudeltà, ma solamente da amore del pubblico bene, tolgono la vita ai nemici. Vi sono anzi delle uccisioni compiute per espresso comando di Dio. I figli di Levi non peccarono quando in un solo giorno uccisero migliaia di uomini; dopo di ciò Mosè rivolse loro le parole: ‘Oggi avete consacrato le mani vostre a Dio’” (192).
Si noti come continui ad essere influente l’Antico Testamento nel giustificare l'omicidio compiuto “per espresso comando di Dio”. La Chiesa ancora oggi condivide queste divine mattanze? La Chiesa tridentina, comunque, si.
Le “giustizie” dal XVII al XIX secolo
Nel frattempo i papi continuavano ad eseguire sentenze capitali che dalla fine del Seicento vengono dettagliate, come si è detto, nel diario del Ghezzi. Esso ci permette di notare che pur prevalendo le condanne per reati comuni non mancano quelle per reati politici, come l'impiccagione già ricordata del giornalista Bernardino Scatolari ad opera di Innocenzo XI (1685), o per offese alla religione (come il furto di due pissidi...).
Complessivamente, nei 65 anni (1674-1739) annotati dal Ghezzi vi furono a Roma 210 “giustizie” (poco più di 3 all’anno), di cui circa il 40% per reati che non arrivavano all'omicidio (falsificazione di denaro, furti, rapine, reati politici o religiosi) e furono una trentina gli squartati. Nei 68 anni in cui fu carnefice Mastro Titta, invece, ossia fra il 1796 e il 1864, le “giustizie” furono 514, un record ineguagliato, cui vanno aggiunte le 13 del suo successore Balducci dal 1864 al 1870. Si tratta però di esecuzioni effettuate non solo a Roma ma in tutto lo stato pontificio e da cui vanno tolte quelle eseguite nei 4 anni in cui lo stato pontificio fu annesso alla Francia napoleonica (1810-1813), la quale, con 56 esecuzioni (13 l’anno!), diede una ben trista immagine di sé. Da notare che circa il 22% dei giustiziati dallo stato pontificio non erano omicidi o, in una decina di casi, avevano commesso reati politici.
Quanto al tipo di supplizi sono notevoli le informazioni tratte dagli 8 volumi dei Voyages (1730) di padre Labat e riprodotte in francese dall’Ademollo (193). Labat testimonia che ancora ai primi del Settecento erano in uso nello stato pontificio soprattutto due tipi di tortura, entrambi molto dolorosi, della veglia e della corda, mentre le pene continuavano a essere quelle che si è detto sopra: decapitazione (da un certo punto in avanti con la mannaia), per nobili ed ecclesiastici; per i non nobili invece forca e mazzolatura semplice o con squarto. Quest’ultima, precisa ancora Ademollo, fu soppressa durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-30) ma ripristinata dal suo successore Clemente XII.
Invariate restavano anche le opinioni della Chiesa in materia di pena di morte, come si vede da ciò che insegnava il maggiore teologo del Settecento Alfonso Maria de’ Liguori, nel 1767: “solamente per tre cause è lecito uccidere un altro uomo: per l'autorità pubblica, per la propria difesa, e per la guerra giusta. Per l'autorità pubblica è ben lecito, anzi è obbligo de' principi e de' giudici di condannare i rei alla morte che si meritano, ed è obbligo de' carnefici di eseguire la condanna. Dio stesso vuole che siano puniti i malfattori” (194).
Merita di essere sottolineato come queste parole fossero pronunciate tre anni dopo che era uscito in Europa il celebre saggio di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, che rifiutava la tortura e la pena di morte, e fu messo all'indice dalla Chiesa. Così come va notato che la pena di morte e la tortura erano in vigore nello stato pontificio mentre Federico il Grande vietava la tortura in Prussia e tortura e pena di morte furono vietate, benché per poco tempo, in Toscana.
Nello stato della Chiesa si dovette anzi aspettare l'arrivo della rivoluzione francese perché fosse introdotto un unico sistema di esecuzione, la ghigliottina, per nobili e plebei. Ma col ritorno del papa tornarono la forca (usata l’ultima volta nel 1829) e la mazzolatura semplice (ultima volta nel 1816) o con squarto (ultima volta nel 1826). Poi si impose per tutti la ghigliottina, in qualche caso la fucilazione. Mastro Titta, dunque, ebbe modo di cimentarsi con “ogni genere di supplizio” e in tutti, “mazzola, squarto, forca, ghigliottina, mostrò sempre eguale abilità” (195). Merito non da poco, se si pensa che in quei secoli furono numerosi i casi in cui il giustiziato tribolava perfino a morire per l’inesperienza dei carnefici, spesso improvvisati.
L’ultima “giustizia” fu eseguita il 9 luglio 1870. Due mesi dopo il potere temporale cessava di esistere. Nel frattempo, naturalmente, almeno fino a quasi tutto il Settecento, erano continuate in parallelo anche le altre morti, ancora più lente e dolorose, come rileva Ademollo, degli eretici arsi a fuoco lento o murati vivi e uccisi a poco a poco come due donne di cui racconta Rucellai nello Zibaldone quaresimale, murate in due pilastri di una chiesa, “solo con una buca dove si porge loro il mangiare” (196).
Naturalmente va sottolineato, come dimostra l'esempio dei quattro anni di governo napoleonico a Roma, che lo stato della Chiesa non era il più feroce in Europa o quello dove il ricorso alla pena di morte fosse il più frequente. Ma era lo stato che, in quanto “della Chiesa”, dava un esempio a tutti i paesi cattolici del continente, cui forniva anche una giustificazione dottrinale, proprio mentre i pensatori non cattolici più avanzati contestavano tortura e omicidio di stato.
Chiesa e pena di morte nel XX secolo
La legittimazione della pena di morte da parte della Chiesa continuò anche dopo la fine del potere temporale. Pio X nel 1913 ripete: “Vi sono dei casi nei quali sia lecito uccidere il prossimo? È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell'autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto; e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore” (197).
Allo stesso modo la pena di morte non fu cancellata nella Città del Vaticano, pur restando di fatto inapplicata. Nella Legge fondamentale del 7 giugno 1929, all’art. 4 si legge: “La pena comminata contro chi nel territorio della Città del Vaticano commette un fatto contro la vita, la integrità o la libertà personale del Sommo Pontefice è quella indicata nell’art. 1 della legge del Regno d’Italia 25 novembre 1926 n. 2008” (198). E l’art. 1 della legge del Regno d’Italia cui ci si riferisce stabiliva che “Chiunque commette un fatto diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale del re o del reggente è punito con la morte. La stessa pena si applica, se il fatto sia diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale della regina, del principe ereditario o del capo del governo” (199).
Questa norma fu abrogata solo dall’art. 44, comma 1 della legge del giugno 1969 che modificava la legislazione penale e la legislazione processuale dello Stato del Vaticano, in armonia con la svolta avviata dal Concilio Vaticano II. Ma ben più interessante del permanere formale nella legislazione di un piccolo stato, è il fatto che la pena di morte fosse sostenuta fino al 1969 e oltre dalla dottrina cattolica, il che favorì la sua permanenza nelle legislazioni di tutto il mondo.
Significativo è, in particolare, quello che si legge in due fra i volumi di teologia morale più difffusi, quello di Giuseppe Mausbach del 1954, e quello di Bernard Haring del 1957, continuamente riediti con imprimatur anche dopo il Concilio Vaticano II.
Mausbach, ad esempio, scrive: “La Sacra Scrittura del Vecchio testamento contiene molte prescrizioni giudiziarie, che colpiscono con la pena di morte tutta una serie di gravi peccati (l'assassinio, la bestemmia, l'idolatria, atti gravi di immoralità sessuale ecc.)… Nella Chiesa antica…il sentimento cristiano della pace e un certo senso di ritegno di fronte al versamento del sangue produssero una forma di esitazione per quanto riguarda la pena di morte…Ma tutti i più grandi maestri della Chiesa… ciò non ostante, affermano la liceità della pena di morte… e questo diritto è stato riconosciuto alla competente autorità e difeso espressamente contro i Valdesi… La piena giustificazione della pena di morte si può derivarla però soltanto dalla natura della società politica e dal fine prefissole da Dio…il motivo giuridico è nella stessa morale necessità del bene comune, nella superiorità dell'organismo statale sulla vita del singolo, superiorità che esige, che per certi delitti, oltre le altre pene, vi sia come ultima ratio anche la morte…la soppressione della vita umana non urta contro la dignità e la finalità propria della persona, poiché il delinquente ha già rinunziato da se stesso alla propria dignità personale, e avendo intaccato i fondamenti stessi della moralità e dell'ordinamento giuridico ha distrutto anche le ragioni della sua esistenza terrena (S. Tommaso, l.c. ad 3)” (200).
A sua volta l'Haring scrive: “In linea di principio lo Stato ha diritto di infliggere la pena di morte per punire gravi delitti, se ciò appare necessario nell'interesse del bene pubblico. La Sacra Scrittura ribadisce energicamente questo diritto dello stato: ‘Chi sparge sangue umano, dall'uomo sarà sparso il suo sangue’ (Numeri, 35, 16)…’L'autorità non porta invano la spada; essa è infatti ministra di Dio e vindice dell'ira per chi fa il male’ (Lettera ai Romani, 13, 4). In base ai citati passi della Scrittura e a tutta la tradizione cristiana non è lecito negare per principio allo Stato il diritto di decretare la pena di morte…. Una prassi penale troppo mite nei riguardi del delinquente si risolve in crudeltà verso gli innocenti, che vengono privati di una efficace difesa”(201).
Si noti che il Mausbach afferma candidamente e senza trovare da eccepire che “molte prescrizioni giudiziarie” colpiscono con la pena di morte “una serie di gravi peccati”, come se fosse accettabile l’identità peccato-reato, che i cattolici hanno fatto a lungo e tutto sommato vorrebbero fare ancora...
Da rilevare inoltre come sia presentata con imbarazzo non la pena di morte ma “l’esitazione” dei primi cristiani di fronte ad essa. Opinione condivisa del resto da Haring, secondo il quale “una prassi penale troppo mite...si risolve in crudeltà verso gli innocenti”. E' l'argomento usato oggi da fascisti e leghisti, ma anche da chi, come il Pd, è “aperto” alla castrazione chimica dei pedofili...
La “svolta”
Appaiono quindi come una “svolta” rispetto a una posizione bimillenaria, suffragata dal Vecchio Testamento, l'odierno rifiuto della pena di morte da parte del Vaticano e il suo impegno nella lotta per la sua abolizione a livello mondiale. Ma con quali argomenti?
Ecco le posizioni del Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato nel 1992 da Giovanni Paolo II e riproposto sostanzialmente negli stessi termini anche nelle edizioni successive, fino al Compendio del 2005:
"Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e l'ordine, spesso senza protesta dei pastori della Chiesa, i quali nei loro propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato al clero di versare il sangue…. Nei tempi recenti è diventato evidente che tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l'ordine pubblico, né conformi ai legittimi diritti della persona umana. Al contrario, esse portano alle peggiori degradazioni. Ci si deve adoperare per la loro abolizione. Bisogna pregare per le vittime e per i loro carnefici....
“La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell'autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità….. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l'ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole.
“L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi… Oggi… a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine… i casi di assoluta necessità di soppressione del reo 'sono ormai molto rari, se non di fatto inesistenti' (Evangelium vitae)” (202).
E’ da notare intanto l’ipocrisia dei passaggi relativi alle “pratiche crudeli” che sarebbero state guardate dalla Chiesa “senza protesta” o mutuate dal diritto romano insegnando il dovere delle misericordia e vietando al clero di versare il sangue. Si tratta di menzogne in quanto l’atteggiamento della Chiesa è stato tutt’altro che di passiva accettazione o di clemenza: il divieto al clero di “versare il sangue” scomparve almeno da quando papi e vescovi guidarono gli eserciti in battaglia; Innocenzo IV e i suoi successori, come si è visto, hanno non solo introdotto ma “preteso” l’uso della tortura da parte delle autorità civili e Paolo IV ha incitato a servirsene, assolvendo i chierici che avessero mutilato o anche ucciso il torturato... Se poi pensiamo alle mutilazioni inflitte ai bestemmiatori, alla mazzolatura con squarto in vigore nello stato della chiesa e a tutto il resto elencato qui sopra si capisce che non ci fu certo nella Chiesa né clemenza né misericordia.
Altrettanto infondato è il tentativo di occultare le responsabilità della Chiesa, affermando che soltanto “nei tempi recenti” sarebbe divenuta evidente l’inutilità delle “pratiche crudeli” e che solo “oggi” lo stato avrebbe “mezzi incruenti... sufficenti per difendere” la società senza ricorrere alla pena di morte. Si è già detto come almeno da due secoli il pensiero laico avesse contestato la pena di morte e con ben altre ragioni.
Sono altri, non certo la mancanza di carceri sicure e mezzi repressivi efficaci (!), i motivi che hanno ostacolato in passato l’abolizione della pena di morte. Fra queste proprio l’idea, proposta dalla Chiesa sulla scorta della Bibbia e difesa ancora nel 1957 dai teologi, che “Chi sparge sangue umano, dall'uomo sarà sparso il suo sangue” (Numeri, 35, 16); o l’opinione del “lumen ecclesiae” Tommaso d’Aquino secondo cui la morte “giova al peccatore per l'espiazione” e serve al bene comune. Ma la Chiesa, non potendo/volendo ammettere di essersi sbagliata, seguita a difendere la pena di morte in via di principio (“la Chiesa non esclude...il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via”) limitandosi a ritenerla “praticamente” non necessaria “oggi” data la possibilità dello Stato di “reprimere efficacemente il crimine” e, anziché autocriticarsi per gli argomenti usati in passato, ne introduce un altro ugualmente fasullo, che non fu ieri il motivo della pena capitale, né oggi quello della sua abolizione.
Un'altra forma di tortura
Ancora più ambigua la posizione della Chiesa sulla tortura che ovviamente condanna nelle forme tradizionali, da essa praticate in passato, ma al tempo stesso ripropone, fedele alla concezione della vita come “valle di lacrime” e sofferenza da offrire a Dio, sotto forma dell’obbligo di restare in vita, anche quando la vita sia diventata insopportabile e indegna d’essere vissuta. E’ quanto dice Giovanni Paolo II nel 1995: “Oggi, in seguito ai progressi della medicina e in un contesto culturale spesso chiuso alla trascendenza... si fa sempre più forte la tentazione dell'eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine ‘dolcemente’ alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. ... in conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana” (203).
Al fondo vi è l'idea che spetta solo a Dio decidere quando mettere fine alla vita, anche per chi non crede in lui, così come la morale cattolica è il meglio per tutti, anche per chi cattolico non è né intende diventare.
Le stesse posizioni ha ribadito, con la stessa arroganza, il papa in carica, il 24 ottobre 2007 (204), sempre con la solita incapacità di immaginarsi un mondo non confessionale, in cui non tutti credono (anzi pochi, ormai, per verità) quello cui crede il papa. Si aggiunga che i papi, per andare sul sicuro, intendono con eutanasia non solo la scelta attiva di porre fine alla vita ma anche quella di interrompere le cure, secondo un diritto costituzionale. La Chiesa è d'accordo solo nel rifiutare l'accanimento terapeutico, salvo non riconoscere mai che il caso sussista e facendolo sempre passare per “eutanasia”.
In questo modo si sottopongono i malati terminali alla tortura di una vita impossibile, come si è cominciato a capire in Italia nel 2006 con il drammatico caso di Piergiorgio Welby, da molti anni affetto da una malattia incurabile arrivata alla fase terminale col rischio di una lunga agonia per soffocamento. Egli chiese (e alla fine ottenne non grazie allo stato ma al coraggio di un medico) di mettere dignitosamente fine alla sua vita. La risposta fu il rifiuto del funerale religioso chiesto da lui e dalla moglie e concesso con grandi onori, quasi negli stessi giorni, al pluriomicida e torturatore Pinochet (poco dopo al famoso cantante divorziato e risposato Pavarotti).
Proprio Welby, morendo, ci ricordò come quella che la Chiesa ancora oggi pratica non sia che una moderna forma di tortura. “Addio”, ha scritto Welby ai suoi cattolicissimi torturatori, “Signori che fate della tortura infinita il mezzo, lo strumento obbligato di realizzazione o di difesa dei vostri valori” (205).
E' questa in effetti, quella da cui Welby supplicava di essere liberato, la sola “vita” che la Chiesa tutela, anzi impone a chi la rifiuta, mentre distrugge tutte le altre nei modi che abbiamo visto, da secoli.
www.terrelibere.org/index.php?x=completa&riga=265
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Note
1) in I conti con la Bibbia, II. c. III
www.akkuaria.org/severinoproietti/index.html
2) ibid.
3) in De errore profanorum religione, cit. in G. Barbero [a cura], Il pensiero politico cristiano, UTET, Torino 1962
4) in C. Rendina, I papi, Newton & Compton, Roma 2005, p. 94
5) Agostino, Contro Fausto Manicheo, libro XXII, in Agostino, Tutte le opere,
www.augustinus.it/italiano/index.html
6) J. Flori, La guerra santa, Bologna, Il Mulino 2003, p. 43
7) in K. Dechner, Storia criminale del cristianesimo, Ariele, Milano, vol. I, p. 71
8) Leone I, Epistole 5, 13, 117 in Dechner, cit., III, p. 435
9) C. Rendina, op. cit., p. 128-30
10) L. Desanctis, Il papa non è successore di Pietro, Claudiana 186
11) C. Rendina, op. cit., p. 150
12) in G. Patacchiola, Le minoranze sessuali dal tardo impero romano al XVII secolo,
www.oliari.com/tesi/giuseppepatacchiola.html
13) ibid.
14) ibid.
15) K. Deschner, La croce della Chiesa, Massari ed., Bolsena 2000, p. 233
16) P. Delogu, Enciclopedia dei papi, Ist. Enciclopedia It., Roma 2000, vol. I, p. 650
17) C. Rendina, op. cit., pp. 231-33
18) N. Fabretti, I vescovi di Roma, ed. Paoline, Cinisello alsamo 1986, pp. 109-110
19) A. Borrelli, S. Leone III, in
www.santiebeati.it/
20) C. Rendina, op. cit., p. 258
21) A. Piazza, in Dizionario enciclopedico dei papi, Città Nuova, Roma 1995, p. 707
22) in K. Dechner, Storia criminale cit., vol.V, p. 129-30
23) A. Borrelli, S. Leone IV, in
www.santiebeati.it/
24) O. Bertolini, Enciclopedia dei papi, cit., vo. II, p. 37
25) A. Borrelli, S. Leone IX, in
www.santiebeati.it/
26) P. Partner, Il Dio degli eserciti. Islam e cristianesimo: le guerre sante, Einaudi, Torino 2002, p. 93
27) J. Flori, op. cit., p. 331
28) ibid., p. 332
29) P. Partner, op. cit., p. 95
30) in K. Dechner, Storia criminale cit., vol.VI, p. 370
31) in R. H. Bainton, Il cristiano, la guerra, la pace, Gribaudi, Torino 1968, pp. 139-40
32) in Vittime della fede cristiana, tr. L. Franceschetti in
www.uaar.it/
33) A. Aruffo, La Chiesa e gli ebrei, Datanews, Roma 1998, p. 26
34) L. Poliakov, Storia dell'antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze 1974-90, v. II, p. 59
35) E. Saracini, Breve storia degli ebrei e dell'antisemitismo, Mondadori Milano 1977, p. 44
36) in Vittime etc., cit.
37) P. Partner, op. cit., p. 94
38) C. Mannucci, L’odio antico. L’antisemitismo cristiano e le sue radici, Mondadori, Milano 1993, p. 235
39) G. Messadié, Storia dell'antisemitismo, Piemme, Casale monferrato 2002, p. 177
40) ibid., p. 155
41) E. Saracini, op. cit., p. 43
42) P. Partner, op. cit., p. 94
43) S. Runciman, Storia delle crociate, Einaudi, Torino 1966, p. 792
44) ibid., p. 796
45) in K. Deschner, Storia criminale etc. cit., vol. VII, p. 79
46) ibid., vol. VII, p. 101
47) in M. T. Fumagalli Beonio Brocchieri, Cristiani in armi, Laterza, Bari 2006, p. 43
48) in J. P. Migne, Patrologia latina, Garnier, Paris, vari anni, vol. CCXLVI
49) Concili ecumenici,
www.totustuus.biz/users/concili/
50) in K. Deschner, Storia criminale cit., vol. VII, p. 132
51) ibid., p. 136
52) A. Landi, Fede e civiltà, d’Anna, Messina 1977, p. 15
53) P. Partner, op. cit., p. 196
54) ibid., p. 136
55) in E. Buonaiuti, Storia del cristianesimo, Dall’Oglio, Milano 1979, vol. II, p. 320-21
56) Somma teologica, IIa IIae, q. 11, art. 3, Salani, Firenze 1949-75
57) Breve all’arcivescovo di Sens, in H.-Ch. Lea, Storia dell’inquisizione: origine e organizzazione, Feltrinelli/Bocca, Milano 1974, p. 188
58) A Enrico, in K. Dechner, Storia criminale etc., cit., vo. VII, p. 135
59) H.-Ch. Lea, op. cit., p. 289
60) in D. Canfora, La libertà al tempo dell’inquisizione, Teti, Milano 1999, p. 27
61) N. Eymerich, Manuale dell’inquisitore a.d. 1376, Piemme, Casale monferrato 1998
62) J. Boswell, Cristianesimo, tolleranza, omosessualità, Leonardo, Milano 1989, p. 355
63) in G. Patacchiola, op. cit.
64) in J. Boswell, op. cit., p. 352
65) K. Deschner, Storia criminale cit., vol. VII, p. 342
66) M. Baigent, R. Leigh, L’Inquisizione, Net, Milano 2004, p. 70
67) J. Kelly, Dizionario illustrato dei papi, Piemme, Casale Monferrato 2003, p. 553
68) C. Rendina, op. cit., p. 549
69) J. Fo, S. Tomat, L. Malucelli, Il libro nero del cristianesimo, Nuovi mondi 2000, pp. 143, 177
70) Concili ecumenici, cit
71) in S. Z. Ehler e J. B. Morrall, Chiesa e stato attraverso i secoli, Vita e pensiero, Milano 1958
72) C. Rendina, op. cit., p. 575
73) ibid.
74) v. A. Corvisieri, Chiesa e schiavitù, Paleario ed., Roma s.d., p. 51
75) B. Bennassar, Storia dell’Inquisizione spagnola, Rizzoli, Milano 2003, p. 35
76) A. Petta, Gli scheletri della Inquisizione,
www.stampalternativa.it/wordpress/index.php?p=34
77) M. Baigent etc., op. cit., p.11
78) G. Tourn, I valdesi, Claudiana, Torino 1999, p. 86
79) in S.Abbiati, A.Agnoletto, M. R. Lazzati, La stregoneria, Mondadori, Milano 1984, pp. 340-41
80) ibid.
81) H. Institor, J. Sprender, Il martello delle streghe (Malleus maleficarum), Spirali edizioni, Milano 2003
82) V. De Angelis, Il libro nero della caccia alle streghe, Piemme, Casale di Monferrato 2001, pp. 98-100
83) C. Mornese, La “stria” Gatina e i suoi carnefici, Alias, suppl. “il manifesto”, 11 settembre 2004
84) Il libro nero del cristianesimo, cit., pp. 195-96
85) K. Dechner Il gallo cantò ancora, Massari ed., Bolsena 1998, p. 418
86) La stregoneria, cit., pp. 342-348
87) in Magnum Bullarium Romanum, vol. V
88) G. Romeo, L’inquisizione nell’Italia moderna, Laterza, Bari 2002, p. 86
89) in Chiesa e stato attraverso i secoli, cit.
90) S. Giletti Benso, La conquista di un testo: il Requirimiento, Bulzoni, Roma 1989
91) in Cristiani in armi, cit., p. 62
92) ibid., p. 45
93) C. Rendina, op. cit., p. 613
94) P. Hunermann, H.Denzingwer, Enchiridion symbolorum, EDB, Bologna 1995
95) in In multis depraviatis in Magnum Bullarium Romanum,
cit., vol. IV
96) Decreta 1, in L’Inquisizione, Biblioteca vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 319 n.
97) G.Tourn, op. cit., p: 114
98) G. Tourn, op. cit., p. 116-17
99) H. Jedin, Storia della Chiesa, Jaca book, Milano 1976, v. VI, p. 600
100) G. Patacchiola, op. cit.
101) L.Ranke, Storia Papi, Sansoni, Firenze 1965, p. 258
102) F. Arduino, S. Pio V, in
www.santiebeati.it/
103) in C. Rendina, op. cit., p. 654
104) ibid., p. 659
105) Vittorino Grossi, Il Giubileo viaggio nella storia1575,
www.vatican.va/jubilee_2000/pilgrim/documents/ju_gp_01062000-6_it...
106) C. Rendina, op. cit., p. 658-60
107) ibid.
108) in Magnarum Bullarium Romanum, cit.
109) C. Rendina, op. cit., pp. 662-3
110) L. Ranke, op. cit., pp. 332-33
111) A. Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano, Lapi tipografo, Città di Castello 1886, p. 9
112) ibid., p. 10
113) U.Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli , Rizzoli, Milano 1993, p. 247
114) ibid., p. 248
115) ibid., p. 247
116) K. Dechner, La croce della Chiesa, cit., p. 68
117) U.Ranke-Heinemann, op.cit., p. 248
118) A. Ademollo, op. cit., p. 12
119) in M. Caffiero, Battesimi forzati, Viella, Roma 2004, p. 88-89
120) in G. Miccoli, Santa sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento in C. Vivanti, Gli ebrei in Italia, vol. II, pp.1535-41
121) Lettere, I, in Enciclopedia dei papi, cit., vol. III
122) in U.Ranke-Heinemann, op.cit., p. 247
123) E. Saracini, op. cit., p. 112
124) C. Rendina, op. cit., p. 763
125) in L. Ceci, Santa Sede e guerra in Etiopia, “Studi storici”, n. 44, 2003
126) Pio XII, Discorsi e radiomessaggi, Città Vaticano, Roma 1940-58, voll. XVIII, novembre 1956
127) ibid., vol. XVI, settembre 1954
128) in Il monito del papa, “Civiltà Cattolica”, n. 87, 1936
129) Pio XII, Discorsi etc., cit., 1 aprile 1939
130) Giovanni Paolo II, Messaggio per la XV giornata della pace,
www.vatican.va/, 1982
131) Giovanni Paolo II,Messaggio all’ONU,
www.vatican.va/, 1982
132) in Chiesa e guerra, Il Mulino, Bologna 2005, p. 595
133) Catechismo della Chiesa cattolica, Città Vaticano 1992
134) Giovanni Paolo II, Omelia in Cile,
www.vatican.va/, 4 aprile 1987
135) Giovanni Paolo II, Discorso a Santo Domingo 12-13 ottobre 1992,
www.vatican.va/
136) Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna, 1962-2000
137) Benedetto XVI, Discorso V Conferenza 'episcopato latinoamericano Brasile, 13/5/2007,
www.vatican.va/
138) Benedetto XVI, Discorso all’Angelus, “La repubblica”, 27/2/2006
139) Agostino, I connubi adulterini, 2, 12
www.augustinus.it/italiano/index.html
140) in U. Ranke-Heinemann, op. cit., pp. 134-35
141) ibid.
142) ibid., p. 144
143) Tommaso d’Aquino, Somma contro i Gentili, Utet, Torino, 1997, III, CXXII
144) U. Ranke-Heinemann, op. cit., pp. 283-84
145) ibid., p. 291
146) Benedetto XVI, Convegno diocesi di Roma sulla pastorale giovanile,
www.vatican.va/
147) Innocenzo III, Commentario ai sette salmi penitenziali, in Ranke-Heinemann, op. cit., p. 157
148) Ancora nel 1922, nel manuale di teologia morale del Noldin si legge “Il creatore ha posto nella natura il piacere e l’inclinazione ad esso per attirare gli uomini verso una cosa che è oscena in sé e fastidiosa nelle sue conseguenze” (in Heinemann, cit., p. 272).
149) Catechismo romano, Leonardo, Milano 1994
150) Paolo VI, Humanae vitae,
www.vatican.va/
151) Giovanni Paolo II, La procreazione responsabile,
www.vatican.va/
152) in Ranke-Heinemann, op. cit.
153) in K. Dechner, La croce della Chiesa, cit., p. 201
154) in Ranke-Heinemann, op. cit., p. 279-80
155) in K. Dechner, La croce della Chiesa, cit., p. 204
156) Pio XI, Casti connubi, in Tutte le encicliche dal 1740 a Pio XII, Libr. ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004
157) Pio XII, in Ranke-Heinemann cit., p. 136
158) Ranke-Heinemann cit., p. 291
159) ibid., p. 303
160) ibid., p. 303
161) in K. Dechner, La croce della Chiesa, cit., p. 220
162) A.M. de’ Liguori, Theologiae moralis, 4 voll., Marietti, Torino 1825-28, Tract. IV, De quinto et sexsto praecepto
163) Poletti, Il magistero
difendilavita.altervista.org/
164) in Ranke-Heinemann, cit., p. 301
165) Pio XI, Casti connubi, cit.
166) Fabbrini, Il matrimonio ebreo,
www.morasha.it/ 2002
167) in Ranke-Heinemann, cit., p. 294-95
168) Comm. teologica, La speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere battezzati, 2007,
www.vatican.va/
169) Pio XII, Responsabilità e missione del chirurgo in Discorsi e radiomessaggi, cit., vol. X, 1948
170) Pio XII, Discorso alle ostetriche, Gregoriana, Padova 1951
171) Jone in K. Dechner, La croce della Chiesa, cit., p. 220
172) Haring in Ranke-Heinemann, cit., p. 294-95
173) ibid.
174) ibid.
175) ibid., 301
176) ibid., 302
177) ibid.
178) T. Eagleton, Mani sporche di sangue, “il manifesto”, 5/4/2005
179) Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24/11/2002
www.vatican.va/
180) “Testimoni”, n. 2, 31 gennaio 2002
181) Giovanni Paolo II, Messaggio per la XIII giornata mondiale del malato 2005,
www.vatican.va/
182) Lattanzio, Divinae Institutiones, in Bainton, cit., p. 86
183) Agostino, Città di Dio, l. I, 21 in Tutte le opere, cit.
184) in K. Dechner, Storia criminale etc., cit., vol. VI, p. 17
185) T. d’Aquino, Somma teologica, IIa-IIae, q.. 65 a. 1, Salani, Firenze cit.
186) in La libertà al tempo dell’inquisizione, cit., pp.99-102
187) A. Borioni, M. Pieri, Maledetta Isabella maledetto Colombo, Marsilio, Padova 1992, p. 248
188) A. Ademollo, Le giustizie a Roma dal 1674 al 1739 e dal1796 al 1870, Ed Forzani, Roma 1882
189) A. Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano, Lapi tipografo, Città di Castello 1886
190) ibid., pp. 6-7
191) in I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, p. 109
192) Catechismo romano, cit., Quinto comandamento
193) A. Ademollo, Le annotazioni etc., cit., pp. 20-36
194) A. M. de’ Liguori, Istruzione al popolo. Del quinto precetto. Del sesto precetto,
www.intratext.com/bai/
195) A. Ademollo, Le annotazioni etc., cit., p. 37
196) ibid., p. 18
197) Pio X, Catechismo della dottrina cristiana, F.lli Lanzani, Milano 1913
198) in Pena di morte, Editing & Printing,
www.utopia.it
199) ibid.
200) G. Mauesbach, Teologia morale, § 17. La pena di morte Ed. Paoline, Roma 1954
201) B. Haring, La legge di Cristo. Trattato di teologia morale, Morcelliana, Brescia 1957
202) Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Libr. ed. Vaticana, Città vaticano 2005
203) Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995,
www.vatican.va/
204) Benedetto XVI, Discorso alla pontificia accademia per la vita,
www.vatican.va/
205) P. Welby, Lettera al Tg3, Tg 10/12/2006
www.fisicamente.net/index-1726.htm