È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Rispondi al messaggio
Nick
Titolo
Messaggio
Smiles
+ Opzioni Messaggio
Copia il codice di controllo qui sotto


   
Messaggio Iniziale
kelly70

07/05/2007 22:59
Riporto questo articolo a puntate perchè è molto lungo ma è particolare [SM=x789054]

Buona lettura [SM=x789063]

[SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048]
ciao

Kelly [SM=x789062]



Di Roberto Renzetti



" Ai laici non è consentito il possesso né dei libri del Vecchio Testamento né di quelli del Nuovo Testamento" (Disposizione del Sinodo di Tolosa del 1229)
"...darsi da fare in tutti i modi e con tutte le forze, affinché a nessuno venga consentita né oggi, né in futuro, la lettura, anche solo frammentaria del Vangelo..." (Regolamento ecclesiastico di Papa Giulio III [1550-1555])



La Genesi e L'Esodo (con cenni ad altri Libri)


Parlo della Bibbia, della più angosciosa lettura si possa fare. Per farlo mi rifaccio completamente al testo stupendo di Mario Alighiero Manacorda, Lettura laica della Bibbia , Editori Riuniti, 1989.

[SM=x789067] [SM=x789067] [SM=x789067] [SM=x789067] [SM=x789067] [SM=x789067] [SM=x789067]


Tra tante cose di sicuro interesse storico e bellezza letteraria, la Bibbia è un continuo ed ossessivo racconto di violenze, incesti, inganni, anatemi e stermini, quanti non se ne trovano per densità in nessuna altra letteratura del mondo. Ma ciò che è agghiacciante è che tutta questa serie di sadiche invenzioni o realtà è attribuita in toto al buon dio, dando così a vedere che questo dio è proprio pensato ad immagine e somiglianza dell'uomo.


Bibbia significa "i libri", la biblioteca, la raccolta dei testi che gli ebrei ritennero di dover salvare. Questi libri furono messi insieme in gran parte dai "preti leviti" durante la cosiddetta 'cattività babilonese' in Mesopotamia (prima nel 721 a. C. quindi dal 587 al 539 a. C.).


In quello che dirò io non intendo rispettare le idee degli altri quando sono immeritevoli di rispetto; ma rispettare gli altri. E gli altri, se vogliono che io rispetti le loro idee, adottino idee rispettabili: è l'unico modo per non dare scandalo. Ogni persona religiosa, quand'anche sia tollerante, non può non parlarti pensando di farlo in nome di Dio. E questo è segno del più profondo disprezzo verso l'interlocutore: è il vero peccato contro lo spirito dell'uomo (l'unico che conosco). Queste non sono idee rispettabili.


Sfido anche le sciocche minacce del Talmud che dice: "Un pagano che si occupa dello studio della Torah, è degno di morte" (Sahn., 59a) ammorbidite in altre parti che graziosamente mostrano tolleranza verso gli atei come me. In ogni caso anche io, ispirato da me stesso lancio un anatema: "Chi tenterà di scocciarmi sarà sonoramente spernacchiato". Per cui leggerò e commenterò più oltre alcuni brani che mi sembrano imbroglioni, violenti ed osceni in un libro che alcuni pazzi vogliono che sia di insegnamento religioso e quindi avere fini di insegnamento morale.
A parte il plurale che viene usato quando si parla di creazione nella Genesi (eredità politeista?), di creazioni se ne raccontano due ed io avrei interesse a capire come il mondo sarebbe nato.


Da una parte vi è ciò che tutti conoscono: “In principio, quando Dio creò il cielo e la terra , la terra era….” (1, 1-2). Il profeta ha bevuto o ha dimenticato il giorno prima: come si può infatti sostenere l’idea blasfema di una terra che coesiste con Dio al principio? E poi che disordinato che è Dio nel saltare da palo in frasca: 1° giorno, la luce (“Dio vide che la luce era cosa buona…”, è di interesse sapere che Dio era un empirico); 2° giorno, il firmamento; 3° giorno, i vegetali sulla terra; 4° giorno, i luminari nel cielo; 5° giorno, i pesci nei mari e gli uccelli nel cielo; 6° giorno, gli animali terrestri e l’uomo e la donna.



Nella seconda creazione appare uno degli dei, Geova. Egli plasma un pupazzo di argilla a forma di uomo e gli dà vita. Poi fa nascere intorno a lui un giardino (speriamo che non si sia confuso perché nella prima creazione i giardini vi erano prima dell’uomo! ). Inoltre l’uomo serviva per far crescere gli alberi, ma viene subito esautorato. Qui inizia il raccontino da mille ed una notte. Tra gli alberi vengono fatti crescere anche quello della vita e quello della conoscenza del bene e del male. Da questo giardino (Eden) escono 4 fiumi per irrigare l’Eden (sic! ). A questo punto viene il primo irragionevole comandamento di un dio schizofrenico o giocherellone: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare…” (2, 17). Qui vi è subito la minaccia, se mangi quel frutto muori (e la morte appare per la prima volta nella storia dell’universo). Poi viene da sorridere quando, Geova, parlando tra sé e sé si dice: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (2,18). Qui il vecchio con la barba sbaglia subito perché comincia a mescolare bestie con uomini. Infatti nel verso successivo si dice: “plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo” (2,19). Ecco, a parte, che questa creazione continua a differire dalla prima!
All’uomo il privilegio di dare il nome a questi animali. E l’uomo (meglio di Geova! ) visti tutti gli animali non ne trovò uno che gli fosse simile. Che distrattone il Geova!
E qui, sollecitato, si rimette all’opera.



Finalmente, quando l’uomo si addormenta “ plasmò con la costola che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo” (2,22) (chiedete a maschietti credenti se hanno o no una costola in meno, stupirete! ). La storia segue con una consequenzialità inesistente: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre …..(cosa dice il profeta? Non si era mai parlato di padre e madre)…..e si unirà a sua moglie, e i due saranno una sola carne.” (2,24). Geova qui fa lo Sgreccia della situazione o il profeta è un malevolo pettegolo: “[l’uomo e la donna] erano tutte e due nudi , ma non provavano vergogna” (2,25). Ditemi cosa vuol dire???
Ma il cattivo tramava, “il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte da Geova dio” (3,1) deve mettere zizzania ed alla povera Eva dice che se mangia quel frutto diventerà come dio.


Ma qui si mescola un vergognoso imbroglio: NESSUNO AVEVA DETTO NULLA AD EVA! E la neonata che vede ogni cosa come creazione di dio come fa a sospettare qualcosa? Eva prende il frutto e lo dà ad Adamo (evidentemente era lì in silenzio, il cretino! ) e, dopo aver morso … che succede? “che si accorgono di essere nudi”. (3,8) Caspita! Occorreva coprirsi ed i due cercano foglie con cui farlo. Ma perché???


E la storiella segue come tutti sanno con sciocchezze continue unite ad incongruenze che non possono essere state dettate da un dio se non da quello dell'osteria. Ma i cristiani assegnano alla creazione dei due giocherelloni una data precisa: il 4004 a.C. e guai a chi mette in discussione queste date, le età dei profeti, i ridicoli tempi della creazione, le ridicole successioni della creazione, i ridicoli tempi tra il diluvio e la ripopolazione di tutta la Terra, ... A lor credenti piace mettere in discussione la scientificità dell'evoluzionismo perché queste bufale sembrano loro molto più serie!


www.fisicamente.net/index-70.htm

[Modificato da kelly70 07/05/2007 23.01]

Ultime Risposte
Max Cava

24/06/2015 20:57
Re: Re:
kelly70, 23.06.2015 00:44:




Diglielo al Papa, mica a noi... siamo atei e ci regoliamo da soli...




Gia!

Cosa avrà inteso poi con: non commettere atti impuri... [SM=g27833]

[SM=g2407711]


kelly70

23/06/2015 00:44
Re:
Camomillo65, 21/06/2015 09:01:

Però questi comportamenti avvengono in stato di dura necessità: Abramo fa prostituire la moglie col faraone perchè teme di essere ucciso, non lo fa a cuor leggero! Le figlie di Lot fanno sesso col padre perchè dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra credono che non ci siano rimasti più uomini sulla terra, quindi lo fanno ritenendo di evitare l'estinzione del genere umano. Forse il catechismo biblico vuol sostenere che si possono fare strappi alle regole morali purchè ciò avvenga in stato di dura necessità e non a cuor leggero.




Diglielo al Papa, mica a noi... siamo atei e ci regoliamo da soli...

Camomillo65

21/06/2015 09:01
Però questi comportamenti avvengono in stato di dura necessità: Abramo fa prostituire la moglie col faraone perchè teme di essere ucciso, non lo fa a cuor leggero! Le figlie di Lot fanno sesso col padre perchè dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra credono che non ci siano rimasti più uomini sulla terra, quindi lo fanno ritenendo di evitare l'estinzione del genere umano. Forse il catechismo biblico vuol sostenere che si possono fare strappi alle regole morali purchè ciò avvenga in stato di dura necessità e non a cuor leggero.
kelly70

20/06/2015 23:13
Re:
Camomillo65, 20/06/2015 15:33:

Scusa cara Kelly70 ma in base a quale criterio secondo te Abramo sarebbe immorale a far prostituire la moglie? Dal punto di vista laico non potrebbe essere eticamente normale indurre la moglie a prostituirsi se essa è consenziente? Nel testo biblico non ci sono prove che Abramo costringa Sara con la violenza a prostituirsi: lui propone alla moglie di far sesso col faraone e lei accetta senza costrizione,cosa c'è di male? Tieni anche presente che Abramo fa questa cosa solo perchè teme di essere ucciso dagli egiziani, questo è un timore legittimo non ti pare? E poi sempre da un punto di vista ateo-libertario cosa c'è di male nell'incesto di Lot con le figlie se questo è un comportamento che avviene tra persone consenzienti? Prova a considerare questo fatto: non avviene nessuno stupro! Da quale etica derivano la condanna della prostituzione e dell'incesto? Io ho un libro dello scrittore ateo Karl Heinz Deschner "Storia del sesso nel Cristianesimo" dove ad un certo punto l'autore ateo ed anticlericale sostiene che l'incesto è un comportamento normale che avviene anche tra gli animali.....




Credo che l'autore intendesse far notare che benchè la chiesa condanni questi comportamenti, nella Bibbia essi erano compiuti senza problemi...appunto.


Camomillo65

20/06/2015 15:33
Scusa cara Kelly70 ma in base a quale criterio secondo te Abramo sarebbe immorale a far prostituire la moglie? Dal punto di vista laico non potrebbe essere eticamente normale indurre la moglie a prostituirsi se essa è consenziente? Nel testo biblico non ci sono prove che Abramo costringa Sara con la violenza a prostituirsi: lui propone alla moglie di far sesso col faraone e lei accetta senza costrizione,cosa c'è di male? Tieni anche presente che Abramo fa questa cosa solo perchè teme di essere ucciso dagli egiziani, questo è un timore legittimo non ti pare? E poi sempre da un punto di vista ateo-libertario cosa c'è di male nell'incesto di Lot con le figlie se questo è un comportamento che avviene tra persone consenzienti? Prova a considerare questo fatto: non avviene nessuno stupro! Da quale etica derivano la condanna della prostituzione e dell'incesto? Io ho un libro dello scrittore ateo Karl Heinz Deschner "Storia del sesso nel Cristianesimo" dove ad un certo punto l'autore ateo ed anticlericale sostiene che l'incesto è un comportamento normale che avviene anche tra gli animali.....
kelly70

14/08/2007 01:24
Considerazioni dell'autore

Questa sarebbe una storia infinita ed in realtà lo è. Come fare con la logica e la ragione a convincere chi alla fede affida le sue speranze. Tutto sarebbe ancora comprensibile, al secondo ordine, se ci si affidasse ad un dio immateriale a cui rivolgersi con ogni preghiera. Il fatto è che qui si vuole creare un dio che dovrebbe discendere da fatti terreni, un personaggio poco raccomandabile che sarebbe stato meglio non aver mai conosciuto. Un vendicativo assassino. Un geloso ed invidioso. Il peggio dei peggiori degli uomini perché ha la forza di fare del male e la usa.

SAUL - I culti e le leggende antiche ci raccontano di indovini che diventavano capaci di prevedere quando cadevano in trance ballando vorticosamente sotto l'effetto di droghe. E' il motivo per cui i sogni (e le profezie che ne conseguivano) nella Bibbia hanno grande rilevanza, le droghe in un popolo che viveva in deserti sterminati alleviavano molto la vita. Il racconto di un aneddoto relativo a Saul ci dà buona mostra di quanto ho appena detto. Saul si dirige verso la città di Gabaa appena uscito dalla sua tenda. Prima di arrivare gli si fanno incontro dei profeti che cantavano e suonavano mentre profetizzavano. Entrato nel gruppo Saul iniziò a profetizzare con loro (il profetizzare aveva il senso di improvvisare rime accompagnati da musica, il cantare insomma. A Roma la cosa si mantiene ancora: gli stornellatori accompagnati da una chitarra sono dei profeti eccellenti).

DAVIDE - Il grande Davide è ricordato solo nella Bibbia. Poveraccio nessuno che ricordi un tale mito ! In un certo periodo il Re si era comportato male avendo disubbidito a Dio. Dio naturalmente lo deve punire e, nella sua magnanimità, gli permette di scegliere la pena: "Vuoi tre anni di carestia nel tuo paese o tre mesi di fuga davanti al nemico che t'insegua oppure tre giorni di peste nel tuo paese ?". Davide scelse la peste ed il popolo ebraico su ancora decimato "da Dan a Betsabea morirono settantamila persone del popolo. Ma il signore si pentì (che strazio! che incostanza! che volubilità!) di quel male che aveva fatto e disse all'angelo che distruggeva il popolo 'Basta, ritira ora la tua mano!' " (II Sm. 24-13).

SALOMONE - La premessa è che sotto il regno di Salomone "Giuda ed Israele erano diventati numerosi come la sabbia del mare e mangiavano e bevevano allegramente" (I Re. 4). Naturalmente la grandezza di petulanti elemosine in Egitto si misura a suon di piramidi. E Salomone, con le stesse modalità con cui si costruivano le piramidi, si mise a far costruire il Tempio: "Il re Salomone reclutò il lavoro forzato [facendo smettere le gozzoviglie di cui prima, n.d.r.] ed il lavoro forzato era di trentamila uomini. Salomone aveva settantamila operai addetti al trasporto di materiale e ottantamila scalpellini a tagliar pietra sui monti, senza contare gli incaricati dei prefetti che erano tremila trecento preposti da Salomone al comando delle persone addette al lavoro. Il re dette ordine di estrarre grandi massi, tra i migliori perché venissero squadrati per le fondamenta del tempio" (I Re 4/14). Boooooooom!!! Ma vi rendete conto delle bestialità che sono scritte in questo pezzo ? E pensare che i due archeologi di cui ho già detto, proprio alla ricerca di queste fondamenta, non hanno trovato nulla! Ma poi la cosa prosegue con tagli di cedri che richiamano alla mente il legno utilizzato da Felipe II per costruire l'invincibile armata. Con pranzi pantagruelici giornalieri che avrebbero lasciato senza fiato Ramses II: "I viveri di Salomone ogni giorno erano di 140 quintali di fior di farina e 270 quintali di farina comune, dieci buoi grassi, venti da pascolo e cento pecore, senza contare i cervi, le gazzelle, le antilopi ed i volatili da stia.. Salomone possedeva 4000 greppie per i cavalli dei suoi carri e dodicimila cavalli da sella" (I Re 5/6). La Bibbia prosegue magnificando il personaggio che fa regali alla Regina di Saba da lasciarla senza fiato che ha trecento concubine e e settecento principesse come mogli ed una di queste era la figlia di un faraone. Quale ? Ma scherzate ? mai date precise su cose verificabili ! Senza vergogna e senza preoccupazioni per la verificabilità nel futuro che, da bravi profeti, non immaginavano avesse memoria.

IL DIO DELLA BIBBIA - Una specie di Dea Kalì, un mostro tremendo e terrorifico, un disastro in tutto. E' millantatore e bugiardo (I Sm 9/15) (I Sm 7/16) (Es 32/10). E' illogico e superficiale (Es 32) (Gn 4/3). E' spietato e violento (Dt 13) (I Sm 15) (Dt 2/30) (Dt 3/6) (Dt 7/16) (I Sm 2/6). E' totalmente insicuro ed ha sempre bisogno di prove. E' vendicativo (Nm 31). Ignora il futuro. E' ambizioso, vanitoso, amante delle adulazioni e del lusso (Gn 25, 26, 27, 28, 29, 30) (Lv 1/14). E' un ricattatore. E' uno schiavista (Lv 27). E' collerico e criminale (Dt 28/15). E' incoerente e contraddittorio (Lv 9 e segg.) (Gn 4/15) (Nm 11 e segg.). Consola le donne sterili (Gn 21) (Gn 25/25). E' disilluso e frustrato 2 Sm 7/5) (Gn 16). Andate a leggere questi brani, vi accorgerete quanto i peggiori incubi di ogni letteratura del terrore sono favolette per bambini piccoli. Un dio così è proprio in svendita. Un dio che va bene per un popolo raccogliticcio, senza tradizioni culturali, perennemente errabondo per il deserto.

www.fisicamente.net/index-70.htm
kelly70

14/08/2007 01:22
...I dieci comandamenti

Storicità dei comandamenti terreni (4°- 10°)

Ai tre comandamenti concernenti la divinità, cioè la sua esclusività per gli ebrei, il suo nome e la santificazione del sabato (più il divieto di venerare immagini), fanno seguito comandamenti morali sui nostri comportamenti terreni.

Anche su questi e sulla loro storia ci sarebbero infinite cose da dire, ma mi limiterò al minimo indispensabile.

Il quarto comandamento, nello scendere dal cielo in terra, comincia opportunamente dal rapporto tra generazioni: «Onora il padre e la madre...» (Es., 20, 12 = Df., 5, 16). Certo, trattandosi di un rapporto bilaterale tra le due generazioni, avrebbe potuto comandare con altrettanta legittimità «Ama i tuoi figli»; ma è evidente che tra queste due possibilità c'è stata una scelta obbligata, condizionata cioè dal carattere patriarcale (in senso lato) della società ebraica di allora. Curiosamente, nella proposizione che completa il comandamento, il protagonista reale, anche se sottinteso, del discorso sono proprio i figli: «... perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà Geova tuo Dio» (ibidem).

Pare evidente che la vita di ciascuno possa prolungarsi non in quanto egli abbia onorato, da giovane i suoi genitori, ma in quanto sia egli stesso «onorato» da vecchio dai propri figli: che sono dunque il soggetto reale dell'azione comandata. Ma per l'autore del comandamento il soggetto ideale resta comunque il padre; e che si dimentichi di comandargli di amare il figlio non è senza significato. Le letterature antiche ci hanno tramandato varie vicende illustranti il rapporto padre-figlio (Edipo ecc.) Tuttavia, ciò che nella letteratura greca ha dato comunque origine a un problema, si svolge senza problemi nella Bibbia: il figlio ha doveri verso il padre, non il padre verso il figlio. In che cosa poi consistano questi doveri, è presto detto: «onorare» significa concretamente «mantenere», anche se in questo non si esaurisce tutto l'«onore» dovuto al padre.

Nell'insieme, infatti, la dipendenza dei figli dai padri era totale, né cessava con l'età: il padre combina i matrimoni dei figli, e al figlio «testardo e ribelle, che non obbedisce alla voce né di suo padre né di sua madre, e, benché l'abbiano castigato, non dà loro retta» (Dt., 21, 18), tocca la lapidazione a opera di tutti gli uomini della sua città; e la sanzione è fortemente sottolineata: «Così estirperai da te il male, e tutto Israele lo saprà e avrà timore» (21, 21). A maggior ragione, «colui che ucciderà suo padre o sua madre sarà messo a morte»(Es.,21,17).

Ed eccoci così arrivati al quinto comandamento, che dice semplicemente: «Non uccidere» (Es., 20, 13 = Dt., 5, 17). Ma anche qui le cose non sono così semplici. Questo è in sé il comandamento più umano, ma è anche il più bugiardo sulla bocca di Mosè, ed è quello meno rispettato dallo stesso Geova e, perciò, da tutti coloro che hanno spirito religioso. A parte tutti gli altri viventi, destinati da dio a morire uccisi da altri viventi o dall'uomo, è lo stesso Jahvè a punire morte con morte, quando promette che chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte. E Mosè? Ma come? Fresco dell'uccisione e della sepoltura sotto la sabbia dell'egiziano, e dell'esaltazione di Geova, prode in guerra, che con «la sua destra annienta il nemico» egiziano; pronto poi, in occasione del vitello d'oro, a dar ordine ai suoi leviti di uccidere ognuno il proprio fratello, il proprio amico, il proprio parente; a far lapidare un uomo per una bestemmia o per aver raccolto legna il sabato; a esultare, chiamandola «una cosa meravigliosa», per la morte di Gore e di Datan e Abiram con tutte le loro famiglie, e a organizzare l'espiazione, cioè il massacro, per le quattordicimilasettecento persone che avevano protestato per quella morte; e a eseguire poi scrupolosamente tutti gli stermini di altri popoli, comandati secondo lui dal dio Geova...: questo Mosè darebbe poi l'ordine di «non uccidere»?

L'ipotesi è totalmente assurda, anche se, evidentemente, significa soltanto «non uccidere ebrei innocenti, ma uccidi poi gli ebrei colpevoli di qualche trasgressione e gli impuri stranieri, a piacimento». No: questo comandamento non significa affatto quello che noi pensiamo che possa significare oggi; e non è nemmeno il comandamento cristiano, dal momento che anche i cristiani hanno commesso e benedetto per millenni tutti gli omicidi e i genocidi: ufficialmente a cominciare dall'imperatore Teodosio e dal santo Agostino, che santamente ammoniva di non uccidere alcun uomo «eccetto quelli che dio comanda di uccidere» (De Civ., VIII): dio, o chi immagina di essere il suo interprete.

Insomma, la pena di morte è sempre presente in questi pii codici, come negli empi codici di tutti gli altri popoli. Non c'è differenza: «Colui che colpisce un uomo causandone la morte, sarà messo a morte» (Es., 21, 12) il taglione lo vuole.

E passiamo al sesto comandamento, che dice: «Non commettere adulterio» (Es., 20, 14 = Dt., 5, 18), e che, malgrado l'apparenza, non è poi cosi chiaro. Naturalmente, nemmeno questo è un'invenzione di Mosè, trovandosi già nel codice di Hammurabi, vecchio ai suoi tempi di mezzo millennio; ed è soprattutto da interpretare per quello che vale in una società che praticava tranquillamente poligamia e concubinato. Sorvolo sul fatto che in italiano ci veniva comunemente tradotto, e insegnato quando eravamo bambini, con l'indecifrabile «non fornicare», senza che ci venissero date le opportune, o inopportune, spiegazioni, si che noi pensavamo irresistibilmente alle formiche, senza capire quali fossero le loro colpe. Ci si diceva anche, con formulazione più ampia: «Non commettere atti impuri», e questo risultava chiaro anche alla incipiente malizia infantile, riferendosi senza dubbio a pratiche sessuali come la masturbazione o onanismo, sul quale la Bibbia ci ha già erudito con molta confusione, e altre simili. Nella sostanza, questo comandamento allude essenzialmente ai rapporti extramatrimoniali, con donne a loro volta sposate o anche soltanto fidanzate, e con meretrici. A questi si riferisce il Codice deuteronomico: «Quando un uomo verrà colto in fallo con un donna maritata, tutti e due dovranno morire» (Dt., 22, 22); «Quando una fanciulla vergine è fidanzata, e un uomo... pecca con lei, condurrete tutti e due alle porte della città e li lapiderete così che muoiano» (22, 23). Dove l'unica cosa sicura è che Mosè, non avendo città, non poteva dare quest'ordine, che appartiene dunque a un'età successiva. E comunque, anche questo comandamento, nonostante la parità delle pene per i due sessi, ha tutta l'aria di rivolgersi solo all'uomo, primo responsabile, anche se si continuerà per secoli a parlare della «fragilità» della donna e della condiscendenza dell'uomo. È però interessante che nel Levitino (molto più recente)le proibizioni sessuali cominciano con un riferimento preciso: «Non farete come si fa nel paese d'Egitto dove avete abitato, né come si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi...»(Lv., 18, 3); e si continua con una minuziosa casistica di pratiche incestuose tra consanguinei» ripresa anche nelle «Maledizioni» di Mosè in Deuteronomio (27), che né Mosè né gli antichi patriarchi né i successivi re, tutti intenti a praticare anche una rigorosa endogamia, si sono mai sognati di evitare. Ma basta con questo peccato, ossessivo nella Bibbia e più ancora in tutta la tradizione cristiana fino a oggi.

Il settimo comandamento è anch'esso breve e conciso: «Non rubare» (Es., 20, 15 = Dt, 5, 19).

Ma la sua apparente perentorietà vale quanto quella del «non uccidere». E’ evidente che per gli aspetti dello sterminio o consacrazione a Geova, che riguardano le cose, il saccheggio in guerra dei beni dello straniero non è un rubare, come non è un uccidere lo sterminio di nemici. E’ invece un rubare l'appropriarsi dei beni consacrati.

Per il resto non mancano sia nel Codice dell'alleanza in Esodo sia nel Codice deuteronomico alcune specificazioni di questo divieto: «Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse» (Es., 22, 24); «Alla fine di ogni sette anni celebrerete l'anno di remissione:... ogni creditore... lascerà cadere il suo diritto...» (Dt., 15, 1-2). Si tratta dunque di limiti posti all'usura, che il cristianesimo medievale riprenderà universalizzandoli, ma che qui sono significativamente considerati solo come riguardanti i rapporti interni al popolo di Israele.

L'ottavo comandamento dice: «Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo» (Es., 20, 16 = Dt., 5,20): dal che risulta un'altra volta evidente che la si poteva lecitamente pronunciare contro gli altri, e si spiega così l'iniziale imperturbabilità di Giacobbe allo spergiuro di Simone e Levi contro i sichemiti. Comunque, nell'ambito del prossimo, cioè del popolo d'Israele, anche questo comandamento aveva una sua primaria importanza, trattandosi di una società in cui nei giudizi dei tribunali la testimonianza giurata in nome di dio aveva valore determinante. In realtà, questo comandamento andrebbe associato al secondo, che ammonisce di non nominare il nome di dio invano: questo è infatti il senso del «giurare», impegnarsi solennemente di fronte a dio, invocando il suo nome. Gli antichi, anche i romani, ci credevano tanto che il giuramento valeva anche se estorto a forza.

Il nono e il decimo comandamento dicono: «Non desiderare la casa del tuo prossimo» (Es., 20, 17) ovvero «Non desiderare la moglie del tuo prossimo» (Dt., 5, 21). E qui debbo anzitutto ricordare che nella Bibbia ebraica questi comandamenti costituiscono insieme il decimo, dovendosi contare anche il secondo sul divieto delle immagini. Comunque, l'un testo e l'altro, opportunamente sostituendo la moglie alla casa e viceversa, più o meno concordi ammoniscono: «...Non desiderare la moglie (la casa) del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bene, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (ibidem). Queste due diverse redazioni, risolte dai cristiani cattolici accettando l'ordine del Deuteronomio, che mette prima la moglie, e separando le due prescrizioni per recuperare il numero complessivo di dieci, testimoniano una certa evoluzione ma non eliminano certo tutte le aporie. Innanzitutto, questo duplice comandamento, sulla moglie e le cose, è già anticipato nel sesto («Non commettere adulterio») e nel settimo («Non rubare»), e non se ne vede proprio la necessità. Poi conserva sempre la limitazione al «prossimo», dal quale restano evidentemente esclusi quelli che tali non sono, cioè gli stranieri. Inoltre ricompare il carattere maschilista di questi comandamenti che, con minore o maggiore evidenza, dichiarano sempre la donna come proprietà dell'uomo. Come il figlio rispetto al padre, così la donna rispetto all'uomo non è mai soggetto di diritti e responsabile delle proprie azioni: anche se in caso d'adulterio uomo e donna vengono ugualmente lapidati; la donna resta una proprietà dell'uomo, associata alla casa, per la quale pare fatta da natura.

Unica consolazione di questo non edificante precetto nella redazione cristiana è che la «cosa-donna» è nominata a sé non mescolata agli animali come nel racconto dei doni fatti dal faraone ad Abramo, dove, trattandosi però di schiavi, veniva allegramente elencata cosi: «greggi e armenti, schiavi e schiave, asine e cammelli».

Superfluo dal punto di vista della morale, disturbante dal punto di vista della disposizione e della simmetria dell'insieme, valido solo a ribadire il carattere patriarcale dell'intero testo e il suo riferirsi solo alle cose interne a un dato popolo, questo comandamento conclude anche il mio discorso.

Come da un insieme cosi limitato e contraddittorio sia potuta derivare una morale valida per millenni, è un problema aperto. Abbiamo in parte capito come il limitato e parziale possa diventare universalmente umano, quando la perdita della forza materiale costringa a riflettere sui valori ideali. Resta tuttavia, e resterà indefinita, la contraddizione persistente tra la predica che qui ascoltiamo, e la pratica che tutti pratichiamo. Tutti: e finora soprattutto i predicatori, che in privato e in pubblico, come individui e come Stati cristiani e anzi «cristianissimi», li hanno sistematicamente violati tutti. E tra i violatori si sono sempre distinti i potenti, i cui peccati sono stati perennemente giustificati e benedetti in nome di Dio.

La religione non ha mutato in niente i costumi dell'uomo: li ha resi, semmai, più contraddittori con le idealità proclamate, aggiungendovi così la sua ipocrisia: «accumulando duol con duolo», per dirla con Dante. In questo senso è stata davvero, ed è tuttora, il male del mondo.


www.fisicamente.net/index-70.htm
kelly70

14/08/2007 01:20
...I dieci comandamenti

Il terzo comandamento ci porta in apparenza, nel nome di Geova, in ambiente terreno; ma in realtà restiamo nellapura teologia. Non a caso nella redazione deuteronomista è il più prolisso. La sostanza è questa: «Ricordati del giorno di sabato per santificarlo... Perché in sei giorni Geova ha fatto il cielo e la terra e il mare, e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo...» (Es., 20, 8-11)

Questa del sabato è la sola vera presenza diffusa del primo racconto della creazione nel resto della Bibbia e anche nella tradizione cristiana, al livello del senso comune.

Qui la teologia assume un grande valore umano: il diritto a essere periodicamente liberi dal lavoro, un diritto che può essere pienamente conquistato solo nelle civiltà che dispongano di un surplus di prodotti (o in cui alcuni pochi dispongano di molti schiavi), viene qui affermato come valore di principio. Certo anche i greci avevano la loro scholé, e i latini il loro otium, nonché le loro feste periodiche: e sebbene le feste periodiche fossero per tutti, padroni o servi, e talvolta, come i saturnali, comportassero un momentaneo rovesciamento dei rapporti tra loro, tuttavia la scholé o otium come tempo per gli «svaghi» intellettuali era cosa riservata agli uomini liberi, ignota agli schiavi. Per gli ebrei questo riposo assume un valore generale di edificazione, che i romani non riescono a comprendere. Seneca, citato da sant'Agostino nella Città di dio, diceva che «perdevano circa la settima parte della loro vita senza far niente» (VI, 11); e Tacito ripete: «Dicono che nel settimo giorno abbiano stabilito il riposo (otium} perché quel giorno avrebbe portato la fine delle loro pene [dell'esodo]. Altri invece che sia in onore di Saturno...» (Hist., V, 4), che qui Tacito identifica palesemente con Geova.

Comunque, l'osservanza di questo riposo del sabato divenne a poco a poco assurdamente ossessiva, e la Bibbia ci dà subito un tragico esempio di come venisse fatto rispettare: «Mentre gli israeliti erano nel deserto, trovarono un uomo che raccoglieva legna nel giorno di sabato... Geova disse a Mosè: "Quell'uomo deve essere messo a morte: tutta la comunità lo lapiderà fuori dall'accampamento"» (Nm., 15,32-36).

Se questo racconto ha tutta l'aria di un apologo moralistico, intercalato in prescrizioni liturgiche da qualche pio sacerdote redattore del testo che noi possediamo, l'osservanza del sabato si definì sempre più rigorosamente. A un certo momento si giunse a redigere un preciso canone di trentanove lavori proibiti nei vari campi: agricolo (seminare, arare, cuocere), pastorale (filare), di sartoria (cucire due punti, strappare il filo necessario per cucirli), cacciare, scrivere due lettere dell'alfabeto, cancellare dalla tavoletta quanto necessario per scriverle, costruire o demolire più di tanto, accendere o spegnere un fuoco, battere col martello e così via. La casistica era davvero infinita: «Può un sarto portare con sé l'ago di sabato? Può una donna raccogliere un granello di pepe cadutole di bocca il sabato?».

Certo è che il rispetto del sabato portò non poche sofferenze agli ebrei, che consideravano la sua violazione come un atto sacrilego, in quanto negava il culto del loro dio, e intendevano rispettarlo anche in guerra. Il libro dei Maccabei lamenta che, durante le persecuzioni di Antioco Epifane, «non era possibile osservare il sabato, né celebrare le feste tradizionali, né fare aperta professione di giudaismo» (2 Mac., 6, 6), e aggiunge particolari tremendi: «Altri che si erano raccolti nelle vicine caverne per celebrare il sabato..., vi furono bruciati dentro, perché essi avevano ripugnanza a difendersi per il rispetto a quel giorno santissimo» (6,11).

Più tardi, anche nelle guerre contro i romani il sabato fu occasione di disastri. Tito Livio, citato da Flavio Giuseppe, racconta dell'espugnazione di Gerusalemme da parte di Pompeo, nel 63 a.C.: «Presa la città nel giorno del digiuno, mentre i romani, entrati a forza, sgozzavano quelli che erano nel tempio, tuttavia costoro continuavano a celebrare il rito divino; né per timore di perdere la vita né per la moltitudine di quelli già uccisi furono volti in fuga, ritenendo meglio sopportare presso gli altari tutto ciò che era necessario soffrire, piuttosto che trascurare un comandamento delle leggi patrie» (Ant. Iud., XIV, 4,3).

Le stesse cose ci racconta lo stesso Flavio Giuseppe nella sua Guerra giudaica, riferite in particolare alla guerra condotta da Vespasiano e conclusa dal figlio Tito con la definitiva presa e distruzione di Gerusalemme; tra gli altri episodi che tralascio, parlando dell'assalto agli alloggi sacerdotali, ci informa che lì, dal tetto «ogni settimana, secondo il rito, uno dei sacerdoti saliva per preannunciare nel pomeriggio col suono della tromba l'inizio del sabato, e la sera del giorno dopo per annunciarne la fine, dando così al popolo il segnale per la sospensione e la ripresa del lavoro» (Bel. Iud., IV, 582). Dove si trova anche l'indicazione dell'origine del suono delle campane nelle chiese cristiane per chiamare al rito e, con anche maggiore evidenza, l'origine delle preghiere del muezzin islamico dall'alto dei minareti. Si può aggiungere a quella che veniva dal discorso di Salomone per l'inaugurazione del tempio, di pregare rivolti verso la città santa, che anticipa la preghiera musulmana verso la Mecca.

Queste cose fanno capire la santità del sabato. Ma perché non raccontare anche, a questo punto, di come gli ebrei seppero ripagare i cristiani per il fatto di averlo sfruttato per vincerli, e poi di averglielo sottratto e scambiato con la domenica, con imprevedibili conseguenze?

Avvenne nel 408 d.C. Reparti giudaici delle truppe romane attaccarono di sorpresa, di domenica, i visigoti, già accampati nell'Italia settentrionale in una posizione incerta se di ospiti o di invasori dell'impero. Fosse o no intenzionalmente una provocazione o una vendetta degli ebrei contro i cristiani (che tali erano i visigoti), l'attacco ottenne un effetto che certo non dovette dispiacere agli ebrei: né a quei pochi tra loro che erano soldati romani né alla loro maggioranza dispersa nell'impero. I visigoti percepirono l'attacco mosso, di domenica, contro di loro, cristiani, come un'azione di anticristiani (e certo tali erano gli ebrei), e li dovettero identificare semplicisticamente coi «pagani», come già allora si chiamavano gli eredi della cultura ellenistico-romana. Così pensarono di vendicarsi sulla aborrita Roma pagana, e corsero ad assediarla attraversando mezza Italia: e dopo due anni di assedio la presero, la saccheggiarono e massacrarono gran parte della popolazione, risparmiando però i cristiani. Si può dunque dire che coloro che, sia pure indirettamente provocarono la prima caduta di Roma, furono gli ebrei, che così vendicarono la caduta di Gerusalemme. Se si aggiunge questa materiale, concretissima vendetta a quella già compiuta, anch'essa indirettamente a dire il vero, attraverso la cristianizzazione di Roma, che è, volere o no, una giudaizzazione, si potrà misurare quali siano state le forze della religione ebraica, e quali possano essere le forze della religione in generale. Nel bene o nel male.

kelly70

14/08/2007 01:18
I dieci comandamenti


Nei dieci comandamenti, che non ho discusso facendo la sintesi della Genesi e dell’Esodo per non spezzare la cronologia, si riassume tutta l'eticità e la religiosità ebraico-cristiana.

Come spesso nella Bibbia, il testo compare in due redazioni, in Esodo (20) e in Deuteronomio (5) e questo comporta già la necessità di badare agli sviluppi storici di questa legislazione e di questa moralità. Che in essa siano presenti molti elementi di legislazioni di altri paesi, è cosa ben nota: ci si può rifare, ad esempio, all'antico codice di Hammurabi, del 1750 circa a.C., o alle più recenti leggi assire del sec. XIII a.C. (basta poi recarsi in Egitto a visitare una qualunque tomba e si ritroveranno gli ultimi 7 comandamenti in positivo: io ho rispettato questo, io ho rispettato quello,...) In generale si attribuisce a merito degli ebrei l'aver saputo costringere in brevi sentenze quello che, nelle altre legislazioni è disperso in una casistica interminabile: e certo questo è vero, ma soltanto per la prima redazione. Forse ciò era anche dovuto, se il loro testo originario era davvero così antico, alla necessità di una memorizzazione orale presso un popolo di nomadi che non disponeva di biblioteche, ma portava tutti i suoi beni sul dorso di asini e cammelli e li riponeva in tende. E alle opportunità mnemoniche risale certo anche la formulazione prevalentemente in negativo dei comandamenti (non far questo, non far quello).

La cosa proibita risulta meglio, e tutto il resto è permesso.

D'altra parte, le lungaggini casistiche seguono subito anche nella Bibbia, col codice dell'alleanza (Es., 20-23), e poi col codice deuteronomico (Di., 12-26) e la legge di santità (Lv., 17-26), per non parlare del Levitico tutto intero. Sono prescrizioni successive, in gran parte risalenti all'epoca in cui ci sarà un sacerdozio consolidato, con un suo tempio e una sua complessa liturgia.

Ma, tornando ai dieci comandamenti, per iniziare, di tutto vi si parla, meno che di circoncisione: più che giusto, da parte dell'incirconciso Mosè, e contribuisce a una loro possibile universalizzazione. Il loro numero, e la loro diversa struttura fecero discorrere molto: se alcuni sono enunciati brevissimi, altri svolgono discorsi complessi. Flavio Giuseppe li sintetizzò perfettamente (Ant. lud., III, 91), ma la Chiesa cattolica, presa tra la necessità di conservare il numero perfetto di dieci (la potente tetrakis), e quella ancor più stringente di conformarli alla propria teologia e liturgia, dovette cambiare un pò le cose. Si attestò infine sulla proposta di sant'Agostino, togliendo il secondo comandamento che proibiva le immagini, e risolvendo in due l'ultimo: con scarsa intelligenza e mediocre risultato come vedremo.

Io qui mi soffermerò sulla redazione biblica originaria, ma tenendo presente anche quella cristiano-cattolica: e questo ci aiuterà a capire come nella storia degli uomini possa accadere che si assumano parole antiche per dire cose nuove.

Il primo comandamento: «Io sono Geova tuo Dio...: Non avrai altri dèi di fronte a me» (Es., 20, 2 = Dt., 5, 6), è comunemente gabellato come la fondamentale affermazione della unicità di dio e come prova dell'originario monoteismo degli ebrei. Comunemente, dico; ma non per gli addetti alle segrete cose, dato che oggi perfino i teologi sanno ben distinguere tra monoteismo e politeismo, anche se non si curano troppo di dar pubblica voce alle loro distinzioni.

In realtà quel comandamento prova, al più, l'unicità non di dio, ma del dio di Israele: prova cioè che gli ebrei avevano come loro proprio un solo dio. Intanto questo non esclude che essi riconoscessero, e in molte occasioni venerassero, anche gli dèi di altri popoli: anzi, sia nelle affermazioni di principio sia nella pratica di vita, questo avvenne per secoli. Ma, quel che più conta, proprio quel testo in apparenza monoteista dimostra il sostanziale politeismo di Israele. Non solo vi si parla di Geova (e non del «Signore», come dicono i cristiani), ma questo dio chiamato per nome è un dio in mezzo ad altri dèi, che hanno altri nomi. Se no, che bisogno ci sarebbe di un nome? e che bisogno avrebbero avuto i cristiani di sostituirlo appunto con «Signore»? Il «non avere altri,dèi», non significa affatto negare la loro esistenza, ma soltanto escluderne il culto; e la parola «Elohim», del primo versetto della Bibbia e in altri suoi passi, indica inequivocabilmente altri dèi, e non Geova. Insomma, per gli ebrei, in questa fase del- la loro storia e in questa tipica manifestazione della loro religiosità, si può parlare semplicemente di politeismo corretto da una esclusiva monolatria o, più semplicemente, di politeismo monolatrico.

Solo molto lentamente passeranno dalla proibizione del culto di altri dèi alla affermazione della loro inesistenza: ma all'inizio il loro dio è inequivocabilmente un dio tra gli altri, con la sola differenza che è un dio «geloso». Quello stesso comandamento che per gli ebrei era il secondo e che i cristiani hanno cancellato, nel proibire il culto delle immagini (ma i cattolici dopo molte battaglie continueranno a venerarle), ammonisce: «Io, Geova, sono il tuo dio, un dio geloso» (ivi): e questa faccenda della gelosia (di cosa se non di altri dèi?) torna più volte, sia in Esodo, sia in Deuteronomio, in Giosuè, in Geremia, in Ezechiele ecc. ecc. E’ una dichiarazione di un esclusivismo intollerante e settario, che il popolo ebraico abbandonò a più riprese per lunghi periodi della sua storia, soprattutto durante il fiorire dei suoi due regni di Israele e di Giuda, più o meno profondamente influenzati dalle culture delle popolazioni dominate e confinanti. Non è necessariamente una loro superiore idea della divinità. Dovrà passare del tempo perché da un dio geloso si passi a un dio unico, perché il totem di una tribù di beduini (o qualunque cosa siano stati gli ebrei delle origini) divenga il creatore del cielo e della terra, perché il padre e il «signore» di quei pochi divenga il Padre e il Signore di tutti. Per arrivare a questa concezione, il popolo ebraico dovrà vivere la dura esperienza della sconfitta, che è sconfitta e scomparsa del suo «dio degli eserciti», e poi trovarsi proseguito e insieme smentito dalla sua filiazione cristiana, la quale sola ritrova, bene o male, e più male che bene, un dio universale. Anche i suoi profeti, Isaia nella seconda metà dell'VIII sec. a.C., Geremia alla fine dello stesso secolo, Ezechiele dopo un altro secolo, parlano sempre del «nostro» dio e degli «altri dèi». Sono più tardive le affermazioni effettivamente monoteiste.

La concezione diffusa resta quella di un dio (che dal momento della conquista è «dio degli eserciti», 1 Som., 1, 3) in mezzo agli altri. Così sulla bocca di Mosè nel canto della vittoria per il successo dell'esodo, sentiamo dire: «Chi è come te fra gli dèi, Geova?» (Es., 5, 11), così sulla bocca di Salomone, quando parla al popolo consacrando il tempio, sentiamo dire: «Geova, Dio di Israele non c'è un Dio come te, né lassù nei cieli, né quaggiù sulla terra!» (1 Re, 8, 23), non ce n'è «uno come lui» vuol dire che ce sono tanti, diversi e inferiori a lui.

Lo stesso cristianesimo, del resto, conservò a lungo, anche nelle riflessioni dei suoi massimi pensatori, una strana incertezza sull'esistenza o meno di altri dèi o demoni, e insistendo tanto su Satana (anche con gli ultimi papi) e aggiungendo agli angeli pagano-biblici i suoi santi, ha contribuito non poco a conservare nell'opinione diffusa una concezione politeistica.

Resta tuttavia che il primo comandamento, letto come è nel testo biblico originario e come viene adattato nelle traduzioni cristiane, ha due significati del tutto diversi: chiaro il primo, equivoco il secondo. A essi se ne sta aggiungendo oggi un terzo, che riconquista una sua chiarezza monoteistica. Leggiamoli tutti e tre.

«Io sono Geova, tuo Dio» è chiaramente la formula di un politeismo monolatrico, che ha bisogno del nome per distinguere questo dio dagli altri.

«Io sono il Signore, tuo Dio» è la formula che si impone nel cristianesimo trionfante e separato ormai del tutto dall'ebraismo nel IV sec. d.C., ma, presa com'è tra l'incudine della tradizione e il martello della nuova concezione, resta a metà, del tutto sgangherata e insignificante. Non spiega niente, è semplicemente una tautologia.

Nel secondo racconto sulla vocazione di Mosè c'è un passo che dice

«Dio (Elohim) parlò a Mosè e gli disse: "Io sono Geova! Sono apparso ad Abramo, a Isacco e Giacobbe come Dio onnipotente [El Shaddai], ma col mio nome di Geova non mi sono mai manifestato a loro"» (Es., 6, 3). Stando alla lettera della Bibbia, questa è una palese menzogna, cosa disdicevole per il libro di dio. Chi ha letto la Bibbia sa che la rivelazione del nome era già avvenuta. Geova (questa volta lui, e non Elohim) si era già rivolto ad Abramo dicendogli: «Io sono Geova, che ti ha fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questo paese» (Gen., 15, 7); e Abramo gli aveva risposto: «Signore {Adonai) Geova...» (15, 8). E questa era stata, nel racconto biblico, la prima volta che Geova si era manifestato col suo nome. Poi di visioni di Isacco non ci si dice niente, ma quanto a Giacobbe, si dice che lo vide in sogno e che udì il nome: «Ecco, Geova gli stava davanti e disse: "Io sono Geova, il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco"» (28,13). Dunque, era già la seconda volta che Geova si presentava col suo nome, in sogni o visioni, tra i quali è difficile stabilire una sicura differenza. E, a parte questo, prima di quella «falsa» dichiarazione a Mosè, ho contato 190 volte nella Bibbia il nome di Geova, sia nella narrazione del compilatore, sia sulla bocca dei personaggi, che mostrano così di conoscerlo.

Lo nomina per prima Eva (Gen., 4, 1), per ringraziarlo di aver avuto Caino; poi ci si dice che dai tempi dell'altro suo figlio Set «si cominciò ad invocare il nome di Geova» (4,26), ed era già un errore dato che lo aveva già invocato Eva. Poi lo nomina Lamech, padre di Noè (5, 29); poi Noè lo benedice come dio di Sem, di cui «Cam divenga schiavo» (9, 26), davvero nobile occasione per nominare dio; poi l'invocano Sara, Lot, Làbano, Lia, il servo di Abramo, e anche quell'Esaù, figlio di Abramo, che sarà escluso dal popolo di Abramo. Altre volte si dice, usando il discorso indiretto, che costoro e altri «invocarono il nome di Geova», e altre volte il nome è nominato dal redattore tra gli altri personaggi della sua storia.

In tutti questi casi avvengono strani pasticci: si alternano vari nomi, oltre a Geova, di cui è difficile dire se siano nomi propri o nomi comuni: Elohim (gli dèi), El Shaddai (dio onnipotente o dio della steppa), Adonai (Signore), ai quali si può aggiungere El Elijón, il dio altissimo,il cui sacerdote Melchisedech benedice Abramo, ricevendone in cambio la «decima di tutto» (Gen., 14, 18-20). E’ evidente che si tratta di nomi che corrispondono a varie tradizioni religiose, mesopotamiche o fenicie o egizie, assimilate dagli ebrei. Quanto a Geova, che appare più nettamente come un nome proprio, si è discusso molto sulla sua forma e sul suo significato. Per la forma, si tratta delle quattro consonanti dell'alfabeto ebraico traslitterabili come YHWH, sostenute poi dalle vocali di Elohim o di Adonai. Per il significato, si è detto che corrisponde a «Io sono colui che sono» o «ciò che sono», cioè l'esistente, ciò che è.

Una cosa, tuttavia, è certa: che le varie tradizioni confluite nella Bibbia (elohista, geovista, sacerdotale, e poi deuteronomista) coi loro intrecci creano non poche ambiguità. Se davvero Geova si è rivelato per la prima volta col suo nome a Mosè, allora la Bibbia non avrebbe dovuto mai pronunciarlo prima; se Geova è il dio degli ebrei, allora non avrebbe dovuto farlo invocare da Eva, Set, Lamech, Noè, Nimrod, cioè da personaggi che precedono Abramo e la nascita del popolo ebraico. Ed è comunque strano sentir dire: «Geova disse: Io sono el Shaddai», e poi: «Elohim disse: Io sono Geova». Troppi nomi, e troppa confusione di soggetti e predicati! Lo svolgersi cronologico e il mutarsi di un culto e dell'idea stessa di dio viene qui a manifestarsi sotto forma di confusione grammaticale.

Nel mondo cristiano, c'è solo da sorridere per i nuovi pasticci che si è riusciti, un'altra volta, ad aggiungere.

Quando il suocero madianita di Mosè, Jetro (o Reuel), udito il miracoloso racconto dell'esodo, commenta (nelle traduzioni cristiane): «Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dèi» (Es., 18, 11); quando Mosè nel suo canto di vittoria per l'esodo dice: «II Signore è prode in guerra. Si chiama Signore» (15, 3); quando all'inizio del Salmo 110, attribuito a Davide, si legge: «Oracolo del Signore al mio Signore», è evidente che ci si sta prendendo in giro: si tratta di frasi totalmente insensate, che vanno invece lette: «Or io so che Geova...», «Si chiama Geova...»; «Oracolo di Geova...» (e qui il secondo «Signore» è Adonai).

Il fatto è che si vuole dare una lettura monoteista di testi chiaramente politeisti, dove Geova, dio degli ebrei, è contrapposto ad altri dèi. E quanto al fatto che Geova sia il dio degli ebrei, mi sta bene: ma di sicuro lo è soltanto a partire da Mosè, influenzato forse dal faraone Akenaton, perché, rileggendo i passi che riguardano Abramo e gli altri, appare, se non evidente, probabile che il redattore geovista può aver interpolato anche lì il suo nome, cosi come l'ha interpolato anche prima, mettendolo sulla bocca di Eva, che proprio non poteva conoscerlo.

Resta per ora solo da enunciare il secondo comandamento: «Non pronuncerai invano il nome di Geova tuo Dio...» (Es.,20, 7).

kelly70

14/08/2007 01:16
Vicende storiche di Israele

Questa ricostruzione termina qui.

Offro ora una periodizzazione ed una sintesi molto breve delle vicende storiche di Israele, dopo le migrazioni dei patriarchi tra Mesopotamia ed Egitto durante alcuni secoli del II millennio a.C., narrate nella Genesi, dopo le vicende dell'esodo dall'Egitto sotto Mosè, e la promulgazione a opera sua della prima legge, narrate appunto in Esodo, relative al sec. XIII.

1) 1225-1030 a.C.: Conquista della terra promessa, contemporanea allo stabilirsi dell'egemonia assira in Mesopotamia. Fu opera non di Mosè né di Giosuè e della sua generazione (1225-1200 a.C.), come narra il suo libro, ma dei capi, politici e religiosi, detti giudici, in generale geovisti, che gli succedettero nel corso di circa due secoli. Né fu azione rapida e comune di tutte le dodici tribù fraternamente unite, bensì una serie di iniziative sparse e contrastate delle singole tribù. Alla conquista si accompagna un'epoca di imbarbarimento, un vero e proprio "medioevo", confermato dalle scoperte archeologiche. Avvenimento chiave del geovismo: l'assemblea di Sichem convocata da Giosuè, che vede l'adesione delle tribù del nord, che forse non erano discese in Egitto, e l'assenza di Giuda dislocato invece al sud.

2) 1030-931 a.C.: Passaggio alla monarchia unitaria per tutti i territori conquistati dalle dodici tribù (ne abbiamo una versione monarchica e una antimonarchica). L'iniziativa è del sacerdote e giudice Samuele, che incorona re Saul; coi suoi successori Davide e Salomone, la conquista viene consolidata e ampliata e si instaura una monarchia teocratica. Al geovismo apertamente proclamato e accentrato in Gerusalemme si accompagna tuttavia un certo sincretismo, con l'apertura ai culti di divinità dei popoli vicini. Avvenimento chiave: la costruzione del tempio in Gerusalemme, che tuttavia non esclude ancora le sedi locali di culto sulle "alture", e l'assemblea nazionale convocata da Salomone per l'occasione.

3) Dal 931 a.C.: Secessione e scisma religioso tra i due regni, sulla base delle divisioni culturali e amministrative emerse già sotto Salomone. Al nord, dieci delle dodici tribù costituiscono il regno di Israele (Samaria), destinato a durare due secoli. Vi prevalgono culti stranieri (Baal) con repressioni sanguinose del geovismo, come "quando Gezabele [moglie fenicia del re Achaz] uccideva i profeti di Geova (2 Re, 18, 4). A sud, resta il regno di Giuda, più spesso geovista ma nemmeno esso sottratto alle tentazioni di sincretismo religioso. Tra i due regni, alternative di alleanze e di guerre.

4) 931-721 a.C.: Regno di Israele, e sua fine a opera degli assiri: deportazione degli israeliti in Babilonia e insediamento di altre popolazioni, accanto ai superstiti, sui loro territori. Ne nasce la popolazione mista dei samaritani, non ignari di Geova, cugini-rivali per secoli dei giudei del sud. Forse proprio dai profughi di Israele in Giuda, convinti che la disfatta fosse dovuta all'abbandono del culto di Geova, vengono riportati in Giuda i testi sacri.

5) 721-587 a.C.: Sopravvivenza del regno di Giuda, per quasi un secolo e mezzo, continuamente minacciato da assiri ed egizi. Accoglienza dei profughi di Israele e del loro geovismo a opera di Ezechia. Avvenimento chiave: restaurazione del geovismo a opera di Giosia (622 a.C.), subito contrastata, "riscoperta" della legge (Deuteronomio = seconda legge), accentramento del culto nel tempio di Gerusalemme e abolizione sanguinosa del culto sulle alture. Ma nemmeno il geovismo salva dalla distruzione il regno di Giuda e dalla deportazione la sua popolazione.

6) 587-537 a.C.: Cattività babilonese anche per i giudei, ad opera dei caldei, succeduti agli assiri. È questo il periodo in cui la privazione di una patria reale rinsalda il bisogno di preservare la patria ideale. La lettura e anzi la riscrittura del libro della legge (Torah), sollecitata dal profeta Ezechiele, preserva gli ebrei dal totale assorbimento tra le altre popolazioni dell'impero babilonese (caldeo).

7) 537-332 a.C.: Ritorno del "resto" degli ebrei in Giuda. Ciro il grande, re dei medo-persiani, abbatte l'impero caldeo e in nome del "dio del cielo" ridà libertà di culto alle popolazioni soggette. Gli ebrei, tornati a Gerusalemme, ricostruiscono il tempio e le mura, sotto la guida di Esdra e Neemia. Avvenimenti chiave: lettura pubblica della Torah (è il momento della "terza legge") e ripudio di mogli straniere coi loro figli: nascita del giudaismo.

8) 332-134 a.C.: Età ellenistica. La conquista dell'Oriente da parte dei greco-macedoni di Alessandro Magno segna un nuovo assoggettamento degli ebrei ai regni alessandrini: quello egizio dei Lagidi, fino al 240 a.C., quello antiocheno dei Seleucidi, dal 240 al 142 a.C.: Antioco IV Epifane profana il tempio (175-164 a.C.). All'interno del popolo ebreo si combattono una tendenza sincretista ellenizzante e una geovista nazionalistica.

9) 175-134 a.C.: Vittoriose rivolte giudaiche dei Maccabei contro gli antiocheni in nome di Geova. Si profila la presenza dei romani (già nel 189 a.C. Cornelio Scipione aveva sconfitto Antioco III, e nel 133 Attalo re di Pergamo aveva lasciato in eredità i suoi regni ai romani); i Maccabei cercano la loro alleanza e creano uno Stato indipendente. "I giudei erano considerati amici alleati, e fratelli da parte dei romani" (I Mac., 14, 40).

10) 134-64 a.C.: Monarchie miste, relativamente indipendenti: moltiplicarsi delle sette religiose all'interno del geovismo, con le dispute sulla interpretazione della Torah, che daranno poi luogo alla costituzione di quell'altra raccolta di testi che ha nome di Talmud. Nel 64 a.C. Pompeo riduce la Siria e la Palestina a provincia romana: si succedono "etnarchi" e "tetrarchi", tra cui Erode, sotto il controllo dei romani.

11) 52 e 70 d.C.: Le due diaspore finali del giudaismo. La prima è quella, "attiva", del giudaismo cristiano, che col concilio di Gerusalemme (52 d.C.) decide di aprirsi a tutte le genti (i "gentili"); la seconda è quella, "passiva", del giudaismo geovista, avvenuta ad opera di Tito dopo la distruzione di Gerusalemme (70 d.C.). Nel primo caso si può ripetere con Seneca e sant'Agostino che "i vinti dettero le proprie leggi ai vincitori"; nel secondo che comunque i vinti non furono mai domati, e conservarono la propria identità nazionale e religiosa.


www.fisicamente.net/index-70.htm

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:35. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com