ReteLibera
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08/07/2014 19:00
La verità sulla Sindone di Torino
Parlare “della Sindone” può anche risultare imbarazzante, se non altro per il fatto che in passato di teli funebri presunti sacri ce ne sono stati davvero parecchi. A Smirne, a Costantinopoli, a Besançon, si sono generate testimonianze medievali di “sindoni” tra le più disparate. Qualcuna era solo un telo bianco, altre, come quella di Besançon, riportavano un’immagine la quale – secondo le descrizioni dell’epoca – somigliava molto a quella conservata a Torino. Tra le molte sindoni, purtroppo, solo quella di Torino è ancora intatta.
La sua storia però risulta alquanto recente: era infatti il 1357 quando fece la sua comparsa in Francia. Ne denunciò per primo il possesso Goffredo II, figlio di un crociato, Goffredo I di Charny, che l’avrebbe portata con sé al ritorno dalle scorribande in Medio oriente, come l’assedio di Smirne del 1345-1346.
La Sindone apparve però dopo la morte dello stesso Goffredo I, avvenuta durante la battaglia di Poitiers contro gli Inglesi (1356). Quindi, non si poté più ottenere informazioni proprio dall’unico testimone che avrebbe potuto raccontare dove l’aveva trovata e come l’aveva trasportata.
Ciò che si sa è perciò solo frutto dei racconti di suo figlio e di sua nipote, Margherita, i quali a più riprese sfruttarono il fascino del Telo per racimolare denaro con ostensioni pubbliche molto discusse e criticate perfino dal clero di allora.
A Margherita, per esempio, venne intimato dal vescovo di Chimay (Belgio) di andarsene dalla città e di portarsi con sé il Telo, reputato una reliquia falsa, mostrata solo per scopi di lucro.
Nel proprio memoriale, inoltre, Pierre D’Arcis, vescovo successore di Enrico di Poitiers, narrò a Papa Clemente VII come la sindone non fosse altro che un falso ottenuto dalla perizia di un artigiano locale.
Nel memoriale, Pierre D’Arcis denunciava la spregiudicatezza, “la falsità e l’inganno”, con sui il decano della diocesi di Lirey (dove era conservata la sindone) sfruttava artificiosamente la “reliquia” a scopo di lucro.
La risposta di Clemente VII fu l’intimazione di appendere una scritta, da leggere a gran voce, che ricordasse durante le ostensioni che la Sindone “non era il vero sudario che aveva avvolto Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del sudario”.
L’inizio, quindi, non è dei più entusiasmanti. Ma la credulità popolare aveva ormai preso il sopravvento perfino sulla storia e sulle decisioni papali. Nonostante la scomunica che la gravava, Margherita vendette ai Savoia la Sindone, che venne traslata prima a Chambery e poi a Torino.
Nel 1532 un incendio danneggiò la sindone e le provocò le macchie e le bruciature che ancora oggi si possono vedere chiaramente. Non che prima la Sindone fosse stata trattata bene: mostrata reiteratamente, trasportata per mezza Europa in condizioni di conservazione precarie, bollita in pentoloni d’acqua per dimostrare che non era una pittura. Insomma, quel telo c’è da stupirsi che sia ancora tra noi. Ma questo non vuol certo dire che è per cause divine.
Le indagini scientifiche
Nel 1988 si decise, dopo infinite diatribe, di costituire un team eterogeneo e qualificato di ricercatori che potessero analizzare il Telo e stabilirne la natura. Quando dico “eterogeneo”, intendo proprio “molto eterogeneo”. Gli studiosi partivano per lo più da posizioni preconcette di entrambi i sensi, andando dal massimo del negazionismo al massimo dell’apologetico. Il processo di analisi non poté mai procedere quindi con la necessaria serenità di cui avrebbe avuto bisogno.
Garante della correttezza dei lavori era il Prof. Gonella del Politecnico di Torino, esperto fra i più rinomati in Italia di fibre e tessuti e consulente scientifico del Cardinale torinese Ballestrero.
Il lino venne sottoposto a indagine visiva, microscopica, chimica, fisica. L’indagine che però chiuse definitivamente la querèlle fu quella del C14.
Per chi non lo sapesse, il Carbonio14 è un isotopo del Carbonio “normale”, cosiddetto “12″ (peso atomico), che rappresenta il 98,9% del totale. Il C14 si forma negli strati alti dell’atmosfera per eccitazione dell’azoto dovuta ai raggi cosmici. Poi, come il C12, viene assorbito dalle piante durante la loro crescita nella forma legata all’ossigeno: CO2 (anidride carbonica).
Alla morte della pianta, cessa anche l’assorbimento dall’atmosfera e principia lo spostamento dell’equilibrio tra i due isotopi. Il tempo di decadimento del C14 è regolare e ciò permette di datare un reperto in base al rapporto che esiste tra C12 e C14: tanto più basso sarà il C14, tanto più vecchio sarà il reperto. Decine di migliaia di analisi sono state effettuate con questo metodo. L’unica avvertenza è quella di non applicare il metodo a matrici che già all’origine hanno un contenuto bassissimo di C14 (es. i molluschi, il cui carbonato di calcio deriva dai sedimenti marini e non dall’atmosfera). Il lino, essendo matrice vegetale, si presta quindi ottimamente all’analisi del C14.
Questa è stata ripetuta in ben tre laboratori differenti: Tucson, Londra e Zurigo. Un ritaglio del bordo della sindone fu analizzato in tal senso e diede risultati compresi tra il 1260 e il 1390 (centrato sul 1325).
Per quanto i risultati siano statisticamente molto (un po’ troppo) espansi, un dato resta inconfutabile: la Sindone non è del primo secolo della nostra era. Fine della trasmissione? Niente affatto. Fu solo l’inizio.
Polemiche sul campionamento e sulla datazione
Si scatenò quindi la diatriba circa la correttezza del prelievo e dell’analisi. L’accusa era che il lembo a doppio strato utilizzato per l’analisi fosse stato apposto al telo originale solo in un secondo tempo, durante la fase in cui la Sindone veniva esposta in mezza Europa. Lo stesso Gonella poté però assicurare che le fibre del telo si compenetravano all’interno del rinforzo laterale, divenendone parte integrante fin dal momento della tessitura del telo stesso. Il bordo “rinforzato” aveva quindi la stessa età del resto del Telo.
Allora si cercò di attaccare il metodo stesso del C14, asserendo che l’analisi aveva fornito dati sbagliati a causa di un “ringiovanimento” che la Sindone avrebbe avuto nel tempo. Le cause presunte per questo “ringiovanimento” sarebbero diverse: secondo Dmitri Koutznetsov l’incendio di Chambery avrebbe ringiovanito il Telo grazie alle elevate temperature. Il calore avrebbe infatti sostituito gli atomi di Carbonio del lino, apportando C14 “fresco”.
Peccato che per ringiovanire la Sindone di 1300 anni, circa due terzi degli atomi di Carbonio avrebbero dovuto essere completamente sostituiti, distruggendo di fatto la matrice organica del tessuto.
Se poi consideriamo che l’incendio è avvenuto nel 1532, la “sostituzione” avrebbe dovuto togliere alla Sindone ben l’85% della propria età teorica di allora. In altre parole, ne sarebbe rimasto solo un sottile strato di materiale o incenerito o prossimo ad essere tale, come accade a un foglio di carta appoggiato in un camino. La Sindone invece mostra ancora la struttura delle fibre del lino in ottimo stato di conservazione.
La seconda tesi, sempre sul ringiovanimento, era incentrata sulle contaminazioni microbiologiche. Secondo alcuni ricercatori americani, ciò che era stato analizzato era talmente intriso di resti di microorganismi che la datazione aveva misurato l’età di questi anziché quella della Sindone. Ancora, per ottenere un tale ringiovanimento, l’infestazione di batteri, muffe e funghi, avrebbe dovuto non solo essere imponente, ma anche recentissima.
Praticamente, il giorno stesso dell’analisi, dovrebbe essere avvenuta una tale proliferazione di microbi da rappresentare in poco tempo i 2/3 del peso del Telo. Decisamente poco scientifico come approccio, anche perché, se davvero i 2/3 del peso del Telo fosse dovuto a microorganismi, appare chiaro come l’aspetto stesso della Sindone sarebbe più o meno quello di uno strato marcescente di colori tra i più disparati.
Microbi a parte, vale la pena di approfondire le posizioni di Koutznetsov: egli vantava di aver provato quanto diceva mettendo in una muffola (forno da laboratorio) alcuni frammenti di bende e sudari di varia origine e di averne poi misurato l’età col carbonio 14. Avrebbe così appurato per via sperimentale che l’età dei teli si era ridotta a causa del trattamento termico.
Il lavoro scientifico appariva corredato da una consistente bibliografia, come pure da una lista molto lunga di ringraziamenti a musei, istituti, università, enti, che avrebbero fornito i tessuti da avviare all’analisi. All’epoca, circolarono su quotidiani e periodici titoli come “La scienza smentisce la scienza”, e altra paccottiglia simile.
Gian Marco Rinaldi (Cicap) si incapricciò però di indagare sulle modalità con cui Koutznetsov aveva operato nella sua ricerca. Si scoprì così essere un truffatore che aveva falsificato (e spesso inventato) i dati con cui si prefiggeva di sbugiardare i cosiddetti “carbonisti”.
Molte delle pubblicazioni citate in bibliografia non esistevano, o perché mai pubblicate, o addirittura perché non esisteva proprio la rivista. In altri casi, si scoprì che il russo si era inventato musei e istituti, oppure si era inventato i nomi dei referenti che gli avrebbero fornito i tessuti. Ancora, se pure esistevano le persone da lui “ringraziate”, esse smentirono categoricamente di essere mai state contattate da Koutnetsov. Questi finì pure in galera per assegni scoperti e scomparì nel nulla, dopo essersi attirato le maledizioni di gran parte del mondo accademico con il quale aveva avuto a che fare.
La scienza, ameno quella vera, non si fa infatti inventandosi dati, riviste e campioni. Ma le stesse riviste e gli stessi giornali che avevano enfatizzato le “prove” di Koutzentsov non si presero mai la briga, ovviamente, di correggere il tiro e rimangiarsi i titoli ad effetto pubblicati in precedenza. Così, circolano ancora oggi molte persone convinte che la datazione al radiocarbonio sia stata sbugiardata, quando invece non è così: la datazione al C14 è stata svolta bene e ha dato i risultati che ha dato. Con buona pace degli apologeti.
Altre diatribe “scientifiche” sulla sindone
A fronte di prove di laboratorio schiaccianti, come quella del C14, il fronte apologetico non arretrò. Anzi, cercò di smontare le prove senza affrontarle mai direttamente. Si vennero così a generare “ricerche” e “prove” che la Sindone era nei fatti antecedente al fatidico 1300 e briscola che la radiodatazione aveva fissato.
Ci fu così chi trovò pollini tipici della Palestina, chi “vide” monete romane sugli occhi della figura, chi ancora contò i segni della flagellazione e chi affermò di avere trovato il gruppo sanguigno e perfino il DNA di Gesù Cristo. Ma andiamo per ordine.
I pollini
Max Frei, svizzero, avrebbe trovato sulla Sindone pollini tipici dell’area di Gerusalemme. Si narrò perfino che fossero di piante estinte da tempo e che esistevano però ai tempi di Cristo. Per fortuna, questa serie di leggende metropolitane fu smentita dagli stessi sindonologi apologeti, anche perché consapevoli che una simile bufala avrebbe avuto le gambe corte.
Frei, già noto per aver riconosciuto come autentici i diari di Hitler, poi rivelatisi falsi, si era buttato nella mischia sindonologica prelevando corpuscolato dal telo e avviandolo a esame. Quale esame non è però dato sapere, perché Max Frei non ha lasciato la benché minima traccia delle metodologie utilizzate, limitandosi a scrivere un elenco di essenze vegetali produttrici dei pollini che lui “avrebbe trovato”.
Frei prelevò i campioni utilizzando del nastro adesivo e lavorò su di una superficie di circa 20×20 cm. Un’inezia. Eppure vi avrebbe trovato granuli pollinici fra i più disparati. Spesso di piante rare, altre volte perfino di piante a impollinazione entomofila (portati dagli insetti). Non trovò però pollini di piante molto più comuni e capaci di produrre quantità enormemente superiori di polline rispetto a quelle da lui citate.
Insomma, con una banale ricerca bibliografica si potevano trovare le piante tipiche dell’area di Gerusalemme e poi riportarle nel diario come risultato di un’indagine al microscopio. Peraltro, alcune classificazioni molto particolari che Frei avrebbe fatto, richiedono apparecchiature e metodologie che Frei non possedeva, amplificando così il dubbio che l’elenco da lui redatto fosse del tutto inventato leggendo qualche buon Atlante di botanica sistematica.
La più totale mancanza di controllo crociato con altri ricercatori lascia quindi aperta la porta a seri dubbi circa la stessa onestà intellettuale del ricercatore-fai-da-te elvetico. Ma anche se l’esame di Frei fosse davvero stato svolto con cura e i risultati fossero attendibili, aver dimostrato che il Telo veniva dal Medio Oriente, che avrebbe dimostrato?
Stabilirne l’origine non significa annullare la datazione al 1300. Ma questa è solo una delle tante “non-prove” che i sindonologi hanno portato sul tavolo, ben consapevoli che nessuna di esse era in grado di annullare la radiodatazione, ma che era però capace di persuadere il popolo dei credenti, che poco sa di scienza ma molta fame ha di fede.
Le macchie di sangue
Sul volto della figura sindonica sono visibili dei rivoli che ricordano il sangue. Al di là della forma a “3″ rovesciato che ha la traccia più visibile, una forma che sa molto di riproduzione pittorica, anche la sostanza stessa del residuo secco lascia poche chànce a quel materiale di essere stato in passato del sangue.
L’equipe di ematologi che sottopose il raschiato ad analisi constatò solo una lunga fila di esiti negativi: negativo alla reazione colorimetrica con la benzenidina, negativa l’analisi cromatografia, negativa anche l’analisi microscopica, dalla quale emergeva una totale assenza del corpuscolato tipico del sangue, controbilanciata in negativo da una presenza di non meglio specificate “scagliette” che per aspetto ricordavano una qualche forma di metallo, come quelli utilizzati per comporre pigmenti pittorici.
Infine, anche l’analisi dello spettro elettrolitico diede esito negativo: nel sangue si trovano elettroliti come il sodio, il magnesio, il calcio e il potassio. Quest’ultimo è uno dei principali e si trova in abbondanza nel sangue. Ebbene, nel reperto sindonico non ve ne era traccia, dimostrando non solo che quel campione non era sangue al momento dell’analisi, ma che non lo era nemmeno mai stato.
Eppure, il “Prof. Baima Bollone” affermò di essere riuscito, in ricerche da lui condotte in separata sede, a distinguere addirittura il sangue arterioso da quello venoso, di essere riuscito a stabilire il gruppo sanguigno (AB+) e di aver addirittura trovato tracce del DNA di Gesù Cristo.
Per di più, Baima Bollone s’intese di rafforzare la propria tesi “autenticista” riportando di aver trovato alcuni gruppi porfirinici all’interno del raschiato.
Partiamo da quest’ultima affermazione: i gruppi porfirinici derivano da processi di degradazione del sangue, è vero, ma sono anche presenti in alcuni pigmenti di origine vegetale, estraibili da alcune bacche con le quali i pittori medievali producevano un rosso molto profondo.
Sul sangue arterioso/venoso sarebbe interessante capire come abbia fatto a distinguere addirittura fra i due tipi di sangue, quando un’equipe di ematologi aveva già stabilito chiaramente che quello sangue non era.
Sul gruppo sanguigno poi, esso sarebbe stato individuato utilizzando il metodo della scintigrafia. Ottimo metodo, molto sensibile. Permette di individuare il gruppo sanguigno di un campione anche lavorando su quantità di sangue irrisorie.
Peccato che la scintigrafia richieda campioni di sangue freschissimo e che sia sconsigliata su campioni non idonei, pena il forte rischio di ottenere dei falsi positivi. Come infatti è avvenuto. Sempre che sia avvenuto e che non si tratti dell’ennesima invenzione mascherata da esito scientifico. Fino a qui, appare chiaro come Baima Bollone abbia fornito ancora delle prove-non-prove, sulle quali mai si è degnato di discutere in una tavola rotonda con altri ricercatori, molto curiosi di approfondire metodiche e risultati.
Infine il DNA. Baima Bollone ne avrebbe trovato di maschile, attribuito subito al Cristo. A chi gli facesse notare che ne era stato reperito anche di femminile, Baima Bollone rispondeva che quello poteva essere finito sul Telo durante i lavori di manutenzione operati dalle suore che lo avevano rammendato. Ragionevole spiegazione.
Peccato che essa valga anche per il DNA maschile, viste le innumerevoli mani di entrambi i sessi che hanno toccato la Sindone nei secoli. Però no, per Baima Bollone il DNA femminile è ovviamente delle suore, quello maschile però può essere solo di Gesù Cristo.
Ci sono credenti che sottolineano come il gruppo sanguigno della Sindone sarebbe uguale a quello del miracolo eucaristico di Lanciano, individuato molto prima delle indagini sul Telo di Torino. Forse è proprio questo che ha “influenzato” la scintigrafia del buon Baima Bollone? Ai posteri l’ardua sentenza.
Le monetine sugli occhi
Sul Telo si sarebbero viste scritte di ogni tipo. Molti sono infatti quelli che, analizzando le varie foto, hanno visto scritte fra le più disparate. Già questo dovrebbe lasciar intuire come la volontà di vedere qualcosa, alla fine, si tramuti in appagante evidenza per lo spirito e induca ad affermare di avere davvero visto ciò che si voleva.
Le monetine però hanno una storia interessante. Le presunte impronte sarebbero state lasciate sulle palpebre da monete circolanti ai tempi di Cristo. Monete che a volte venivano poste sugli occhi dei defunti come viatico verso l’Aldilà.
Lo stesso Gonella ha bollato l’argomento come una bufala colossale, dal momento che la fotografia sulla quale sarebbero state “viste” le monetine è stata ottenuta a un ingrandimento esagerato, capace di sfuocare l’immagine e di generare numerosi punti a casaccio.
Inoltre, i pixel dell’immagine sono più grandi delle unità che costituiscono la fibra stessa del telo.
In altre parole, ingrandendo a dismisura una qualsiasi immagine, alla fine, si ottiene una nuvola di punti nella quale si può vedere qualsiasi cosa.
Per rafforzare la tesi delle monetine, giunse quindi una ricercatrice che affermò che sulle impronte digitali bastano solo 7-8 punti in comune per stabilire il “match” fra le immagini, mentre nelle immagini delle “monetine” i punti comuni sarebbero molti, molti di più. La sindonologa si “dimentica” che un’impronta digitale è un disegno unico e irripetibile, molto complesso per giunta. Un’impronta può infatti appartenere a una sola persona, data la miriade di creste disegnate sui polpastrelli secondo un progetto genetico peculiare e strettamente individuale. Ecco perché bastano così pochi punti in comune. Una nuvola di punti ottenuta per ingrandimento fotografico non è nulla del genere. Quindi i punti rilevati nella foto non vogliono dire assolutamente nulla. Ingrandendo a sufficienza un’immagine, si possono poi unire i punti a proprio piacimento, ottenendo monetine romane, profili di Pippo e Pluto o ritratti di Napoleone Buonaparte.
L’immagine
Bene è stato lasciare la valutazione più semplice alla fine. Se si osserva la Sindone si può realizzare infatti con facilità come essa sia una raffigurazione bidimensionale a cui è stata data profondità con una tecnica di prospettiva di tipo pittorico. La cura dei dettagli, inoltre, è molto superiore nel volto che nel resto del corpo, il quale appare spesso asimmetrico, stilizzato e “statico” come un geroglifico egizio.
Il retro, per giunta, rivela anche più dettagli: troppi. Se un corpo viene sdraiato su di una superficie non lascia impronte complete, bensì le lascia solo delle parti in rilievo, come nuca, spalle, torace, glutei, polpacci e calcagni.
La figura sindonica invece è rappresentata tutta, come se il telo fosse stato fatto aderire al corpo millimetro per millimetro. Peccato che così facendo si sarebbe ottenuta, dipanando il Telo, una figura ampiamente deformata, come normalmente accade quando si trasponga una figura tridimensionale su di una superficie bidimensionale.
Infine, tra la figura “fronte” e la figura “retro” vi è uno spazio di diversi centimetri che le separa, uno spazio che non dovrebbe esistere proprio a causa della perfetta adesione del corpo al Telo. A parte le fantasiose teorie del passaggio di neutroni (“Prof. Moroni di Pavia”) come agenti dell’immagine, resta solo l’ipotesi della raffigurazione artistica ottenuta con metodi poco ortodossi.
L’immagine infatti non è un dipinto e non mostra né direzionalità pittorica né tracce di “pennellature” con pigmenti. La figura deriva da un debole processo di strinatura del lino, il quale si è ingiallito in modo più o meno marcato delineando la figura e conferendole profondità e prospettiva. Un simile processo di “strinatura” si può ottenere col calore (effetto del ferro da stiro su di un panno bianco), oppure con l’utilizzo di acidi diluiti.
Recentemente, Luigi Garlaschelli, professore di chimica all’università di Pavia e membro del Cicap, ha riprodotto la sindone nei minimi dettagli, utilizzando tecniche e mezzi che potevano benissimo essere a disposizione dei pittori e degli artigiani medievali. Il risultato è decisamente impressionante e conferma la possibilità di riprodurre una tale immagine senza bisogno di ricorrere alla Bibbia o a fenomeni di resurrezione non meglio specificati.
Conclusioni
La sindone è un falso medievale, databile intorno al 1300 d.C. Epoca coerente con quella della sua comparsa storica. Le prove a favore della sua autenticità non sono tali, spesso anche a causa della disonestà concettuale dei “ricercatori” che le hanno prodotte.
Le uniche prove valide restano quelle a sfavore del Telo, relegandolo a una mirabile ma umanissima opera del genio artistico di uno sconosciuto artigiano del XIV sec.
Chi volesse comunque adorare il Cristo su quel telo, come semplice sua raffigurazione, può benissimo farlo. L’oggetto è indiscutibilmente ad alto impatto emotivo. Ma che almeno, pregando dinnanzi a quell’immagine, quel fedele non s’illuda che quel lino abbia davvero avvolto il corpo deposto del Cristo.
La fede in Dio non ne verrà per questo intaccata, e il rispetto per l’intelligenza scientifica laica neppure.
https://dsandroni.wordpress.com/2010/04/27/la-verita-sulla-sindone-di-torino/
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ReteLibera
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08/07/2014 17:39 La Sindone di Torino
XIV secolo. L'epopea delle lotte iconoclaste fratricide tra cristiani è ormai dimenticata, le Crociate in Terra Santa sono finite da poco e il monastico Ordine dei Cavalieri Templari, "Compagni d'armi di Cristo", è stato appena soppresso.
Ci troviamo nel pieno dell'era iconòdula paganizzante, quando, all'improvviso, a Lirey in Francia "appare" la prima volta, per volontà di Dio, nell'Anno Domini 1353, un telo - lungo oltre quattro metri e largo poco più di uno, del peso di un paio di chili - contenente una immagine frontale e dorsale della "Sacra Impronta" rimasta fissata nel lino in cui fu adagiato Cristo dopo la straziante "Passione" subita 1320 anni prima.
Accantonata la cronistoria delle Auguste Immagini di Cristo, troppo numerose per indagarle tutte, spostiamo la nostra attenzione sulla "Sacra Sindone" conservata nel Duomo di Torino, tenendo ben presente anche gli esiti degli esami radiometrici al C14 con gli accertamenti delle falsità riscontrate nelle Sacre Reliquie che hanno osato sottoporsi ai test fra gli anni 2004 e 2007: la Sacra Tunica di Argenteuil e il Santo Sudario di Oviedo.
L'esito negativo di questi esami ha vanificato il disperato tentativo della Chiesa di dequalificare la sacrilega condanna alla "Damnatio Memoriae" per frode ecclesiastica della Sindone di Torino.
La sentenza venne emessa, il 13 ottobre 1988, a seguito di tre verifiche effettuate contemporaneamente nei tre laboratori, diversi e indipendenti fra loro, di Oxford, Tucson e Zurigo, scelti dalle autorità ecclesiastiche della "Accademia Pontificia delle Scienze" assieme al relativo protocollo da seguire: il tutto con la benedizione di Papa Wojtyla ... ma non del C14, la cui risposta univoca dei tre Istituti datava la Sindone fra il 1260 e il 1390. Quindi "centrando" in pieno la prima "apparizione" convalidata da concreti riscontri storiografici.
Le ripercussioni negative sulla credibilità della Chiesa e la Sua dottrina non si sono fatte attendere: la domenica gli Stadi traboccano, mentre, via via che si susseguivano gli esiti del C14, le Chiese andavano sempre più svuotandosi e la religione un argomento ormai indifferente alla massa delle persone.
Una volta messo con le spalle al muro il Clero ha continuato ad ostentare un "millantato credito" grazie ai media, tutti compiacenti, facendo il possibile per affollare Piazza San Pietro con gite organizzate e la onnipresente settimanale "foto-memoria di piazza" trasmessa via TV.
Purtuttavia, ben sapendo che questa messa in scena non è in grado di ribaltare i negativi responsi della scienza sulle tre reliquie esaminate, la Chiesa Universale ha indetto una Santa Crociata Mediatica e chiamato a raccolta gli "Scienziati di Cristo", incitandoli ad elaborare teorie scientifiche di "ultima generazione" da esporre nel Concilio Iconòdulo sulle "Sacre Impronte" tenutosi a Torino fra il 18 e il 20 maggio 2010: anno della Grande Ostensione Sindonica.
Intanto, per far cessare le continue defezioni, il Clero studia una tattica di "contenimento" facendo entrare in azione i "Sindonologi Mistici" (SM) folgorati da "Rivelazioni Divine", utili a trattenere quei praticanti meno portati alla critica.
Al contempo, dall'Alto dei Cieli, l'Eterno Creatore rivela agli Eletti Scienziati Illuminati (ESI) che lo Strumento di Satana è riuscito ad ingannarli, sinora, tramite una "circonvenzione di incapaci": azione illecita punita dal Codice Penale, quindi tutti gli esami devono considerarsi "invalidati". Inoltre, stante la grave emergenza di Fede, dopo aver fatto miracolosamente apparire sulla Sindone di Torino la scritta "ENEA", l'Altissimo emette un rigido Protocollo Divino, da osservarsi scrupolosamente, equiparato a "Comandamento": "Tutti i Sindonologi Mistici e gli Eletti Scienziati Illuminati devono astenersi pubblicamente dall'entrare nei particolari neotestamentari, cessare di ricorrere a ulteriori "Rivelazioni Divine" ed evitare, tassativamente, di citare la storia patristica cristiana sino a tutto il IV secolo, nonché qualsiasi Concilio tenutosi su le "Sacre Impronte" dal VI secolo in poi ... pena le Fiamme dell'Inferno".
E tutti gli Eletti Scienziati Illuminati assieme ai Sindonologi Mistici, in ottemperanza al Nuovo Comandamento, convocano conferenze, seminari, convegni, realizzano documentari televisivi e spiegano che si è trattato di un maligno complotto: l'esame radiometrico del C14 non poteva applicarsi. Punto e basta.
Viceversa, spiegano, è più valido il "metodo laser" in grado di dimostrare che la Sindone conserva ancora le tracce dell'Esplosione di Luce al momento della Resurrezione. Anche l'RPD è sacrosanto e affidabile, il Rilevatore Pollini Divini, quelli "compatibili con la Terra di Cristo", in grado di sopravvivere 2000 anni e provare il percorso fatto da Gerusalemme a Lirey in Francia dove "apparve" per volontà di Dio, la prima volta nel 1353, il lenzuolo funebre extra long con la Sacra Immagine di Cristo deposto dalla Santa Croce.
Viene poi introdotta la novità "storica" in assoluto, roba che neanche il Beatificato Karol Wojtyla riuscì a profetare durante il suo longevo papato: la Sindone di Torino e il Mandylion sono la stessa "Sacra Reliquia". Una "contorta indagine" inventata inizialmente dallo scrittore inglese Ian Wilson nel 1978, e come tale considerata dagli esegeti accreditati della Chiesa ... sino ai tempi recenti.
Alla data della sua prima apparizione, essendo un telo ignoto senza alcun richiamo storico, neotestamentario e neanche patristico, per superare il pericoloso "impasse" della assenza di "Tradizione", i Sindonologi Mistici per colmare l'ultra millenario silenzio sindonico riesumano la "Leggenda del Volto Santo" (il mito evolutosi dalla Sacra Lettera di Gesù ad Abgar) quindi ci spiegano che "la Sindone è in realtà il Mandylion di Edessa" il quale, inizialmente, fu opportunamente ripiegato quattro volte in modo da ottenere otto strati sovrapposti per lasciare visibile solo il Sacro Volto.
Se qualcuno poi obietta che la Sindone di Torino raffigura un Sacro Cadavere con gli occhi chiusi, mentre il Mandylion ritrae il Cristo vivo e vegeto ad occhi aperti, allora spiegano che basta concentrarsi intensamente e, ecco il miracolo: gli occhi di entrambi si aprono e si chiudono a discrezione poiché il Potere Divino ascolta la Fede del Giusto esaudendo il suo desiderio. Chi non è fra questi non potrà vedere né capire.
Alleluia! Fra questi è il pio Giacobbo. Il 25 maggio 2010, appena cinque giorni dopo il Concilio Iconòdulo di Torino su le "Sacre Impronte", il programma "Voyager" manda in onda sulla TV di Stato Rai 2 "La Sacra Sindone". Una inchiesta ad "Alto Profilo Scientifico" con il palese fine di svelare l'arcano che aleggia sul Sudario che avvolse il Corpo esamine di Cristo: "un mistero difficile da spiegare".
Sin dall'inizio lo showman ammaliatore, accompagnato da un coro celestiale come sottofondo sonoro e da una voce narrante fuori campo, chiarisce subito il mistero e spiega che "da secoli, questo Telo Divino, conserva intatto il suo segreto: è la reliquia più importante della cristianità, la raffigurazione quasi tangibile della sofferenza e del Sacrificio di un uomo condannato a torture terribili e ad una morte atroce per crocifissione"... ma, consapevole dell'ultimo Comandamento dettato da Dio, Giacobbo non menziona gli esiti delle datazioni al C14 nonostante abbiano già chiarito definitivamente il "mistero".
Gli Eletti Scienziati Illuminati e i Sindonologi Mistici, in virtù delle Rivelazioni Divine ricevute, scatenano nella "Crociata Mediatica" un fuoco "in Crociato" di Sacre Tesi riportate su innumeri libri, lezioni, verbali, filmati e quant'altro le fantasie mistiche si sforzano di congetturare: da Costantino il Grande, su su nei secoli, fino ai Cavalieri Templari ... giungendo a contraddirsi l'un l'altro. In questo Sacro Bailamme altisonante di teorie strampalate, senza alcuna base storica e scientifica, si distingue una autorevole voce fuori dal coro: Andrea Nicolotti. Chi l'avrebbe mai detto?
L'insigne studioso, da molti anni impegnato a "rammendare" i numerosi "strappi" alla storia contenuti nelle Verità neotestamentarie, intravede nella Crociata Mediatica in atto il concreto rischio di una perdita di credibilità da parte di quel mondo intellettuale e razionale, poco incline a farsi prendere in giro.
Constatato che la schiera dei Sindonologi Mistici vede cresciuti a dismisura e fuori controllo quelli convinti che la Sindone di Torino e il Mandylion di Edessa siano la stessa reliquia, affronta seriamente la questione e nel 2011 pubblica un libro con uno studio approfondito* presentato al Congresso di Torino, attraverso il quale, avvalendosi di fonti storiche, letterarie e iconografiche, sconfessa la puerile teoria con precisi dati di fatto e, senza remore, ne cita molti, italiani ed esteri, con tanto di nome e cognome.
Il dottor Nicolotti sa, ed ha ragione (questa volta), che a lungo andare le argomentazioni sciocche hanno la peggio finendo col gettare ulteriore discredito sulla già traballante credibilità della Chiesa.
* "Dal Mandilio di Edessa alla Sindone di Torino. Metamorfosi di una leggenda"
Anche in rete pubblica uno studio specifico, consultabile liberamente, "Forme e vicende del Mandilio di Edessa"
La disamina contiene una ricerca iconografica che si allarga alle reliquie documentate sino a ricostruire la storia del famoso reliquiario custodito a Costantinopoli dagli Imperatori bizantini a partire dal 944 d.C.
Nel 1204 la città fu assalita e saccheggiata dai Crociati i quali salvarono il reliquiario divenuto proprietà di Baldovino I, nuovo Imperatore di Costantinopoli nel 1228, fu poi venduto da suo figlio Baldovino II dietro pagamento di una cifra esorbitante a (Ludovico) Luigi IX detto il Santo, Re di Francia dal 1226 fino alla sua morte nel 1270 (poi è' stato fatto veramente Santo). Al termine del particolareggiato excursus storico, Nicolotti conclude:
Siamo in grado di sapere con precisione quali furono le reliquie cedute al sovrano francese perché ci è pervenuto il testo di una dichiarazione, datata giugno 1247, che le elenca una ad una:
"La sacrosanta corona di spine del Signore, e la santa croce; poi del sangue del Signore nostro Gesù Cristo; i panni dell’infanzia del Salvatore, con i quali fu avvolto nella culla; un’altra grande porzione del legno della santa croce; il sangue che, per stupefacente miracolo, stillò da un’immagine del Signore percossa da un infedele; poi la catena, o vincolo di ferro, fatto quasi in forma di anello, con il quale, si ritiene, nostro Signore fu legato; la santa tela inserita in una tavola; gran parte della pietra del sepolcro del Signore nostro Gesù Cristo; del latte della beata vergine Maria; poi il ferro della sacra lancia con il quale il fianco del Signore nostro Gesù Cristo venne trafitto; un’altra piccola croce, che gli antichi chiamavano croce trionfale, perché gli imperatori erano soliti portarla alle guerre per speranza di vittoria; la clamide scarlatta che i soldati misero addosso al Signore nostro Gesù Cristo, a suo scherno; la canna che gli posero in mano al posto dello scettro; la spugna piena d’aceto che gli sporsero quando era assetato sulla croce;parte del sudario con il quale il suo corpo fu avvolto nel sepolcro; poi il lino di cui si cinse quando lavò i piedi dei discepoli, e con il quale asciugò i loro piedi; la verga di Mosè; la parte superiore della testa del beato Giovanni Battista, e le teste dei santi Biagio, Clemente e Simeone"* (Epistula Ludovico IX).
Questo documento storico conferma che sino al 1247 d.C. non esisteva ancora la ben più famosa Sacra Sindone in Francia ove, come sappiamo, farà la sua comparsa a Lirey un secolo dopo, "devotamente" integra. San Luigi, Re di Francia, grazie al potere e ai capitali a sua disposizione avrebbe certamente completata la sua già ricca collezione di reliquie sostituendo il "pezzo di Sindone", ovviamente falso, con la Sindone "autentica".
* San Biagio, ne abbiamo dimostrato l'invenzione all'inizio di questo studio; san Simeone anche lui inventato, vedi studio IV; san Clemente (Alessandrino) idem, vedi studio V.
L'analisi di Nicolotti, negando l'identificazione del Mandylion con la Sindone di Torino, di fatto (solo su questo punto), conferma le conclusioni dei maggiori sindonologi atei italiani, Antonio Lombatti, collaboratore del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) e Luigi Garlaschelli del Dipartimento di Chimica Organica dell'Università di Pavia.
Tutti insieme, pur "militando" in schiere contrapposte, i loro studi evitano, accuratamente ma con ragioni diverse, di entrare nel merito della cruenta storia scritta nei decreti conciliari sulle reliquie e la raffigurazione delle divinità cristiane. Così come, insieme, evitano la lettura comparata dei documenti neotestamentari con quelli afferenti la Tradizione patristica che trattano il momento della morte e risurrezione di "Nostro Signore", e il periodo seguente quando entrano in azione i Suoi successori.
Da quanto risulta, l'Ultimo Protocollo equiparato a Comandamento e rivelato da Dio dall'Alto dei Cieli ai Sindonologi Mistici ed agli Eletti Scienziati Illuminati, viene ottemperato anche dagli scienziati atei (la minuscola è d'obbligo quando non si tratta di Santi) e dallo stesso CICAP.
Tanto peggio per loro perché l'apparizione miracolosa voluta dal Creatore, apparsa sulla Sindone in contemporanea con la Grande Ostensione del 2010, la scritta "ENEA", mai vista prima, viene scoperta, manco a dirlo ... dall'ENEA. Sì, avete capito bene, l'Agenzia Nazionale per le Nuove tecnologie Energia e sviluppo sostenibile. E quando la "Scienza" entra in campo contro la "Scienza" ... le cose si complicano per la "Scienza".
La notizia viene ufficializzata dal dottor Paolo di Lazzaro, responsabile del Laboratorio Eccimeri del Centro Ricerche ENEA di Frascati, il quale spiega subito che l'omonimia della scritta è un caso ma, la dichiarazione seguente chiarisce meglio la posizione dello Scienziato e dell'ENEA:
Centro Ricerche ENEA di Frascati. Ufficio Stampa.
“La Sindone è un enigma scientifico a molte facce”. Ci spiega il dott. Paolo Di Lazzaro, responsabile del Laboratorio Eccimeri del Centro Ricerche ENEA di Frascati “La misura di radio datazione effettuata con il carbonio 14, per esempio, ha collocato l’origine del telo in pieno medioevo (1260–1390) ma questa misura sembra aver sofferto sia di errori materiali di calcolo sia di problemi di contaminazione, ed è in contrasto con molti indizi tessili, iconografici, storici che suggeriscono che questo telo sia più antico di quanto dica la radio datazione”.
Non ci vuole molto a capire che l'Eletto Scienziato Illuminato ha emesso un Giudizio Divino basato sulla semplice Fede poiché "sembra" e "indizi" non hanno alcuna valenza probatoria scientifica, utili, questo sì, ad eccitare e indottrinare gli sprovveduti, e Di Lazzaro lo sa bene. Consapevolmente il dottor Paolo alimenta la credulità superstiziosa coinvolgendo la Scienza in quanto suo rappresentante, quindi "testimone" della inaffidabilità della stessa, ottenendo quanto si era prefisso: il Sacro diventa certezza, la Scienza no!
Dottor Di Lazzaro, prima di richiamarsi a "indizi storici", si legga la Storia, e al contempo si legga i Sacri Testi e la documentazione patristica dei "Successori di Cristo", poi, dopo una decina d'anni di studi a tempo pieno, stia certo, non oserà più fare "sparate" in cui miscelare Credo e Scienza al fine di insinuare pesanti dubbi su misurazioni fatte da tre Istituti di rilevanza mondiale che si sono avvalsi di strumenti scientifici ai quali Lei stesso, in ultima analisi, affida i suoi oracoli.
L'Illuminazione che ha folgorato lo Scienziato Eletto si concretizza con la "ricostruzione" del "Bagliore Divino della Risurrezione" che generò Cristo nel lenzuolo funebre entro cui fu avvolto lasciandovi la Sua Impronta nell'attimo in cui "sparì". "I ricercatori dell'ENEA credono sia stato un potente fascio di raggi ultravioletti a marcare indelebilmente il Sudario di Cristo" dice Giacobbo all'inizio dello show; e aggiunge "una potente luce si generò dal Corpo di Cristo all'interno del Sudario"; poi fa scendere in campo Di Lazzaro, che si presta ben volentieri, e il dottore, con un laser a eccimeri, produce un potente raggio di luce ultravioletta "di energia pari a quella di quel giorno di 2000 anni fa"(sottolinea Giacobbo).
Il laser, indirizzato su un piccolo campione di tessuto "riesce" a bruciacchiarlo facendogli una macchia o ombreggiatura (che i pii chiamano "impronta"). "Cambiando l'onda di emissione abbiamo ottenuto un colore molto più giallo e molto più vicino alla colorazione cromatica della immagine sindonica; l'azione coinvolge le fibre più esterne, quelle che guardano la luce laser" conclude lo Scienziato.
E allora? Cosa c'è di speciale nello strinare con un potentissimo raggio ultravioletto un pezzetto di telo bianco sino a macchiarlo? Lo Scienziato Eletto ci spieghi piuttosto come fa un "laser a eccimeri" a riprodurre la assenza di deformazioni geometriche tipiche di un corpo tridimensionale al quale aderisce un lenzuolo come una maschera al volto di un uomo.
Perché, quando spianiamo la maschera ben stirata come il Lenzuolo di Torino, quella che i Sindonologi Mistici chiamano "Impronta del Volto" finisce col risultare una grottesca faccia slargata a dismisura, e lo stesso vale per il resto del corpo ... ma chi realizzò il falso lo sapeva bene e fece in modo che il "Corpo Sacro" apparisse di proporzioni umane corrette. Già, ma molto più alto della media umana dell'epoca: come si conveniva a un Dio che sovrastava tutta l'umanità.
Roberto Giacobbo, avvalendosi di un intelligente montaggio unito ad una scaltra manipolazione mediatica finalizzata a dimostrare la veridicità della Risurrezione, è riuscito a incantare masse di ascoltatori, convinti di aver assistito a un documentario scientifico ... in quel momento ... poi, appena giunta domenica, gli stadi continuano a riempirsi, ma le Chiese a svuotarsi.
A seguito i "miracolisi" esperimenti compiuti dal Laboratorio ENEA in diretta TV, contiamo sull'interesse del pio scienziato divulgatore cattolico, il professore Antonino Zichichi, affinché, dopo aver raccolto le preventive necessarie adesioni dei fisici più famosi del mondo, promuova gli atti necessari a candidare il dottor Paolo Di Lazzaro presso il Comitato Norvegese di Oslo per l'assegnazione del Premio Nobel per la fisica "essendo riuscito a riprodurre l'energia che si sprigionò da Cristo al momento della Sua Risurrezione". Rimaniamo in devota attesa della conferma ufficiale del prestigioso riconoscimento, orgoglio dell'ingegno italiano.
Dopo questa fastidiosa sequela di "prove", "teorie", "confutazioni", "fantasie", "credenze", "convinzioni", sciocche e spesso puerili, ma soprattutto superstiziose e caparbie, rimangono semplici e brevi considerazioni dalle quali non si può prescindere. Particolari che qualsiasi prete o semplice studioso di testi sacri e tradizione patristica conosce alla perfezione ... ma che tace volutamente per calcolato opportunismo.
Una volta accettate per vere le narrazioni evangeliche canoniche neotestamentarie, basta leggerle con attenzione critica per ricavare i dati inerenti alle reliquie documentate nei Sacri Testi. Nel caso della Sindone e del velo usato per asciugare il volto di Cristo seguiamo cosa dice il vangelo di Giovanni dopo che Gesù fu deposto nel sepolcro da Giuseppe d'Arimatea seguito da Nicodèmo:
"Vi andò anche Nicodèmo e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libre. Essi presero il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con gli oli aromatici" (Gv 19,40. Bibbia CEI).
"Allora Simon Pietro, insieme all'altro discepolo (Giovanni) si recarono al sepolcro. Correvano insieme ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi vide per primo le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro ed entrò e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era statoposto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte" (Gv 20,3/7. Bibbia CEI).
Questa è tutt'ora la traduzione ufficiale del vangelo di Giovanni da parte della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) conforme al "Codex Vaticanus Graece 1209": quindi una Sacra Scrittura in vigore da oltre 1500 anni, utilizzata per evangelizzare la intera Cristianità.
Scopo dello scriba di questo vangelo fu di rappresentare l'imbalsamazione della salma del Messia da parte dei due autorevoli Giudei, già forniti di trentadue chili (in libbre romane) di miscela balsamica, secondo rituali riservati ai Re e praticati nei paesi orientali, dall'India alla Persia fino all'Egitto. Erano salme sacre e dovevano essere preservate dalla decomposizione garantendo loro una vita eterna nell'aldilà dopo essere state cosparse di unguenti e avvolte con bende di lino intrise nella stessa sostanza.
La miscela di mirra e aloe aveva questa proprietà ma, come tutti i credenti riconoscono (in ossequio alla fantastica teologia dell'evangelista), il rituale per impedire la putrefazione del Suo cadavere non servì a Gesù: Egli risuscitò da morte entro il terzo giorno, prima di decomporsi.
Il vangelo di Giovanni, a differenza dei tre sinottici, non parla di lenzuolo nel quale fu avvolto l'intero corpo di Cristo quando fu deposto dalla croce: l'unico sudario era un telo posto sul suo capo, quindi di misura molto ridotta rispetto a quello utile a contenere l'intero corpo come una sindone di oltre quattro metri.
Infatti i vangeli sinottici non riportano la presenza del piccolo sudario, pertanto, mentre la tumulazione della salma è uguale in tutti i vangeli, viceversa, il procedimento rituale per l'imbalsamazione del corpo si realizza solo nel quarto vangelo.
La sepoltura più famosa dell'umanità viene descritta con due rituali funebri, diversi e contratanti fra loro, riguardanti lo stesso defunto, e il fatto non può che discreditare la successiva narrazione della risurrezione del cadavere, un fenomeno che viola le leggi naturali, ragion per cui: impossibile.
Sin dal 1979, sotto il neo eletto papa Karol Wojtyla, l'Accademia Pontificia delle Scienze manifestò l'intenzione, attraverso un protocollo pubblico, di sottoporre la Sindone di Torino a vari esami tra i quali la datazione al radiocarbonio. Da allora l'attenzione degli esegeti si è focalizzata sulle descrizioni degli evangelisti al momento della deposizione e preparazione per la sepoltura della salma di Cristo, evidenziando la diversità fra i sinottici, in cui si descrive un lenzuolo come sudario, e il vangelo di Giovanni che specifica "avvolsero il corpo in bende", non nella Sindone.
Le eminenze grigie, giustamente, paventavano che la pubblicità, scaturita da un esame pubblico della reliquia più famosa della cristianità, avrebbe aumentato la curiosità delle masse, cui sarebbe seguita l'inevitabile denuncia della grave contraddizione fra i vangeli, finendo col ridurne la credibilità. Inoltre, a peggiorare il giudizio, molti critici avevano iniziato ad insinuare che il falsario della Sindone fu obbligato ad ignorare il vangelo di Giovanni perché non poteva eseguire l'opera particolareggiata su delle bende. Ma la Chiesa era con le mani legate: se avesse modificato la traduzione del vangelo di Giovanni avrebbe scatenato la reazione dei critici e attirato ancor più l'attenzione sul grave contrasto fra le diverse testimonianze evangeliche della "resurrezione di Cristo". Come nel caso di Luca quando, nel suo vangelo, narra di un Gesù appena risorto che si intrattiene con gli apostoli giusto il tempo di consumare nel "cenacolo" una cenetta a base di pesce e ... "alzate le mani, li benedisse e si staccò da loro e fu portato verso il cielo" nel medesimo giorno (Lc 24,51).
Ma lo stesso Luca, in "Atti degli Apostoli", rilascia una versione diversa: "Egli (Gesù) si mostrò ad essi (gli apostoli) vivo dopo la sua passione, con molte prove (sic), apparendo a loro per quaranta giorni ... e fu elevato in alto ai loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,3/9).
Nel 1988, quasi in sordina, un prete laziale, ossessionato dalla dubbia credibilità circa la "Resurrezione di Cristo" a causa le contraddizioni evangeliche, don Antonio Persili, banalizzando apertamente e con superficialità la millenaria versione ufficiale, decide autonomamente di "riparare" il vangelo di Giovanni e pubblica il suo studio in un volumetto che, non potendo fare altro, viene ignorato dalle autorità ecclesiastiche: "Sulle tracce del Cristo risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari".
Dovranno passare una dozzina d'anni di dispute interne sulla Sindone prima che qualche esegeta della Chiesa pensasse che era opportuno modificare il vangelo di Giovanni, in quel preciso punto. Al contrario, i veri esegeti ecclesiastici, le sottili Eminenze Grigie, hanno capito che il volenteroso prete era animato da un sincero "eccesso di fede" ed hanno fatto finta di niente, ben sapendo che se avessero iniziato a "correggere" i vangeli ... sarebbero stati costretti a riscriverli tutti dall'inizio, appunto per "l'eccesso di contraddizioni" in essi contenute.
Nel 2000 d.C., anno del Grande Giubileo Cattolico, è iniziata a circolare la versione, tuttora ufficiosa, in grazia della "Rivelazione Divina" ricevuta dall'evangelista don Antonio Persili, incentrata sul brano di Giovanni, corredata di nuove teorie e "dovutamente" caricata di tortuosi grecismi ricercati nel groviglio dei vocabolari disordinatamente sfogliati, ma, non essendo bastante estrapolare qualche parola, per corroborare la sua teoria le cambia con delle nuove.
Ignorando il preciso rituale dell'imbalsamazione e le motivazioni escatologiche rappresentate dallo scriba, il brano appena sopra letto viene modificato nel nuovo vangelo di don Antonio Persili ed entusiasticamente accettato dai saccenti dèditi a fare apostolato, ma frustrati dal vangelo di Giovanni "discepolo prediletto di Gesù", il quale viene fatto passare come "giovane inesperto" ... nonostante, quando scrisse il vangelo, era quasi centenario. Un particolare che l'evangelista Persili e gli avviliti sapienti, con Vittorio Messori "capocordata", si guardano bene dall'evidenziare. Ecco il nuovo versetto "riparato":
"Giovanni ... chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò. Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fasce distese e il sudario che era sul capo di lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica".
Le motivazioni di chi ha scritto questo brano, e di chi lo condivide, sono evidenti dal momento che la stessa "necessità" di modificare un vangelo, già da sola, dimostra che chi lo fa sa che fu scritto da uno scriba senza alcuna "rivelazione" di Dio; quindi sa che può "correggerlo" per ridurre le contraddizioni con le altre "resurrezioni". Ma consigliamo i lettori di non "infilarsi" nel web in questa "ricerca" per evitare di ritrovarsi nel mezzo di una bolgia mediatica tipo quella relativa il Mandylion-Sindone e, soprattutto, perché ... è inutile.
Più i falsificatori si agitano per "salvarsi" dalle sabbie mobili delle sacre contraddizioni e più finiscono coll'affondarvi.
Non è un caso che Dio abbia dettato il Protocollo Divino equiparato a "Comandamento", in base al quale tutti i Sindonologi Mistici e gli Eletti Scienziati Illuminati devono astenersi dall'entrare nei particolari neotestamentari: «Evitare, tassativamente, ulteriori "Rivelazioni Divine" e smettere di citare la storia patristica cristiana sino a tutto il IV secolo, nonché qualsiasi Concilio tenutosi su le "Sacre Impronte" dal VI secolo in poi, pena le Fiamme dell'Inferno» ...
Sì, il Padreterno aveva delle ottime ragioni per impedire che il castello di sabbia delle menzogne si sciogliesse col sopraggiungere delle onde del razionalismo storico.
Dopo che la Chiesa Universale ha indetto l'ultima Santa Crociata Mediatica e chiamato a raccolta gli "Scienziati di Cristo", incitandoli ad elaborare teorie scientifiche di "ultima generazione" da esporre nel Concilio Iconòdulo sulle "Sacre Impronte" tenutosi a Torino nel 2010, la grancassa ha suonato così forte che, ormai, l'elenco delle "Impronte" rilasciate dalle "Sacre Reliquie" è talmente lungo che la immancabile, pedissequa Wikipedia, "Per Grazia Ricevuta" lo ha sciorinato compiutamente. E sappiamo tutti che qualsiasi informazione "entrata" nel web, lì resta ... anche a voler cancellare "la fonte". Allora, a partire dai vangeli, limitiamoci a seguire il percorso delle due reliquie in essi citate e decantate a squarciagola dalla cristianità praticante: la Sindone, lungo sudario del Cristo defunto e il piccolo sudario che avvolse il Suo capo.
L'unico ad entrare nel Sacro Sepolcro fu Simone Pietro, lui vide i due sudari, intanto fuori era già risorto "Rabbunì, il Maestro" e parlava con Maria di Màgdala. Poi, nello stesso giorno, la sceneggiatura si sposta dal sepolcro alla casa dove si erano rifugiati gli apostoli, e lì Gesù si rivela anche a loro già risorto, per otto giorni. Poi si rivela ancora a loro sul mare di Tiberiade, e dal lago ... le rivelazioni proseguono nella Città Santa in "Atti degli Apostoli".
Ove leggiamo che i Successori di Cristo si riuniscono per quaranta giorni: prima nel Cenacolo sul Monte degli Ulivi, poi a Gerusalemme, assieme a Maria Vergine in attesa dello Spirito Santo "assidui e concordi nella preghiera". Fra essi è presente Simone Pietro, l'unico di loro ad essere entrato nel Sacro Sepolcro, quindi il solo ad avere il Sacro Dovere di salvaguardare le due reliquie del Figlio per consegnarle alla Madre di Cristo.
Ma, lo scriba di "Atti" che si firma Luca, non sa nulla della Sindone riferita dallo scriba del vangelo di san Luca. Pertanto questo amanuense non sente il dovere di far restituire da san Pietro alla Theotòkos "ΘεοτΟκος", la Madre di Dio, come è chiamata nel vangelo lucano, il lenzuolo funebre di Suo Figlio. Lo stesso vale per il piccolo sudario che avvolse la testa di Cristo.
A questo punto, per gli iconòduli reliquiaristi le cose si complicano davvero. Nella casa, assieme agli altri apostoli, è presente anche Giuda "non il Traditore", il quale, stando alla "tradizione" inventata durante le lotte iconoclaste tra cristiani, già possiede il fazzoletto con l'Immagine di Gesù vivo e, quanto meno, deve sentire il cristiano obbligo di farla vedere a Sua Madre ed agli stessi apostoli, perché essi riferiscano la parabola nei vangeli e nelle loro lettere, informandoli, inoltre, che lui stesso, dopo la discesa dello Spirito Santo, avrebbe ordinato all'apostolo Taddeo (ma, come sappiamo, san Luca non lo conosce, infatti lì non c'è) di recarsi a Edessa per consegnare ad Abgar il Mandylion e miracolare l'intera città affetta dalla lebbra, secondo la testimonianza di Eusebio riferita tre secoli dopo, ripresa ancora due secoli successivi dagli "Atti di Taddeo":
"Dopo l'ascensione di Gesù, Giuda, detto anche Tommaso, mandò ad Abgar l'Apostolo Taddeo".
Ma, nella narrazione sacra apostolica dei loro "Atti", neanche Giuda, lì presente, espresse alla Madre di Cristo questa "volontà" ordinata da Suo Figlio quando era in vita.
Ecco perché a Nicea II, come abbiamo sopra visto, tutti i presenti all'assemblea conciliare, indistintamente, sapevano che nessun Apostolo, Padre, Vescovo, Papa o storico cristiano, sino ad Eusebio di Cesarea, aveva mai sentito parlare, non solo di "Sacro Volto", ma neanche di semplice "lettera divina" che, nel giro di un paio di secoli dopo il menzognero Vescovo, si trasformerà in "Immagine Sacra di Gesù".
Intanto, mentre stiamo scrivendo queste righe, il frastuono della Crociata Mediatica indetta da Santa Madre Chiesa per comprovare l'esistenza delle Sacre Reliquie, non si placa, anzi, continua peggio di prima perché, ormai, i depositari iconòduli delle "Rivelazioni Divine" litigano fra di loro nella corsa serrata a chi le spara più grosse, perciò ... si è verificato quello che Dio aveva temuto e tentato di evitare con l'Ultimo Protocollo ...
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