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Claudio Cava

19/04/2007 13:17

SANDRO CAPPELLETTO

Occorreva un avvenimento raro come l’ottantesimo compleanno del Pontefice perché Rai Uno trasmettesse, con ogni cura di immagine e di qualità di suono, un concerto in diretta alle sette di sera, per oltre un’ora e senza interruzioni pubblicitarie!

Un sorprendente concerto. Non solo per i dati di cronaca: l’Orchestra della Radio di Stoccarda era infatti diretta da Gustavo Dudamel, ventisei anni, venezuelano, il cui principale impegno è lavorare con l’Orchestra Giovanile Simon Bolivar, formata da ragazzini del suo Paese strappati alla miseria e al degrado e che trovano nella musica un’arma potente e mite di riscatto. Ma sorprendente per le musiche scelte: nella Sala Nervi del Vaticano gli invitati hanno ascoltato il terzo Concerto per violino di Mozart, la Sinfonia «dal Nuovo Mondo» di Antonín Dvorák e la Sonata XIII di Giovanni Gabrieli, breve capolavoro di sontuosità barocca e unico brano dei tre che abbia un’origine liturgica.

«La musica - ha detto poi Benedetto XVI, ringraziando i propri genitori per avergliela fatta "studiare" - è stata una compagna di viaggio che sempre mi ha offerto conforto e gioia. La musica è veramente il linguaggio universale della bellezza, porta gli uomini ad alzare lo sguardo verso l’alto e ad aprirsi al bene e al bello assoluti, che hanno la loro sorgente in Dio stesso».

La bellezza della musica possiede dunque una sua sacralità. Tutta la musica, o soltanto quella che comunemente definiamo sacra? Al riguardo, le opinioni sono assai varie. Secondo Pierre Boulez, «sacra è tutta la musica che racconta la verità e la vastità di ogni esperienza umana». Per John Eliot Gardiner, direttore artistico di «Anima Mundi», festival di musica sacra che si svolge nel Duomo di Pisa, «è la qualità dell’esecuzione e il contesto in cui avviene che rendono sacra una musica». Se è così, il concerto del 16 aprile 2007 - che rimarrà nella storia dei concerti vaticani - è stato «sacro», anche se la Sala Nervi non è un luogo di culto, anche se le prescelte musiche di Mozart e Dvorák sono nate in contesti del tutto laici.

All’interno dell’organizzazione cattolica, però, le linee di pensiero e le pratiche sono diverse. Come racconta don Luigi Garbini nella sua recente Breve storia della musica sacra, è un atteggiamento di chiusura e di esclusione a prevalere, nella preoccupazione di difendere sia una riconoscibile specificità liturgica della musica, sia una sua immediata capacità di comunicazione e coinvolgimento. Un duplice obiettivo che ha trovato voce, spesso deludente, in tante semplici Messe contemporanee composte da religiosi o da zelanti chierici quanto nelle canzoni intonate da qualche decennio nelle chiese durante le funzioni.

Per quanto riguarda il contatto con il mondo del pop, cercato e ottenuto da Giovanni Paolo II, lo stop di papa Ratzinger è stato immediato. Non ama questa musica, non appartiene alla sua formazione, non la considera in grado di avviare un ascolto, un dialogo «sacri». Lui, sente più vicino al «bene e al bello assoluti» Bach piuttosto che Bob Dylan e non ha remore nel dirlo. Dylan sarà senz’altro d’accordo, le gerarchie vaticane chissà.

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