di Alessandro Ursic in “La Stampa” del 22 maggio 2011.
Per andare, i filippini sono andati: all’estero, perché in patria non c’è lavoro. Ma anche sul moltiplicarsi, con una popolazione raddoppiata in 30 anni, hanno preso la parola di Dio alla lettera.
Frenare questa crescita è un dovere pubblico per il bene dei cittadini condannati alla povertà, o un peccato? Dopo 13 anni di dibattiti, con un presidente che si dice pronto alla scomunica e un clero di stampo feudale, nelle cattolicissime Filippine è ora iniziata la battaglia finale tra Stato e Chiesa.
Lo scontro gira attorno a una proposta di legge per destinare finanziamenti pubblici all’ educazione sessuale nelle scuole e alla distribuzione gratuita di preservativi nelle cliniche, in un Paese di 94 milioni di abitanti all’80% cattolici, di cui un terzo vive con un dollaro al giorno.
Mentre i sostenitori della legge sottolineano il legame tra sovrappopolazione e povertà, i vescovi tuonano contro la «cultura della morte», tirando in ballo l’ identità nazionale.
Il presidente Benigno «Noynoy» Aquino, figlio dell’ex presidentessa Corazon e del leader dell’ opposizione assassinato nel 1983, ha gettato tutto il suo capitale politico dietro il provvedimento.
Trionfalmente eletto un anno fa e ancora molto popolare, percepito come immacolato in un Paese dalla corruzione imperante, Aquino spiega che il suo obiettivo è diffondere la consapevolezza in materia sessuale, lasciando la decisione di fare un figlio alle coscienze individuali.
Ma la potente Chiesa di Manila, nonostante gli inviti presidenziali al dialogo, non è disposta a smuoversi dalle solite raccomandazioni all’astinenza, ergendosi a difesa dei «sani valori» delle donne filippine.
E sul ring del Congresso i vescovi possono contare ora su Manny Pacquiao, il primo pugile campione del mondo in otto categorie diverse e dall’anno scorso deputato ipercattolico.
«Pac-man», cresciuto in povertà e ora idolo in patria, dice che «con questa legge uno come me non sarebbe mai nato», aggiungendo che «Dio ci ha detto di moltiplicarci, non di fermarci a due figli».
Tra un pugno e una preghiera, Pacquiao deve però essersi scordato che la moglie, al quarto parto e non certo preoccupata di come sfamare altre bocche, ha ammesso recentemente di essere passata alla pillola.
La questione divide un Paese dove l’aborto è vietato dalla Costituzione, e la Chiesa può fare o disfare carriere politiche. A sostenere che il problema è la corruzione e non la sovrappopolazione sono spesso i membri delle classi medio-alte con due figli di media e zero problemi nel rifornirsi di preservativi.
Chi può va ad abortire a Singapore, nelle cliniche clandestine finiscono 566 mila donne l’anno, 90 mila soffrono complicazioni. E mille muoiono.
In un crescendo di attacchi verbali, la sfida al Congresso è ancora tutta da giocare e non è chiaro da che parte stia la popolazione. Se l’anno scorso un sondaggio aveva rivelato che la maggioranza dei filippini è favorevole alla legge, il crescente attivismo di Pacquiao potrebbe avere un peso non ancora misurato dalle statistiche.
La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
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