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Indecorosa mistificazione della storia d'Italia fatta da Ratzinger

Ultimo Aggiornamento: 11/04/2012 06:51
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Madre Badessa
11/04/2012 00:01
 
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Il papa tedesco ha sempre goduto la nomea di uomo colto in teologia, storia e filosofia. Ma per alcuni intellettuali italiani, privi dei paraocchi e in controtendenza verso la Chiesa, questa nomea risulta usurpata. Infatti i libri del papa su Gesù hanno suscitato aspre critiche nel mondo laico, soprattutto dal punto di vista storico, e poco entusiasmo presso gli stessi cattolici che sono andati a gara a comperarli. Io, personalmente, ho tentato in più occasioni di leggerli, ma sono stato costretto a interromperne la lettura, stante la loro palese vacuità razionale e storica.


Una chiara conferma di come papa Ratzinger sia avvezzo a mistificare la storia mettendo in evidenza, in quel che scrive, alcune parti esigue della verità per nasconderne accuratamente altre, macroscopicamente false, basta leggere il Messaggio indirizzato il 17 marzo 2011 al Presidente Napolitano in occasione del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. In questa ricostruzione della storia italiana operata dal papa tedesco viene affermato spudoratamente che “Il Cristianesimo ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assistenziali” e viene sottolineato che grandi artisti come “Dante, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina, Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini” nel corso dei secoli, “hanno dato un apporto fondamentale alla formazione dell’identità italiana”.


Da ciò si arguisce, secondo Ratzinger, il nesso tra il cristianesimo e ‘l’opera della Chiesa’ e si suggerisce l’idea che, come il cristianesimo, anche la presenza della Chiesa sia stata sempre e soltanto benefica e che tale sia stata considerata da tutti.


Il che non è affatto vero, anzi suona come una autentica impostura perché, a cominciare da Dante, messo all'Indice dalla Chiesa, gran parte degli degli autori citati dal papa giudicavano in modo assolutamente negativo la gerarchia ecclesiastica. Dante, per esempio, nella Divina Commedia pone in bocca a Pietro una violenta invettiva contro i papi del tempo, lupi che travestiti da pastori sbranano il gregge cristiano invece di custodirlo, portando il papato a livelli di corruzione inimmaginabili.


Per non parlare di Petrarca che nel Canzoniere giudica la corte pontificia, che conosceva fin troppo bene: "nido di tradimenti, in cui si cova quanto mal per lo mondo oggi si spande: de vin serva, di letti e di vivande, in cui lussuria fa l'ultima prova ... scola d'errori e templo d'eresia ... fucina d'inganni"(CXXXVI, CXXXVIII).


Se questi autori apprezzavano poco ‘l’opera della Chiesa’, tanti altri intellettuali che il papa non cita (Marsilio da Padova, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto, Guicciardini, Giordano Bruno, tanto per citarne alcuni) l’apprezzavano ancor meno, anche se magari erano costretti, per evitare il rogo, ad ossequiarla ipocritamente. Si capisce come uno scrittore dell'epoca arrivasse a giustificare moralmente la dissimulazione, per salvare la pelle, scrivendo: "si concede talor il mutar manto per vestir conforme alla stagion della fortuna"(Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta, 1641).


E anche oggi un atteggiamento ipocritamente ossequioso verso la gerarchia cattolica caratterizza lo stile di vita di tanti italiani, soprattutto politici infingardi di entrambi gli schieramenti. Il papa ricorda nel Messaggio l’azione benefica delle ‘istituzioni educative ed assistenziali’ fondate dalla Chiesa, ma dimentica altre iniziative ecclesiastiche che hanno avuto effetti devastanti sulla società italiana, a cominciare dalla caccia alle streghe, dal Tribunale dell’Inquisizione, e,soprattutto, dalla Controriforma che associata all'Indice dei libri proibiti, ottenebrò, nel volgere di pochi decenni, tutte le conquiste dell'Umanesimo e del Rinascimento e soffocò nel nostro Paese, per secoli, ogni anelito di libertà intellettuale e morale, ogni curiosità scientifica, ogni ricerca appassionata delle idee, e perfino la gioia di vivere.


Ecco spiegato perché ancor oggi l'Italia, a causa della repellenza verso la carta stampata che le è stato inculcata dalla Chiesa, è il Paese in cui si legge meno che in qualsiasi altro Stato europeo.


E che dire del Risorgimento (oggi vilipeso da alcune forze politiche) realizzatasi nell’Ottocento con l’apporto decisivo di uomini che erano ferocemente anticattolici perché vedevano nel papa di allora, il famigerato Pio IX, l'ostacolo massimo all'unificazione italiana e alla affermazione della democrazia? Ma Benedetto XVI ignora tutto questo per esaltare invece il Concordato mussoliniano e l’Accordo di revisione del Concordato lateranense, firmato il 18 febbraio 1984 da Craxi.


Due spaventosi macigni che gravano sul nostro Paese, riducendolo, di fatto, ad un protettorato vaticano, perché consentono alla Chiesa, nonostante la perdita inarrestabile di consenso tra i fedeli, di veder accrescere il suo peso sul piano economico, politico e civile sino a pretendere, ormai da diversi anni, che alla sua morale siano conformi le leggi approvate dal parlamento.


A Ratzinger vanno ricordate le parole ancora attuali scritte da Mazzini nel 1866: “Gli italiani non hanno un senso di missione […] di dignità d’uomini e cittadini […] sono rimasti servi nell’anima, nell’intelletto e nelle abitudini, servi a ogni potere costituito, a ogni meschino calcolo d’egoismo, a ogni indegna paura” (G. Mazzini, La questione morale, S.E.N., vol. LXXXIII). E questo a causa dell'influenza negativa sul nostro popolo di quasi venti secoli di oscurantismo cattolico.
Pubblicato da leo zen

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Padre Guardiano
11/04/2012 06:51
 
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Sarebbe da darlo in pasto ai leoni nel circo Massimo!!!!! [SM=x1468240] [SM=g2535979] [SM=g2535979] [SM=g2535979] [SM=g2535979] [SM=g2535979] [SM=g2535979]



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Querdenker evangelico anticonvenzionale del 1° secolo. "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam!" g.b.--In nece renascor integer ./Satis sunt mihi pauci,satis est unus,satis est nullus. Seneca-Ep.VII,11


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