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Anche italiani contro gli ebrei

Ultimo Aggiornamento: 02/05/2007 23:06
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02/05/2007 23:06
 
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BRESCIA
Non solo i nazisti: un libro di testimonianze documenta il coinvolgimento di nostri connazionali nella deportazione di ebrei

Gli italiani per la Shoah

A Desenzano operava nel ’44 l’«Ispettorato della Razza», centrale antisemita della Rsi diretta dall’ex prete Preziosi; che prima di suicidarsi distrusse tutti gli archivi

Di Lorenzo Rosoli

Desenzano del Garda, febbraio 1944. Il maresciallo dei Carabinieri al comando della stazione locale si reca al podere di Artemisia e Camillo Belli in viale Andreis. Vuole parlare con le due donne che dall'estate del 1943 vi sono ospitate. «Sono ebree», spiega. I Belli, benestanti borghesi, antifascisti convinti, ovviamente lo sanno. E lo sanno il casante dei Belli e sua moglie, umili contadini al loro servizio, che vivono e lavorano in quella proprietà. Le due donne - si legge nel «mattinale» della Questura di Brescia datato 25 febbraio 1944, nel quale è documentato l'arresto - sono Hulda Gorfinkel, 67 anni, ebrea tedesca, e Dorotea Gronik, 46 anni, da Merano, «apolide di razza ebraica» certifica, algido, il «mattinale». Il maresciallo, mentre le porta via, avverte i «protettori» delle due ebree: consideratevi fortunati che siamo stati noi ad arrestarle; fossero venuti i tedeschi, avreste fatto una brutta fine. Hulda e Dorotea verranno fagocitate dalla «macchina dello sterminio». Prima il campo di Fossoli, in Emilia; poi Auschwitz. Questo frammento gardesano della Shoah non è svanito nel nulla: è rimasto nella memoria del figlio dei casanti, che l'ha raccontato allo storico Gaetano Paolo Agnini, roveretano di nascita, desenzanese d'adozione. Questa testimonianza orale, con altre raccolte dagli anni '90 ad oggi, ora appare - per la prima volta messa nero su bianco - nel libro di Agnini La repubblica nera. La Rsi a Desenzano e nel basso Garda (Gam, Rudiano; pp. 220, 15 euro), pubblicato col contributo del Sindacato pensionati Spi-Cgil di Brescia. Un frammento, con gli altri narrati nel volume, che restituisce un disegno complessivo, come tessera di un più vasto, tragico mosaico: la «soluzione finale» in Italia non fu opera e responsabilità esclusiva dell'ex alleato-occupante nazista. Un ruolo cruciale, consapevole, convinto, lo ebbero anche la Repubblica sociale italiana - costituita il 23 settembre 1943 -, le sue milizie, le sue organizzazioni. I suoi uomini. A part ire da Guido Buffarini Guidi, ministro dell'Interno. E Giovanni Preziosi, per oltre vent'anni «campione» dell'antisemitismo fascista, direttore di quell'«Ispettorato generale per la razza» istituito da Mussolini il 18 aprile 1944, che proprio a Desenzano trovò sede: in casa Polidoro poi Ostali, già requisita per ospitare il comando della X Mas. Una sobria palazzina all'angolo tra le vie Pasubio e Dal Molin, che sino alla fine della guerra fu il «cuore» italiano della partecipazione all'Olocausto, dove si pianificarono la propaganda antisemita, le indagini, le reti dei delatori, gli arresti degli ebrei nei territori della Rsi, in stretta correlazione con le Ss, la Gestapo e la Wehrmacht. Negli ultimi giorni di guerra - narrano ancora i testimoni ascoltati da Agnini - Preziosi e i suoi uomini dettero alle fiamme gli archivi dell'«Ispettorato per la Razza». Preziosi - prete spretato, amico e ammiratore di Hitler, convinto sostenitore della «soluzione finale» nella parabola che lo portò dall'antigiudaismo cattolico all'antisemitismo nazista - tentava così di cancellare le prove del coinvolgimento italiano nella Shoah; estremo approdo di quella fuga dal giudizio degli uomini e della storia fu l'abbandono di Desenzano per Milano, dove si suicidò con la moglie per non cadere nelle mani dei partigiani e degli Alleati. Ma il criminale fervore d'attività della palazzina di via Pasubio, col suo andirivieni di repubblichini e soprattutto di nazisti, non era sfuggito ai desenzanesi, molti dei quali forse compresero solo a guerra conclusa l'abisso di nefandezze che in quegli uffici si pianificava. Nella grave penuria di documenti ufficiali sul ruolo della Rsi nella Shoah, sono proprio le testimonianze orali, come quelle raccolte da Agnini, a dare corpo alla tesi di fondo: la Shoah in Italia non fu colpa né opera solo dei tedeschi. Il libro - dedicato a Ferdinando Agnini, familiare di Gaetano Paolo, attivo tra gli studenti antifascisti, trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944 - colloca le «piccole storie» desenzanesi nello scenario di quegli anni. Ed ecco le pagine dedicate all'evoluzione dell'ideologia e delle politiche della razza in Italia e in Germania; e al ruolo della Chiesa cattolica, della quale Agnini sottolinea il ruolo crescente nell'opposizione alla persecuzione degli ebrei e nell'aiuto morale e materiale alla Resistenza nel Nord Italia. Ma fra i pregi principali del libro c'è la rievocazione del clima opprimente, claustrofobico, in cui si viveva in quell'area compresa fra Gargnano - residenza di Mussolini - e Desenzano - la tana di Preziosi e di tanti complici della Shoah -, fra Brescia e Verona, che dall'autunno del 1943 divenne l'epicentro amministrativo e militare del potere della Rsi e dell'alleato-occupante nazista. Ci voleva coraggio a piene mani per dare aiuto agli ebrei a Desenzano, come fecero i Belli e i loro contadini, avendo per vicini di casa i solerti collaboratori della «soluzione finale», i loro delatori e i molti che, per ignoranza o per paura, voltarono la testa dall'altra parte.

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“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
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