00 08/05/2009 04:20

L'OMOSESSUALITA' DI UN SANTO, ALCUNI PAPI E CARDINALI

di Giovanni dall'Orto

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Le storie che seguono se riferite all' omosessualità, sono esemplificative solo di ipocrisia. Essere omosessuali non è peccato verso nessun dio e quindi l'indicare un Papa come omosessuale vuol solo dire che la predicazione delle gerarchie ecclesiastiche fa finta di non sapere, condannando in modo vergognoso un fatto naturale.


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SISTO IV (Francesco Della Rovere, 1414-1484)

di: Giovanni Dall'Orto


Papa dal 1471 al 1484.

Entrato nell'ordine dei frati minori, si laureò in teologia a Padova nel 1444. Insegnò in varie università italiane prima di diventare Ministro generale dell'ordine dei frati minori conventuali (1464-1469). Nel 1467 fu creato cardinale da Paolo II, alla cui morte (1471) fu eletto papa.

Sisto IV perseguì una politica di rafforzamento del potere temporale della Chiesa, per mettere in atto la quale praticò il nepotismo, collocando i nipoti in posti chiave ed arrivando ad elevarne al cardinalato due, Giuliano Della Rovere (poi papa come Giulio II) e Pietro Riario (secondo alcuni in realtà suo figlio).

In politica estera il suo principale obbiettivo (che ebbe scarsi risultati) fu l'organizzazione di una crociata contro i turchi.

Sull'omosessualità di questo pontefice il cronista Stefano Infessura (ca. 1440-ca. 1500) raccolse nel 1484 nel suo Diario in latino una congerie di fatti documentati e di pettegolezzi infondati:

"Costui, come è tramandato dal popolo, e i fatti dimostrarono, fu amante dei ragazzi e sodomita, infatti cosa abbia fatto per i ragazzi che lo servivano in camera lo insegna l'esperienza; a loro non solo donò un reddito di molte migliaia di ducati, ma osò addirittura elargire il cardinalato e importanti vescovati.

Infatti fu forse per altro motivo, come dicono certi, che abbia prediletto il conte Girolamo, e Pietro [Riario], suo fratello e poi cardinale di san Sisto, se non per via della sodomia?

E che dire del figlio del barbiere? Costui, fanciullo di nemmeno dodici anni, stava di continuo con lui, e lo dotò di tali e tante ricchezze, buone rendite e, come dicono, di un importante vescovato; costui, si dice, voleva elevarlo al cardinalato, contro ogni giustizia, anche se era bambino, ma Dio vanificò il suo desiderio" [1]

(in realtà Masini e Portigliotti [2] hanno dimostrato che gli onori toccarono non al ragazzo bensì a suo padre, tale "Andrea da Brescia", che divenne cubiculario papale). Va notato che da un punto di vista storiografico è oggi evidente che Sisto IV dimostrò favore verso i nipoti non per lussuria, ma per disporre di esecutori fidati della sua politica [3].
Al contrario il favore da lui dimostrato per il giovane camerarius Giovanni Sclafenato (anch'egli nominato cardinale) assume i contorni sospetti lamentati da Infessura quando si legga l'epitaffio [4] che alla sua morte, nel 1497, il papa fece scrivere sulla sua tomba, dichiarando di averlo elevato al cardinalato "per l'ingegno, la fedeltà, la solerzia e le altri sue doti dell'animo e del corpo".
È forse un caso unico di un giovane dichiaratamente creato cardinale "per le doti del corpo"!

Si capisce quindi che il pettegolezzo si scatenasse già vivente Sisto IV. In un falso epitaffio "in morte di Sisto IV" (che era in realtà vivo e vegeto) Antonio Campano (1429-1477) così malignava: Campanus in morte Sixti iiij [5]. Campano, in morte di Sisto IV [5].

Plorent Salviatus Petrum Tyresia & Agnus
hic leno hic meretrix ille cinedus fuit.
Piangano il papa, Salviato, Tiresia e Agnella
l'uno fu ruffiano l'altra puttana l'altro sodomita.


Come si vede, con il poco materiale oggi disponibile è impossibile sciogliere il dubbio che si trascina ormai da cinque secoli.

Lo stesso non si può però dire nei confronti della "leggenda urbana" diffusa nei Paesi protestanti, che purtroppo circola ancora ai giorni nostri, secondo la quale Sisto IV avrebbe accontentato il cardinale di Santa Lucia che avrebbe richiesto, a nome di tutti i cardinali, il permesso di praticare la sodomia (considerata, chissà mai perché, meno faticosa) nei tre mesi più caldi dell'anno [6].

Qui nella propaganda protestante non si va tanto per il sottile:
Sixtus the 4th. built a Brothel-house at Rome for both sexes.[7]. Sisto IV costruì a Roma un bordello per entrambi i sessi.[7].

Una favola del genere sarebbe inverosimile anche se Pierre Bayle [8] non avesse già nel 1702 dimostrato, con argomenti definitivi, che è falsa. Si trattava infatti di semplice propaganda protestante per screditare i "papisti" utilizzando l'omosessualità.


Purtroppo il tema divenne arma della polemica religiosa e fu quindi trattato come tale. Ad esempio nell'Ottocento lo storico cattolico Ludwig Pastor trovò scandalosa l'idea dell'omosessualità di Sisto IV, sostenendo l'assoluta eterosessualità di questo papa, protestando che: "delitti orrendi [sic] di questa natura debbono dimostrarsi ben altrimenti che con un "si dice" e simili pettegolezzi raccolti da un'autorità così sospetta come l'Infessura" [9]. Pastor fu però (giustamente) ripreso da Francesco Nitti, che affermò che le voci riportate dall'Infessura potrebbero anche essere false, "ma qui, per la natura delle accuse, la prova della falsità è altrettanto difficile quanto quella della verità.
Il tentativo fatto dal Pastor in questo senso è mal riuscito.
Il più che si può affermare è: che l'accusa di libidine contro natura non è provata" [10].


Note

[1] Stefano Infessura, Diario della città di Roma (1303-1494), Ist. St. italiano, Tip. Forzani, Roma 1890, pp. 155-156.

[2] Mario Masini e Giuseppe Portigliotti, I fàmuli di Sisto IV, "Archivio di antropologia criminale", XXXVII 1916, pp. 462-481.

[3] L'accusa d'essere, oltre che sodomita, anche incestuoso, viene dalla polemica protestante, che però afferma di basarsi su non meglio specificate denunce del moralista poeta Giovan Battista Mantovano (san Giovan Battista Spagnoli, 1448 - 1516), carmelitano che combatteva per una riforma dei costumi della Chiesa.
Così il protestante John Bale (1495-1563), negli Acta romanorum pontificum, s.e., s.l. 1560 affermava che (VI 158, pp. 440-449): "Papa Sisto IV volle presso di sé per
educarli (cosa arcana!) i nipoti Pietro e Girolamo Riario, che poi fece
cardinali (p. 440). (...) Battista Mantovano accusò Pietro Riario di essere stato "come femmina nel coito" e di avere praticato l'"amore sozzo" (pp. 441-442). Ma poco oltre è costretto ad ammettere che Girolamo Riario fu sì dedito come il fratello a "tutti i piaceri", ma con
l'eccezione della sodomia (p. 442).
La voce è stata ripresa da Mario Masini e Giuseppe Portigliotti, Attraverso il Rinascimento. Pier Luigi
Farnese, "Archivio di antropologia criminale", vol. XXXVIII 1917, p. 184: "Come già il cardinale Pietro Riario, amava circondarsi di exoleti adolescentes, più che di donne".
Non avendo trovato nulla di più concludente su tale voce, sono orientato a ritenerla infondata, fino a prova contraria.

[4] Edito in: Mario Masini e Giuseppe Portigliotti, Op. cit., p. 473.

[5] Dal manoscritto latino classe XII n. 210 = 4689, del sec. XVI, Biblioteca Nazionale marciana di Venezia, carte 80v.
Per quanto mi è dato sapere, è inedito.
Cinedus è propriamente l'effeminato che subisce la sodomia.
Tiresia, nome dell'indovino della mitologia greca che mutò sesso due volte, è ovviamente nome fittizio.

[6] La voce è antica: "Che avrebbe mai detto la santa donna [la monaca Michtilde] se avesse udito dell'empietà di Sisto IV, che permise la sodomia al cardinale di Santa Lucia nei tre mesi più caldi?".
(Giovanni Lydus, Analecta in librum Nicolai de Clemangiis, De corrupto Ecclesiae statu. In calce a: Nicolas de Clemanges, Opera omnia, Elzevirius & Laurentius, Lugduni Batavorum 1593, p. 9).

[7] Anonimo, A True history of the lives of the Popes of Rome..., H.M. and R.T., London 1679, p. 12.

[8]-Pierre Bayle, Dictionnaire historique et critique, Leers, Rotterdam 1702, sub voce: "Sixte IV", nota "c".
La voce "Sixte IV", dal vol. IV dell'edizione Amsterdam, 1704, è disponibile online: fare clic sul numero della pagina per visualizzarla: 220, 221, 222, 223, 224, 225, 226.
Sul tema si veda anche: Pierre Bayle, Lettres [1704] in: Lettres, Oeuvres diverses, Compagnie des libraires, L'Aja 1737, vol. 4, lettera n. 303.

[9] Ludwig Pastor, Storia dei papi [1889], vol. II, Desclée, Roma 1911, pp. 608-611. Citazione da p. 609.

[10] Francesco Nitti, Recensione a: Pastor L., Geschichte der Päpste seit dem Ausgang des Mittelalters, Zweiter Band, Freiburg im Breisgau 1889, "Archivio della R. Società romana di storia patria", XV 1892, pp. 522-537, alle pp. 534-536. Citazione da p. 536.


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SCIPIONE Caffarelli BORGHESE (1576-1633)

di: Giovanni Dall'Orto
Cardinale e mecenate [1].
Figlio di Ortensia Caffarelli, sorella di Camillo Borghese (papa col nome di Paolo V dal 1605 al 1621) all'ascesa al pontificato dello zio fu da lui adottato (assumendone il cognome) e creato cardinale, a 29 anni.
Il favore nepotistico dello zio gli permise di accumulare un'immensa fortuna, che utilizzò per acquistare e unificare i vasti appezzamenti con cui costituì il parco e la villa Borghese

Nella vita privata Scipione è descritto, da alcune testimonianze dell'epoca, come inclinato verso il proprio sesso al punto da creare veri e propri scandali.

Su uno siamo particolarmente ben informati per le ripercussioni che ebbe.
La vicenda risale al 1605 quando Stefano, appena creato cardinale, volle chiamare con sé a Roma Stefano Pignat(t)elli (1578-1623), suo intimo "amico".
Lo scandalo che ne risultò fu tale che persino uno scrittore ufficiale cattolico, Gaetano Moroni, riuscì solo a sfumare le tinte nel raccontare l'avvenimento, ma non ad occultarlo.
Secondo le parole di Moroni, Scipione,

"ricordevole dell'affetto di Stefano, l'invitò a Roma e l'ammise nella propria corte, dove si acquistò tale ascendente sul cardinale, che questi in tutto si regolò co' suoi consigli.
Tanto bastò perché l'invidia e gelosia de' cortigiani lanciasse contro di lui maligne e velenose calunnie, e provocarono cardinali e ambasciatori per rappresentare al Papa essere Stefano pieno di detestabili vizi, e per l'onore del nipote doversi onninamente [completamente, NdR] allontanare. Paolo V cadde nell'inganno e lo fece sloggiare dalla casa del cardinal Scipione.
Questi però conoscendone l'innocenza, raddoppiò il suo amore per l'oppresso, anzi soggiacque a grave malinconia per la sua disgrazia, e si produsse lunga e pericolosa malattia" [2].

Solo quando Pignattelli accorse a Roma per "curare" l'amico Scipione, il cardinale riuscì a guarire.
Il papa-zio capì allora saggiamente che per controllare Pignattelli gli conveniva, anziché combatterlo, cooptarlo: gli fece perciò indossare l'abito sacerdotale, dando così inizio a una carriera che nel 1621 giunse addirittura al cardinalato.

Proprio in occasione di tale nomina fu scritta una feroce pasquinata, che svela di che tipo e genere fossero le dicerie a cui allude Moroni.
Nella pasquinata si afferma che il regno di Spagna vuole cardinali i propri uomini, e lo stesso desidera il regno di Francia, e insomma ognuno vuole che cardinali i propri partigiani. Quindi cosa c'è di strano se anche il "cazzo del cardinal Borghese" abbia voluto cardinale il "suo" uomo?


Virtù cardinali
Mira, Piegaio, il tuo gran Pignatello,
di pivial Cardinalitio ornato,
quanto ogni benemerito prelato,
che portasse giamai mitra, ò cappello .

E se ben [benché] molti son, che n'han martello, [dispiacere]
non è da tutti il suo valor notato,
e quanto dottamente s'è portato, [comportato]
ogni volta ch'andò nuntio [ambasciatore del papa] in bordello.

Mà che Spagna per un, Francia procura
per l'altro, e in somma ogni Signor cortese,
di qualche suo partial [protetto] si prende cura.

Dunque perché a stupore il Mondo prese,
se nel collegio volse [volle] una Creatura,
il cazzo ancor del Cardinal Borghese? [3]


Come si vede, l'accusa secondo cui fra i due esisteva una relazione omosessuale era all'epoca esplicita.

Note
[1] Sulla vicenda biografica si veda: V. Castronovo, voce: "Borghese Caffarelli, Scipione", Dizionario biografico degli italiani, vol. 12, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1970, pp. 620-624.

[2] Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. LIII, Tipografia emiliana, Venezia 1851, voce: "Pignattelli Stefano, cardinale", pp. 50-51.

[3] La pasquinata è stata edita in: Giovanni Dall'Orto, Il trionfo di Sodoma. Poesie erotiche inedite dei secoli XVI-XVII, "La fenice di Babilonia", n. 2, 1997, pp. 37-69, alle pp. 61-62.




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IL SANTO DEI FANCIULLI
Ritratto di don Bosco (1815-1888) come gay

di: Giovanni Dall'Orto
Giovanni Bosco nacque in provincia di Asti da una poverissima famiglia contadina, e solo grazie alla "protezione" di alcuni sacerdoti riuscì ad entrare in seminario e ad essere ordinato sacerdote (nel 1841).
Fin dagli inizi l'attività religiosa di don Bosco si rivolse agli adolescenti e ai ragazzi di estrazione contadina, privi di formazione lavorativa e di casa (maschi), attirati a centinaia a Torino dalla Rivoluzione industriale.


Quello dell'omosessualità di san Giovanni Bosco è uno dei segreti che volgarmente vengono detti "di Pulcinella". Se ne parla ormai da anni, tanto che già nel 1983, al congresso internazionale di studi omosessuali Among men, among women, erano ben due gli studi dedicati a don Bosco e al suo ideale di "amore pedagogico" per l'educazione dei fanciulli [1].

Eppure la Chiesa cattolica, nella sua bigotteria, s'illude di riuscire a impedire che se ne parli. Così quando di recente don Sergio Quinzio ne ha accennato, con serenità, in un libro dedicato ai "santi sociali" piemontesi [2], àpriti cielo.




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Si ego non scandalizor, quia vos scandalizamini?

Eppure anni prima Guido Ceronetti aveva già discusso Urbi et Orbi dell'omosessualità di Bosco, sul quotidiano torinese "La Stampa" [3].
Il bello è che nessuno di coloro che ne hanno scritto s'è mai sognato di mettere in dubbio l'effettiva stretta osservanza del voto di castità, da parte del santo [4]: la discussione si è sempre svolta attorno alle sue tendenze, non alle sue pratiche sessuali.

Ma tant'è: la Chiesa cattolica va sbandierando ai quattro venti di non essere nemica degli omosessuali, bensì "solo" degli atti contronatura, ma se poi si punta il dito sul caso di un omosessuale che effettivamente riuscì ad osservare l'arduo (e casto) modello che essa va proponendo ai gay, si dà a vere scene isteriche.

Di fronte alla Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali (10 ottobre 1986) del cardinale Ratzinger, qualcuno ha commentato che la gerarchia cattolica vuole che i gay siano solo o santi, o dannati. A giudicare dalla "questione don Bosco" sembrerebbe piuttosto che gli omosessuali non li voglia proprio, né santi, né dannati.
Non stupisce insomma il malcelato imbarazzo di fronte a chi butta all'aria gli altarini tenuti finora accuratamente (e ipocritamente) nascosti.

Perché all'interno delle gerarchie cattoliche questi altarini sono ben conosciuti, figuriamoci: l'istituzione ecclesiastica ha avuto due millenni di tempo per imparare a mettere a nudo le altrui, diciamo così, "difficoltà dell'anima"... Pensiamo solo ai gesuiti, pensiamo a quali fini (e pericolosi) conoscitori dell'animo umano siano questi nostri ammirevoli nemici.
Manipolando a proprio vantaggio il precetto evangelico di "non esser pietra di scandalo" (1Pietro, 2:8), la Chiesa ha sempre coperto con un fitto velo di omertà le magagne esistenti al proprio interno. Per secoli è riuscita persino a sottrarre alla giurisdizione dei comuni mortali i sacerdoti delinquenti, giudicandoli per conto suo (molto più mitemente, va da sé) grazie al cosiddetto "Foro ecclesiastico".

E in barba a tutte le condanne all'omosessualità, le inchieste sulla sessualità dei sacerdoti continuano a rivelare percentuali "scandalosamente" alte di gay nelle fila della più antiomosessuale organizzazione del mondo.

La Chiesa naturalmente sa di avere una così grossa pattuglia di "diversi" nei suoi ranghi, e considera la cosa un po' come un tallone d'Achille. L'esplosione dell'Aids fra i sacerdoti cattolici statunitensi sta del resto rendendo sempre meno "gestibile" e sempre più imbarazzante la questione: ormai i giornali ne discutono apertamente.

La paura che questa curiosità riveli troppi "panni sporchi" è probabilmente la ragione per cui i gay costituiscono per la gerarchia cattolica un'ossessione così fanatica.
Quale torturatore dei regimi fascisti sudamericani, per esempio, si è mai visto condannare con parole dure e inequivocabiliquanto quelle riservate agli omosessuali?




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Et tu ex illis es, nam et loquela tua manifestum te facit

Sicuramente per noi sarebbe importante capire cosa nell'istituzione ecclesiastica attiri in modo così potente gli omosessuali.

Da un lato esiste indubbiamente un aspetto di "convenienza": per secoli il religioso è stato una delle poche persone a cui l'opinione pubblica concedeva il diritto di vivere celibe.

Per secoli tutti gli omosessuali meno disposti al matrimonio e ai dolori della "doppia vita" eterosessuale, hanno trovato nella Chiesa un rifugio, uno schermo contro il pettegolezzo e l'ostilità che colpivano senza pietà chi fosse celibe "senza giustificazione".

In un certo senso la Chiesa fu anzi "vittima" della sua stessa propaganda antiomosessuale, finendo con l'incoraggiare coloro che perseguitava a rifugiarsi nel suo seno per avere un po' di requie.
Ad esempio san Bernardino da Siena dichiarò senza peli sulla lingua in una predica del 28 aprile 1424:


"Guai a chi non toglie [prende] moglie avendo el tempo e cagione legittima! Chè non pigliandola doventano soddomiti.
E abbi questa regola generale. Come tu vedi uno in età compiuta e sano della persona, che non pigli moglie, abbi di lui cattiva istificanza, se già non fusse da stare per ispirito in castità" [5].

Vale a dire: sospetta di lui come sodomita, salvo che nel caso in cui abbia scelto di vivere celibe per motivi religiosi...

Esiste però anche una seconda motivazione, altrettanto forte del desiderio di sfuggire al pregiudizio sociale, e che forse oggi, coll'estendersi dell'accettabilità del single, è prevalente.
Si tratta della capacità, propria dell'istituzione ecclesiastica, di offrire un surrogato di famiglia a chi non ha diritto ad averne una "sua", in quanto "diverso".
È la proposta di quella convivialità fra persone dello stesso sesso, la costruzione di quella "fraternità" (o "sorellanza") fra uomini o fra donne, che solo di recente, dopo secoli di vani sforzi, le comunità omosessuali sono riuscite a creare "in proprio".

La segregazione sessuale all'interno della Chiesa offre insomma ai gay l'occasione irripetibile di vivere il loro affetto per persone dello stesso sesso, in un contesto che non solo non disapprova tale sentimento, ma anzi lo incoraggia e loda. Basta solo che questo amore non "trascenda" mai al livello sessuale, e si mantenga nei limiti dell'"amore cristiano": tutto qui.

"Guai ai soli", dice la Bibbia, "perché se inciamperanno chi li aiuterà a rialzarsi?" [6]. Per molti omosessuali la risposta alla domanda è sempre stata: "la Chiesa cattolica".




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Domine, non sum dignus

Don Bosco è indubbiamente uno di questi casi di omosessuali che nella Chiesa hanno trovato una famiglia e una "missione". Anzi, di più: è un (probabile) pedofilo che riuscì a sublimare la sua attrazione per i bambini in modo non solo non riprovato, ma addirittura socialmente utile.

Lo intuiamo da uno dei pareri più sorprendenti mai espressi su di lui: quello di padre Girolamo Moretti, il frate iniziatore della grafologia in Italia, che analizzò la scrittura del santo, presentatagli in modo anonimo. Questo fu il suo soprendente responso:


"Il carattere del soggetto tende ad essere dominato da una insincerità così bene architettata da rovinare un'intera generazione ed essere così uno di quegli individui che sarebbe meglio non avessero mai aperto gli occhi alla luce.
Si deve aggiungere che il soggetto ha molta facilità all'intenerimento sessuale, una spinta all'affettività di languore per cui, col complesso delle qualità descritte, metterebbe in azione ogni sforzo per colpire la vulnerabilità delle anime a piegarle ai suoi intendimenti morbosi" [7].


Il parere di Moretti mozza il fiato, eppure riceve la sorprendente conferma da san Giuseppe Cafasso, un altro dei "santi sociali" piemontesi, che di don Bosco fu il confessore:


"Se non fosse che lavora per la gloria di Dio", lasciò scritto Cafasso, "direi che è un uomo pericoloso, più per quel che non lascia trasparire, che per quel che ci dà a conoscere di sé. Don Bosco, insomma, è un enigma" [8].

Enigma, cultore della "doppia vita", facile preda dell'"intenerimento sessuale"... Ce n'è abbastanza per far drizzare le orecchie anche ai più ingenui.

Il fatto è che tutto lascia pensare don Bosco non fosse solo omosessuale. Se fosse stato solo quello, la vita per lui sarebbe stata più facile. Una certa indulgenza verso le "tentazioni", figlie del demonio e non responsabilità dell'individuo che le subisce (senza cedervi, ovviamente) era normale da parte della Chiesa e della società laica del tempo, che non aveva ancora il concetto di "tendenza omosessuale".
No: don Bosco non fu solo un omosessuale. tutto lascia pensare che fosse anche un pedofilo. E su questo punto ottenere l'indulgenza da parte della società, ieri come oggi, è sempre stato un altro paio di maniche.

Per mettere a fuoco la questione mi servirò delle parole di Ceronetti, ammirevoli per la loro sapienza nel "dire" in modo esplicito ma discreto.


"C'è un documento iconografico notevole di questa 'affettività di languore': la confessione davanti al Fotografo, in bella posa, del chierichetto Paolo Albera, tra altri preti e ragazzi. Don Bosco aveva voluto che gli poggiasse la fronte sull'orecchio.
Questo intenerimento non andava che ai "giovanetti"; aveva un vero orrore del contatto femminile. Vedendosi una volta insaponare la faccia dalla moglie del barbiere, scappò via insaponato dalla bottega (Noli me tangere in versione torinese).
Nessun santo ha lasciato, come ultime parole scritte di suo pugno, un pensiero così strano come don Bosco: "I giovanetti sono la delizia di Gesù e Maria". Soltanto loro"
[9].


E poco oltre:


"E se il suo più profondo segreto fosse la consapevolezza di essere quel che dice il padre Moretti, 'uno di quegli individui che sarebbe meglio non avessero mai aperto gli occhi alla luce'?" [10].




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Spiritus carnis me colaphissat

Se questo è il quadro "segreto" dei desideri "inconfessabili" di don Bosco, è facile capire come per lui l'ingresso nell'istituzione ecclesiastica abbia voluto dire una possibilità di dar sfogo, e in modo onesto, al suo desiderio di star vicino ai "fanciulli", e al tempo stesso una garanzia di ferrea disciplina per evitare di cedere ai propri impulsi.

Ceronetti nel suo saggio suggerisce esplicitamente una dinamica di questo genere:


"In tutte le sue firme è costante il Sac. che le precede.
Era l'uso, ma (...) in realtà significa anche: sono Io ma all'interno di un sacro Ordine, agisco in nome di, vengo in nome di. È passaporto, corazza e alibi.
(...)

Il Sac. è la copertura di una forza misteriosa presentita, per mezzo di un potere rassicurante e legittimante: questo Bosco "che avrebbe fatto meglio a non nascere", è sacerdos, fulmine di Chiesa, e la Chiesa lo conforta: i diavoli non praevalebunt" ["non prevarranno", N.d.R.] [11].


E, conclude Ceronetti, se non fosse stato prete


"come sarebbe ricordato oggi (...) Giovanni Bosco? (...)
Qualcuno avrebbe finito per farlo fuori con una pietra o una roncola. Sarebbe stato un santo senza statua in San Pietro. Certo mi apparirebbe più amabile" [12].

L'abito religioso è insomma per Bosco al tempo stesso "chiave" meravigliosa che gli apre la porta all'intimità coi "fanciulli" senza destare sospetti, e corazza che lo difende da se stesso e dai propri desideri.

Repressa e compressa la sessualità diviene così per Bosco un'ossessione, un sogno segreto, un fantasma spaventoso, un'idea fissa che tende a travasarsi sulle preoccupazioni che egli instilla nei suoi collaboratori e discepoli. L'intero ideale educativo di don Bosco è impregnato del suo amore per i bambini, del suo bisogno di stare con loro, di amarli.

L'educatore deve amare il ragazzino, fargli sentire che è amato ("in Cristo", ovviamente), e attraverso questo "amore pedagogico" farsi strada verso la sua anima, che deve essere guidata, sorvegliata e indirizzata ai valori cristiani.

L'educatore deve essere capace di scendere al livello dei bambini, farsi bambino coi bambini, parlare loro con il linguaggio che essi capiscono.
(Le fin troppo note agiografie di Bosco lo descrivono agli inizi della sua carriera come funambolo e saltimbanco, mentre per strada cerca di attirare l'attenzione dei ragazzi per poi proporre loro il messaggio cristiano).




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Sinite parvulos venire ad me

Queste furono teorie a modo loro "rivoluzionarie" per l'epoca, e suscitarono scandalo negli ambienti più retrivi della Chiesa cattolica, che mal vedevano tanta familiarità tra sacerdoti e laici, fra adulti e ragazzacci, fra borghesi e figli di povera gente o figli di nessuno.

Furono teorie che "diedero un tono" peculiare a un ideale educativo tutto sommato tradizionale come quello di Bosco (il quale non capì mai veramente, ed anzi ne diffidò profondamente, i nuovi tempi che venivano, a cominciare dall'Unità d'Italia che lo vide, lui piemontese, tiepido, se non decisamente ostile).

Furono anche teorie che diedero modo al suo éros paidikòs di esprimersi, di farsi strada verso la luce del sole, di farsi evidente, esplicito, sicuro di sé.
E più cresceva l'espressione del suo amore per i ragazzi, tanto più dovevano crescere le difese mentali approntate contro una sua "degenerazione", cioè una sua manifestazione fisica, sessuale.



Sotto questo aspetto don Bosco sembra uscito pari pari da un manuale freudiano. La sua esistenza assomiglia a un'esemplificazione quasi pedìssequa (e di una evidenza che negli attuali e maliziosi tempi post-freudiani sarebbe del tutto impensabile) del concetto di "sublimazione dell'impulso sessuale" in un'attività creativa.

L'intera esistenza di Bosco è dedicato all'assistenza ai "fanciulli", specie quelli abbandonati, i "ragazzi di strada", i "ragazzi di vita" del secolo scorso.
Ma il prezzo pagato per questa impresa monumentale fu la costruzione, nella vita propria e (quel che è peggio) altrui, di immensi argini di contenimento e repressione delle pulsioni sessuali.
Non solo: fu anche la sistematica svalutazione del corpo e della corporeità, in dispregio alla disponibilità così nuova di Bosco ad essere "corporeo" coi ragazzi, nel mischiarsi ai loro giochi "da cortile".
Osserva ancora Quinzio nel suo libro:


"Più e prima del desiderio di condividere le giornate dei ragazzi più poveri c'era l'esigenza teologico-morale di seguirli momento per momento, di controllarli per evitare che cadessero, fuori di metafora, nella masturbazione o in rapporti omosessuali. (...)
L'idea di don Bosco, come già di Alfonso [de' Liguori], è che tutti, o forse quasi tutti, i dannati si dannino a causa, più o meno direttamente, della "disonestà", cioè della colpa contro la purezza. (...)
Una valutazione in positivo della sessualità, per quanto ci risulta, manca completamente in don Bosco" [13].

La virtù ideale di Bosco è la castità, al punto che gli sarebbe piaciuto che caratterizzasse specificamente i suoi salesiani, così come la povertà "caratterizzava" i francescani e l'obbedienza i gesuiti.
La sua, secondo Quinzio, è una


"castità che sembra tendere decisamente all'asessualità, e a una sessualità che, paradossalmente, finisce col coincidere con un'esasperata attenzione, per sfuggirlo, a tutto ciò che appartiene al sesso. (...)
Mi turba l'idea che, perseguendo in modo tanto esclusivo la salvezza celeste dell'anima, propria o altrui, la vita sulla terra viene svalutata: finisce per essere solo un periodo di prova, finisce per essere solo un pezzo di prova al tornio, da buttare via come inutile una volta che la prova è stata eseguita" [14].





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Lilium convallium

Si può basare un programma di "rinascita cristiana" basandosi sulla rinuncia alla sessualità? Per la società dell'epoca, come per quella di oggi, la risposta era ed è evidentemente no.

Eppure l'ossessione di Bosco per la "purezza" mostra che egli in parte ci credette, come suggeriscono anche i suoi famosi "sogni", allucinazioni oniriche in cui le più sadiche catastrofi colpiscono i "giovinetti" che si lasciano traviare (sempre su questioni di "purezza", ovviamente) da "cattive compagnie".

Lo stesso modo in cui "costruì" la santità di Domenico Savio dopo la morte (a quindici anni) del ragazzo, mostra fino a che punto lo slogan "la morte, ma non peccati" (di tipo sessuale, ovviamente) fosse importante per lui.

Domenico si è meritato un posto nel calendario cattolico lottando contro i suoi primi istinti sessuali. Nessuno in quell'epoca si è meritato la canonizzazione lottando contro gli industriali che per pochi centesimi facevano lavorare quattordici ore al giorno bambini di molti anni più giovani di Domenico Savio.
Evidentemente per Santa Madre Chiesa 14 secondi di orgasmo sono più nocivi di 14 ore di lavoro pesante. Strani parametri di giudizio...

In ogni caso se don Bosco credette tanto a questo "itinerario verso la santità", una ragione a mio parere c'è. Ed è che quello fu l'itinerario che guadagnò a lui la santità. Se egli non avesse represso e sublimato così bene i suoi desideri, sarebbe forse stato solo uno di quei "froci di paese" di cui è piena la cronaca nera dei giornali di provincia. Chissà.
Ciò che aveva funzionato per lui (sembra di sentire il suo ragionamento) perché non avrebbe dovuto funzionare per gli altri?

La risposta è: semplicemente perché gli altri non erano lui. Come ha compreso la stessa Chiesa cattolica, che oggi guarda con un certo sospetto agli ideali educativi di don Bosco. Puzzano di pederastia anche per lei, ormai.

Specie in un'epoca in cui sul prete che "tocca i ragazzini" in Oratorio non si ride più dandosi di gòmito: oggi si denuncia, perché la pedofilia, a differenza di qualche anno fa, è presa molto sul serio, ormai.
Forse anche troppo, al livello di caccia alle streghe (come mostra la moltiplicazione di casi di clamorosi errori giudiziari in materia), grazie anche alle campagne mediatiche ossessive condotte da cattolici alla don Di Noto.

continua...
[Modificato da Claudio Cava 08/05/2009 04:44]





“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer