00 15/01/2011 22:21

Tracciare in poche righe il ritratto dell'unico vero "padre della patria" (per usare la retorica risorgimentale) non è impresa facile.
Cosmopolita, ricchissimo, privo di scrupoli, astuto, intelligente, arrogante, accentratore, questo (e molto altro, ovviamente) è Camillo Benso conte di Cavour.
Quel che è certo è che, senza di lui, il Regno d'Italia non sarebbe nato.
Qui ci proponiamo di tratteggiare la figura di Cavour a partire dal suo credo politico-morale perché la morale, la pubblica morale, è un tema che sta molto a cuore al Cavour politico.
In un trattatello del 1846 su Le ferrovie in Italia il conte si avventura in un'inedita equazione: quanto più ricca e potente è la nazione di appartenenza, tanto più il popolo è intelligente e morale.
Proprio così: «Le classi numerose che occupano le posizioni più umili nella sfera sociale, per acquisire la coscienza della propria dignità, hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale. Non esitiamo a dire che questa coscienza rappresenta per i popoli come per gli individui un aspetto essenziale della moralità». Il conte si fa assertore del nazionalismo e di uno Stato «forte e potente» (e cioè colonizzatore, proprio come l'Inghilterra e la Francia, potenze liberali, che tanto ammira) affinché il popolo si elevi «nella scala dell'intelligenza e dello sviluppo morale fino al livello delle nazioni più civilizzate».
Le «nazioni più civilizzate», scrive Cavour.
Quali sarebbero?
La risposta è facile: quelle non cattoliche.
Tutta la politica estera ed interna del conte di Cavour ruota intorno a questo obiettivo: "civilizzare" il regno sardo prima, quello italiano poi. Farla finita con la Chiesa cattolica, le sue istituzioni, la sua bigotteria, il suo oscurantismo. Liberare la nazione dalla cappa della tradizione cattolica, capillarmente diffusa in ogni strato della società.
Nel 1850 attacca le festività religiose, a suo dire troppo numerose. Ancora una volta la motivazione è di tipo morale: «io penso - afferma alla Camera - che un soverchio numero di feste torni fuor misura nocevole alle classi operanti perché siffatte feste straordinarie non si dedicano per lo più al riposo, ma si spendono in quella vece in sollazzi e mali altri usi».
Come tutti gli "illuminati", il moralista Cavour è personalmente molto al di sopra di qualsiasi vincolo o regola morale. Uomo d'affari dalle innumerevoli attività, è il principale azionista della Società anonima dei Mulini anglo-americani di Collegno che, nel suo ramo, è la maggiore d'Italia. Il 1853 è anno di carestia, il grano introvabile e il suo prezzo sale alle stelle.
I vari governi italiani come ovvio, le esportazioni di grano mentre il governo rimane fedele al proprio credo liberista col risultato che i produttori di farina (Cavour in testa) fanno affari d'oro vendendo grano all'estero.
Ecco cosa scrive il romanziere, deputato e Angelo Brofferio su la Voce del 24 novembre: «il conte Cavour è magazziniere di grano e di farina, contro il precetto della moralità e della legge. Sotto il governo del conte di Cavour ingrassano illecitamente i monopolisti, i magazzinieri, i borsaiuoli, i telegrafisti, e gli speculatori sulla pubblica sostanza, mentre geme, soffre, e piange l'universalità dei cittadini sotto il peso delle tasse e delle imposte».
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Discendiamo all'inferno fin che siamo vivi (cioè riflettendo su questa terribile realtà) - diceva Sant'Agostino - per non precipitarvi dopo la morte".
nell'aldilà