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Crisi, Richard Ginori in cocci

Ultimo Aggiornamento: 21/07/2012 01:39
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La storica azienda di porcellana chiude

di Maurizio Abbati

Il rischio del fallimento potrebbe materializzarsi già a settembre, se non si riuscirà ad approvare un concordato preventivo che potrebbe concedere ulteriore respiro.

Il rischio del fallimento potrebbe materializzarsi già a settembre, se non si riuscirà ad approvare un concordato preventivo che potrebbe concedere ulteriore respiro.

Un marchio storico della porcellana artistica made in Italy va in frantumi. La Richard Ginori 1735 di Sesto Fiorentino ha infatti ormai le ore contate: lo stabilimento alle porte di Firenze chiuderà il 31 luglio, tra meno di due settimane, mentre per i 337 lavoratori partirà la richiesta di cassa integrazione straordinaria.
OPPRESSA DAI DEBITI DA SANARE. Una fine preannunciata, quella del gruppo fondato a inizio '700 dal marchese Carlo Ginori come Manifattura di Doccia, cui seguì la fusione con il gruppo milanese di Augusto Richard.
Ormai l'azienda è pressata dai creditori e soffocata da una situazione debitoria che ormai ha raggiunto circa 70 milioni di euro nonostante i tentativi fatti per differenziare la produzione, così come l’approdo nelle catene di grande distribuzione, che pure aveva contribuito a risollevare il fatturato.
ALL'ORIZZONTE L'OMBRA DEL FALLIMENTO. Il rischio del fallimento potrebbe materializzarsi già a settembre, se non si riuscirà ad approvare un concordato preventivo che potrebbe concedere ulteriore respiro. La decisione è arrivata implacabile durante un incontro davanti all'assessore alle attività produttive della Regione Toscana, Gianfranco Simoncini, e ai sindacati attraverso i rappresentanti del collegio dei liquidatori Marco Milanesio e Nicola Lattanzi.
LE OFFERTE E LE TRATTATIVE IN CORSO. Unico segno di speranza da fine luglio resterà quel filo di fumo che continuerà a levarsi dalla ciminiera dello stabilimento, dove rimarranno accesi i forni, nel caso dovesse andare a buon fine una delle trattative in corso con quanti hanno manifestato la propria disponibilità a rilevare l’azienda, cioè Sambonet, Lenox e una cordata di imprenditori del Nord-Est.

I sindacati: mantenere i livelli occupazionali

Le porcellane Richard Ginori.

Le porcellane Richard Ginori.

Solo un nuovo passaggio di mano può insomma salvare l’azienda e gli oltre 300 posti di lavoro, dopo quelli inanellati dal 1970 in poi: dalla Finanziaria Sviluppo di Michele Sindona alla Liquigas di Raffaele Ursini, che la trasferì alla Sai, rilevata poco dopo da Salvatore Ligresti, fino alla Sanitec Corporation, alla Starfin spa e alla messa in liquidazione.
ESSERE AL CORRENTE DEI NUOVI PIANI. Il resto è attualità, quella di chi aveva continuato a sperare, come i lavoratori e i sindacati, che ora chiedono il mantenimento dei livelli occupazionali in caso di una riapertura e di poter essere messi al corrente di qualsiasi piano industriale fosse presentato. «Se la Ginori non trova un investitore, non ha senso parlare di piano di ristrutturazione», aveva già avvertito Bernardo Marasco della Cgil. «Speravamo ci convocassero per dirci il nome del compratore, invece niente. Al momento purtroppo non ci sono scappatoie dalla chiusura, pur provvisoria».
LA CARENZA DI MATERIE PRIME IN AZIENDA. Anche perché all’interno dell’azienda è ormai diventato difficile persino lavorare a causa della carenza di materie prime. Secondo Lucia Sbolci delle Rsu e sindacalista Cisl, serve subito un acquirente «che copra almeno i debiti dei creditori privilegiati, che si aggirano attorno ai 38 milioni, e quindi consenta di firmare il concordato. Purtroppo agosto non è il momento migliore per una trattativa. E con i lavoratori a casa ci mancherà anche un supporto pratico nell'organizzare delle manifestazioni». Niente più cene di solidarietà e raccolte di firme, insomma, come l’ultima organizzata ai primi di luglio in piazza a Sesto Fiorentino. Quella è una fase già passata, che ancora si spera a qualcosa possa essere servita.
POSSIBILE RICONVERSIONE DEGLI IMMOBILI. Intanto c’è già anche chi parla di un futuro diverso per l’area produttiva, magari da riconvertire in più redditizi immobili da destinare ad abitazioni. «La Giunta comunale di Sesto Fiorentino ha assicurato che non verranno consentite speculazioni sul territorio finché non sarà garantita la prosecuzione dell’attività», precisa però Lucia Sbolci.
«Ma altrove è già accaduto qualcosa di simile, per questo dovremo stare con gli occhi aperti». Altrimenti si rischia di andare tutti a casa. Tre secoli di attività che rischiano di rimanere affidati solo al Museo della manifattura, voluto dallo stesso fondatore.

Lunedì, 16 Luglio 2012




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