Ululeranno le iene nei loro palazzi,
gli sciacalli nei loro edifici lussuosi.
La sua ora si avvicina,
i suoi giorni non saranno prolungati.
Diamo un’occhiata al testo ebraico:
וְעָנָה אִיִּים בְּאַלְמְנוֹתָיו, וְתַנִּים בְּהֵיכְלֵי עֹנֶג; וְקָרוֹב לָבוֹא עִתָּהּ, וְיָמֶיהָ לֹא יִמָּשֵׁכוּ.
I primi animali a comparire nel testo sono gli אִיִּים, un sostantivo usato solo al plurale per «bestie selvatiche». «Iene», quindi, può essere accettabile. I secondi, invece, sono i תַנִּים, che nella traduzione cattolica diventano «sciacalli». Ma תַנִּים (tanniym) significa «drago» o «mostro marino» e non sciacallo. Deriva dalla radice תַּן (tan) che, appunto, nella mitologia ugaritica designa draghi e altre creature mostruose marine.
Tra l’altro, non c’era nulla di male se i traduttori cattolici avessero lasciato «drago» invece del ridicolo «sciacalli» perché si trattava di una visione avuta da Isaia. Ma lasciare un drago nell’Antico Testamento, forse, avrebbe colorato di favola un racconto che si vuole autorevole anche dal punto di vista storico. E allora: via. Arriva la purga.
Ma non è finita qui: se diamo una letta a Ezechiele (29,3) capiamo ancora meglio questi miracoli nella traduzione:
Parla dunque dicendo: Così dice il Signore Dio:
Eccomi contro di te, faraone re d'Egitto;
grande coccodrillo, sdraiato in mezzo al fiume.
Che nell’originale ebraico recita:
דַּבֵּר וְאָמַרְתָּ כֹּה-אָמַר אֲדֹנָי יְהוִה, הִנְנִי עָלֶיךָ פַּרְעֹה מֶלֶךְ-מִצְרַיִם, הַתַּנִּים הַגָּדוֹל, הָרֹבֵץ בְּתוֹךְ יְאֹרָיו: אֲשֶׁר אָמַר לִי יְאֹרִי, וַאֲנִי עֲשִׂיתִנִי.
Da non credere: lo stesso identico sostantivo תַּנִּים, che in Isaia è «sciacalli», in Ezechiele diventa miracolosamente «grande coccodrillo». Avessero lasciato «drago» in entrambe le occasioni
sarebbe stato certamente più dignitoso. E filologicamente corretto. (continua...)