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Vilipendio

Ultimo Aggiornamento: 16/11/2007 20:06
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10/09/2006 08:40
 
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Ovvero, sapendo con chi abbiamo a che fare
(e in questo caso non intendiamo di certo la Chiesa cattolica):

METTIAMO LE MANI AVANTI.



Il vilipendio fu introdotto nell’ordinamento giudiziario italiano nel 1889 (Codice Penale c.d. «Zanardelli»). Fino ad allora il reato previsto in casi simili era quello di blasfemìa. Questo Codice tutelava l’espressione della libertà religiosa, in forma sia individuale che collettiva, senza discriminazioni tra i culti. L’accusa sussisteva solo laddove vi era volontà di offendere la fede professata dalla persona offesa, e questa presentava querela.

Il Codice Penale del 1930 (c.d. «Codice Rocco»), invece, ripristinò il trattamento preferenziale per la religione cattolica, discriminando gli altri culti. Inoltre, con i suoi articoli non intendeva solo proteggere la manifestazione esteriore della fede, ma anche la fede religiosa per sé medesima, cioè come istituzione: per far scattare il reato bastava il dolo generico, non più l’intenzione di offendere.

Benché redatto nell’era fascista, questo codice è ancora in vigore.

Una sentenza della Corte Costituzionale del 1997 (numero 329) dichiarò l’incostituzionalità dell’articolo 404, in quanto stabiliva pene più severe per chi diffamava la religione cattolica rispetto agli altri culti: la Corte decise che tali pene andavano diminuite alla stessa stregua dell’articolo 406.

Nel 2000, con la sentenza numero 508, la Corte costituzionale ha depennato anche l’articolo 402, in quanto riportava ancora la formula della «religione di Stato», principio non più in essere in seguito alle modifiche concordatarie del 1985. Così facendo ha equiparato tutti i culti, per la tutela dei quali restano in vigore gli altri articoli del Codice (numeri 403, 404 e 405).


Con la sentenza numero 327 del luglio 2002 anche l’articolo 405 è stato dichiarato incostituzionale, nella parte che prevede pene più gravi per i fatti di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico.

Infine, con la sentenza n. 168 dell’aprile 2005, la Corte costituzionale ha pronunciato una Dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 403, primo e secondo comma, cod. pen., nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice.

Con la legge 85/2006 la materia ha trovato un’ulteriore sistemazione: sono stati integralmente sostituiti gli artt. 403 e 404, è stato modificato il 405 ed è stato abrogato il 406.

ALCUNE SENTENZE DI CONDANNA PER VILIPENDIO

Svariate sono state le ragioni che hanno portato, in passato, a essere condannati per vilipendio o turbamento di funzione religiosa. Riportiamo alcuni esempi:

costringere un sacerdote, mediante contumelie, a interrompere la funzione della benedizione delle case (1939);
definire la Chiesa cattolica come «un nemico, puntello di tutte le infamie sociali» (1950);
rivolgere la parola «vigliacchi» ai partecipanti a una processione religiosa (1953);
dire che «la Chiesa è oramai diventata un mercato nero» e che «l’ostia consacrata era considerarsi fatta con farina» (1953);
inveire a voce alta contro un sacerdote durante una funzione (1959);
affiggere un manifesto riportante «le invenzioni della Chiesa cattolica romana, ovvero le aggiunte dell’uomo alla legge di Dio».
affermare che i dogmi sono una invenzione dei preti e che la Chiesa cattolica insegna il contrario di quanto voluto da Gesù (1967).

Spesso la giustizia è stata interessata in proposito, da esponenti ecclesiastici o privati cittadini cattolici, nei confronti di autori satirici ritenuti troppo provocatorî come le riviste Il Male, Cuore, o il film Il Pap’occhio di Renzo Arbore.

Anche altri film, pur privi di intenti dissacratorî, sono stati oggetto di un processo. Pier Paolo Pasolini, accusato di vilipendio per La ricotta (episodio da lui diretto del film Ro.Go.Pa.G., 1963), dopo essere stato condannato in primo grado a quattro mesi di reclusione fu poi assolto in secondo grado. Il processo agli autori della pellicola Totò che visse due volte, Ciprì e Maresco, è ancora in corso.

Un nuovo capitolo si è aperto nel luglio 2002, con la chiusura e messa sotto sequestro di cinque siti Internet giudicati dalla Guardia di Finanza «altamente offensivi per il sentimento religioso e la religione cattolica». La richiesta di chiusura era stata formulata direttamente dalle colonne del quotidiano vaticano L’Osservatore Romano.

I “REQUISITI” DEL VILIPENDIO

Non costituisce vilipendio la critica motivata e il fine di discutere.

Si può essere condannati anche senza aver avuto alcuna intenzione di vilipendere: è sufficiente il dolo generico, ovvero basta la volontà di compiere un determinato atto, senza prevederne le conseguenze.

«Sono, invece, vilipendio, la contumelia, lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato» (dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 188/75).

L’oggetto della denuncia deve essere pubblico: il reato deve avvenire sulla stampa o tramite altro mezzo di propaganda, in luogo pubblico o aperto al pubblico, in presenza di più persone, in una riunione non privata.

La denuncia può essere presentata da chiunque.

LA TUTELA PENALE DELLE RELIGIONI MINORITARIE

Le confessioni religiose diverse dalla cattolica, nei loro rapporti con lo Stato italiano, si sono rivelate molto più laiche della ex «religione di Stato». Tutte hanno ribadito, nelle intese sottoscritte, la richiesta di tutela della propria libertà religiosa (individuale e collettiva) solo attraverso la protezione dei diritti di libertà riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.

Fa eccezione, parzialmente, l’Intesa con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dove si stipula che viene «assicurata in sede penale la parità di tutela del sentimento religioso e dei diritti di libertà religiosa, senza discriminazione tra i cittadini e i culti». Tuttavia, da questi passaggi si può desumere più la volontà di non essere discriminati, che la volontà di essere tutelati in maniera specifica.

A riprova di quanto affermato, non si ha notizia di cause promosse da o a tutela delle religioni di minoranza.

UN REATO FUORI DAL TEMPO

Al giorno d’oggi i diritti di critica e di libertà di pensiero, sanciti dalla Costituzione, sono ampiamente riconosciuti e garantiscono a chiunque la possibilità di opinare contro qualsiasi tesi.

Il fatto che un reato tipicamente di opinione come il vilipendio sia viceversa ancora presente nel nostro ordinamento denota come la Chiesa cattolica non intenda permettere un libero dibattito (una libera critica) nei suoi confronti.


Ecco perché l’abolizione dell’art. 402 ha preoccupato la Chiesa: «la giustizia non coincide sempre con l’uguaglianza. Quale persona di buon senso potrebbe sostenere che un’espressione o un gesto irriguardosi nei confronti di Maometto abbiano lo stesso peso alla Mecca o a Milano e meritino un’eguale sanzione?», ha sostenuto Giuseppe Savagnone su Avvenire del 22 novembre 2000.

Non a caso le denunce di vilipendio si accaniscono contro autori sganciati dalle religioni - e non contro esponenti di altre religioni a loro volta tutelate dalla legge. Il Talmud ebraico, ad esempio, sostiene che la Madonna era legata a un soldato romano, il vero padre di Gesù: nessuno ha mai pensato di vietare in Italia la stampa di questo libro il quale fu, altresì, ripetutamente censurato e mandato al rogo nel mondo cristiano fino all’età moderna.

Si spera che l’ultima sentenza porti a più miti consigli i cattolici italiani: certo, il reato di vilipendio resta, ma ha perso quel suo vizio di origine legato alla protezione della religione cattolica.

E rimane purtroppo anche l’equiparazione, ai sensi dell’art. 8 comma 2 L. 810/1929, del papa alla persona del re, a sua volta equiparata al presidente della Repubblica, ancora tutelato dall’art. 278 c.p. per quanto riguarda le offese arrecate all’onore o al suo prestigio: mancando precedenti in merito, è incerto se alle offese al papa si applichi ancora l’art. 278 c.p. oppure, quanto meno, le norme sull’ingiuria e sulla diffamazione.

Ultimo aggiornamento: 23 marzo 2006.


www.uaar.it/laicita/vilipendio/

[Modificato da Claudio Cava 10/09/2006 13.32]






“Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
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