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La famiglia, il divorzio, l'aborto e la politica con la P maiuscola

Ultimo Aggiornamento: 21/07/2007 18:16
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16/05/2007 20:49
 
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«Non dimentichiamo che nel nostro paese due leggi come quelle sul divorzio e sull’aborto sono passate perché la Politica, quella con la P maiuscola, ha creato un ampio consenso in parlamento ma anche nel paese, al di là degli schieramenti ideologici. Ecco, mi pare che la lezione delle battaglie per il divorzio e l’aborto sia stata dimenticata».

Così Nicola Latorre, vicecapogruppo (ds) dell’Ulivo a palazzo Madama, intervistato da Maria Teresa Meli sul Corsera di ieri. Com’è vero che la memoria divide: a me viene da replicare con le stesse parole, «mi pare che la lezione delle battaglie per il divorzio e l’aborto sia stata dimenticata», per ragioni esattamente opposte a quelle addotte da Latorre, il quale invoca «la politica con la P maiuscola» contro «il minoritarismo» che a suo giudizio marchiava sabato scorso la risposta dell’«orgoglio laico» di piazza Navona al Family Day di piazza San Giovanni. Ora.


Nel nostro paese né la legge sul divorzio né quella sull’aborto sarebbero mai state approvate (e confermate con i relativi referendum) senza l’apporto politico e culturale non laterale ma determinante di minoranze quali: un signore socialista che si chiamava Loris Fortuna e presentò con grande scandalo il primo progetto di legge sul divorzio nel ‘65, i radicali che sia del divorzio sia dell’aborto fecero due bandiere irrinunciabili, i gruppi della nuova sinistra post-sessantottina che ne fecero due terreni di scontro con la cultura del Pci, e soprattutto il movimento delle donne che interpretò l’una e l’altra battaglia in modo inedito cioè rispondente all’esperienza (e all’elettorato) femminile.


Può darsi che tutti costoro abbiano - abbiamo - fatto una politica con la p minuscola, il che ci fa onore visto lo stato di salute non proprio eccellente di quella con la P maiuscola; di certo non era una politica minoritaria, essendosi rivelata anzi nell’uno e nell’altro caso nettamente maggioritaria, cioè in grado di interpretare un mutamento sociale e di mentalità che nell’uno e nell’altro caso i partiti maggiori, cioè la Dc e il Pci, temevano e negavano con tutte le loro forze, rivelandosi nettamente minoritari.

Ai tempi del referendum sul divorzio, il Pci temette fino alla sera dei risultati un voto femminile conservatore, senza percepire neanche vagamente che le donne stavano diventando la punta più avanzata del mutamento sociale. Ai tempi dell’aborto, non smise mai - mai, e i suoi epigoni non smettono tutt’ora -di rubricarlo come «piaga sociale» invece che come esperienza femminile, complessa e difficile e spesso drammatica, connessa alla sfera della sessualità. Nell’un caso e nell’altro, si trattava di due questioni di libertà, che la politica con la P maiuscola tentò in tutti i modi (e nel caso della legge sull’aborto purtroppo ci riuscì) di risolvere al livello più basso di mediazione fra laici e cattolici, i quali nell’un caso e nell’altro dialogavano molto più produttivamente fuori da Montecitorio che dentro.


La manifestazione di piazza Navona sarà stata inadeguata - grazie soprattutto alla brillante assenza dei Ds - a contrastare la geometrica potenza di piazza San Giovanni, ma sarebbe il caso di raccoglierne precisamente lo spunto per un onesto paragone fra il conflitto di oggi sulla famiglia e quelli del passato sul divorzio (cioè sempre sulla famiglia) e sull’aborto. Oggi come allora, infatti, è sempre della stessa sindrome che la sinistra con la S maiuscola soffre, cioè di un’allergia rispetto alle questioni di libertà.


Sul divorzio come sull’aborto come sui conviventi e gli/le omosessuali, la sinistra con la S maiuscola che dal Pci discende per li rami al futuro Pd non è mai riuscita e non riesce ad andare oltre una timida strategia di riduzione del danno (il danno del tradimento coniugale, il danno della piaga sociale, il danno del convivente senza garanzie previdenziali) e a impostarne una sulla scommessa, e i rischi, della libertà. Me se si tratta solo di ridurre danni e sanare ferite, c’è da stupirsi se i più ricorrono alla medicina della tradizione?

L’articolo di Ida Dominijanni è raggiungibile sul sito del Manifesto



www.uaar.it/


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