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Nuova conferma per l’evoluzionismo

Ultimo Aggiornamento: 28/07/2007 11:06
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Madre Badessa
26/07/2007 10:10
 
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Mettere in relazione il ritmo sonno-veglia con l’alternarsi delle stagioni dipende da un gene. Se gli animali riescono a capire che sta arrivano il freddo e quindi prepararsi per il letargo è merito di questo gene. La scoperta, sui moscerini della frutta (Drosophila melanogaster), si deve a due studi pubblicati sulla rivista “Science” e diretti da Rodolfo Costa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e Bambos Kyriacou dell’Università di Leicester in Gran Bretagna. Il legame tra giorni e stagioni sembra basato sul “gene orologio” timeless ed è emerso grazie all’isolamento di una mutazione a suo carico, la quale è anche un’ottima prova dell’attendibilità della teoria darwiniana dell’evoluzione. Infatti, comparsa di recente, si sta diffondendo a tempi da record tra le popolazioni europee di questi insetti, grazie al vantaggio selettivo che offre ai moscerini.

[…] La mutazione è per loro una “manna dal cielo”, infatti la selezione la sta favorendo diffondendola rapidamente. La scoperta della mutazione, osserva Costa, mostra dunque che esiste una relazione tra orologio dei ritmi circadiani e meccanismo molecolare che consente agli organismi di avvertire per tempo le variazioni ambientali stagionali ‘misurandò le ore di luce diurna (fotoperiodo) al trascorrere dei giorni. Infine la scoperta è un nuovo solido argomento a sostegno della teoria neo-darwiniana dell’evoluzione, conclude Costa. «Una testimonianza concreta di come la struttura genetica di una specie possa evolvere in natura per effetto della mutazione spontanea e della selezione naturale».

Testo integrale sul sito del Messaggero

www.uaar.it/



La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno.
Apocalisse Laica
Le religioni dividono. L'ateismo unisce


Il sonno della ragione genera mostri (Goya)


26/07/2007 12:11
 
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In Senegal,un gruppo di scimpanze' si costruiscono delle lance e si riparano in grotte...L'articolo e' in inglese


---> www.iastate.edu/~nscentral/news/2007/apr/caves.shtml
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28/07/2007 11:06
 
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In principio fu il Verbo o il Dna?
Alcuni scienziati influenzati dalla religione trattano l’evoluzionismo come una semplice teoria. Negando l’evidenza


È straordinario quanto le osservazioni di Darwin abbiano cambiato non solo la visione del mondo dei suoi contemporanei ma siano ancora oggi fonte di grande stimolo intellettuale per scienziati e non. L’origine delle specie fu giustamente definito dal biologo Thomas Henry Huxley «... lo strumento più potente che gli uomini hanno sottomano, dopo la pubblicazione dei Principia di Newton, per ampliare il campo della conoscenza naturale». Al suo ritorno dai cinque anni di viaggio a bordo della goletta Beagle, Darwin mostrò le sue varie raccolte a esperti di uccelli, scarafaggi, molluschi e simili. Lo studioso di riferimento di Darwin in materia di volatili era John Gould. Darwin rimase sorpreso nel sentirgli dire che i fringuelli che aveva preso alle isole Galapagos avevano una stretta somiglianza con uccelli simili presenti nel continente sudamericano, a un migliaio di chilometri di distanza, mentre i fringuelli di un’isola delle Galapagos erano molto diversi da quelli delle altre isole.
Come mai, si chiedeva Darwin, i fringuelli delle Galapagos somigliano tanto a quelli del continente vicino se ogni fringuello è stato creato indipendentemente? La risposta logica era che le isole erano state popolate da uccelli arrivati dal Sudamerica, spinti, forse, da forti venti. Come avevano fatto, allora, gli uccelli che stavano su isole diverse delle Galapagos a diventare diversi l’uno dall’altro? Si erano evoluti adattandosi a nicchie ecologiche diverse, così che alcuni avevano sviluppato becchi per triturare i semi, altri per mangiare insetti e altri ancora per raccogliere il nettare delle piante. L’evoluzione forniva una spiegazione molto più parsimoniosa rispetto a quella della creazione ad hoc. «Quale fatto può essere più strano—scriveva Darwin—di quello per cui la mano dell’uomo, formata per afferrare, quella della talpa, fatta per scavare, la gamba del cavallo, la pinna del delfino e l’ala del pipistrello debbano essere tutte strutturate secondo uno stesso modello, e debbano contenere le stesse ossa nella stessa posizione reciproca? ».
Richard Owen, grande anatomista inglese e implacabile nemico di Darwin e delle idee evoluzionistiche, aveva detto che tali omologie (somiglianze che suggeriscono un’origine comune) rivelano il lavoro artigianale di un creatore che, forse, aveva risparmiato tempo e fatica modificando semplicemente un archetipo. Ma aveva poco senso, tutto questo bricolage creativo. Un creatore non avrebbe forse potuto fare di meglio creando un mammifero volante efficiente, dando per esempio ali piumate al pipistrello? «Come sono inspiegabili questi fatti — esclamava Darwin — per l’opinione corrente sulla creazione! Nessuna impresa può essere più disperata del tentativo di spiegare questa somiglianza... in base all’utilità o alla dottrina delle cause finali». Ciò che invece aveva senso di tutta questa serie di fatti era la prospettiva evoluzionistica di Darwin: le somiglianze di forma suggerivano una discendenza da un antenato comune con modificazioni.
L’origine delle specie forniva una prova schiacciante dell’evoluzione, ma Darwin lasciò aperti due interrogativi importanti, ammettendone la significativa difficoltà per la sua teoria. Non riuscì a spiegare che cosa dava luogo alle modificazioni osservate negli organismi, come questi e altri tratti si trasmettessero di generazione in generazione. Questi problemi li affrontò di petto nel 1868 in Le variazioni degli animali e delle piante allo stato domestico. Darwin ipotizzava che durante un processo che chiamava «pangenesi» tutte le parti del corpo rilasciassero delle «gemmule» che si accumulavano nelle cellule germinali. Quest’ipotesi venne meno dopo gli esperimenti di Francis Galton, cugino di Darwin. Galton cercò di cambiare il colore di conigli bianchi e neri trasmettendo loro delle gemmule mediante trasfusioni di sangue. Non ebbe alcun risultato. Nella sua autobiografia Darwin cita la pangenesi come la «mia ipotesi tanto abusata».
È una delle grandi occasioni mancate della scienza: Darwin non sapeva che un contemporaneo, Gregor Mendel, aveva già gettato le basi dell’analisi scientifica dell’ereditarietà. Il lavoro dei genetisti impegnati in studi di popolazione prendeva i concetti mendeliani e li applicava a popolazioni di organismi, dando una solida base scientifica alle idee darwiniane di cent’anni prima. Ci vollero però tre naturalisti —Julian Huxley (nipote di T.H. Huxley), Theodosius Dobzhansky (che lavorava col genetista del moscerino della frutta Thomas Hunt Morgan) ed Ernst Mayr (allora all’American Museum of Natural History di New York) — per produrre un rapporto biologicamente più fondato su questa fase del pensiero evoluzionistico. Huxley colse l’attimo nel titolo del suo libro Evoluzione. Sintesi moderna. Finalmente un’integrazione ragionevolmente completa fra evoluzione, genetica e selezione naturale.
Così stavano le cose quando sono entrato all’università di Chicago nel 1943 per diventare zoologo, ispirato dal bird-watching e dalle visite con mio padre al Field Museum. A Chicago insegnava il genetista di popolazione Sewall Wright, che divenne il mio primo eroe scientifico. Frequentavo due dei suoi corsi, uno sull’evoluzione e l’altro sulla genetica fisiologica. Fu nel secondo che mi imbattei per la prima volta nelle scoperte di Oswald Avery sul Dna, che sembrava in grado di trasmettere caratteri ereditari fra due tipi diversi di batteri pneumococchi. Più o meno in quel periodo Erwin Schrödinger, uno dei fondatori della meccanica quantistica, pubblicò il suo libretto Che cos’è la vita?, che mi capitò fra le mani nella biblioteca di biologia mentre ero al terzo anno, nel 1946. Che cos’è la vita? è uno di quei libri che cambiano la vita: e la mia, come quella di parecchi altri colleghi, cambiò irrevocabilmente. Schrödinger capì che l’elemento chiave dell’ereditarietà doveva essere il trasferimento di informazioni genetiche in forma di molecola di generazione in generazione. La mia passione per gli uccelli sembrava mal riposta quando uno dei grandi interrogativi del ventesimo secolo era ancora senza risposta: qual è la natura del gene, l’essenza della vita? E qual è la chimica, per quanto allora non pensassi in questi termini, da cui dipendono la selezione naturale e l’evoluzione?
Darwin sarebbe stato entusiasta di sapere che lo stesso set di 25-30 mila geni è presente nella maggior parte degli animali. Quasi ogni gene del nostro Dna possiede un gene omologo nel Dna di altri mammiferi, per esempio nel topo. Il che appare persino più straordinario se osserviamo organismi fra loro più lontani: la Ciona intestinalis, un animaletto invertebrato, possiede metà soltanto dei nostri geni, ma due-terzi dei suoi hanno geni omologhi nel Dna umano. Oggi è in atto un tentativo concertato da parte di alcuni scienziati influenzati dalla religione di trattare l’evoluzione come una teoria, come se questo in qualche misura ne diminuisse l’autorevolezza e la forza nello spiegare come funziona il mondo. Uno dei doni più grandi che la scienza ha fatto al mondo è la continua eliminazione del soprannaturale, ed è una lezione che mi ha trasmesso mio padre: la conoscenza libera il genere umano dalla superstizione.
Possiamo vivere la nostra vita senza il costante timore di aver offeso questa o quella divinità che va placata con incantesimi o sacrifici, o di essere alla mercé dei demoni o delle Parche. Se aumenta la conoscenza, l’oscurità intellettuale che ci circonda viene illuminata e impariamo di più della bellezza e della meraviglia del mondo naturale. Non giriamoci attorno: l’affermazione comune secondo la quale l’evoluzione attraverso il meccanismo della selezione naturale è una «teoria», esattamente com’è una teoria quella delle stringhe, è sbagliata. L’evoluzione è una legge (con parecchi elementi), tanto sostanziata quanto qualsiasi altra legge naturale, che sia di gravità, del movimento o di Avogadro. L’evoluzione è un dato di fatto, messa in discussione soltanto da chi sceglie di negare l’evidenza, accantona il buonsenso e crede invece che alla conoscenza e alla saggezza immutabili si arrivi soltanto con la Rivelazione.
James D. Watson
Premio Nobel per la medicina e la fisiologia
02 gennaio 2006

www.corriere.it

[Modificato da Rainboy 28/07/2007 11.06]

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