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I "corpi santi": religione o superstizione?

Ultimo Aggiornamento: 18/08/2007 02:12
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Santa Ammonisia


Il piccolo centro valsesiano di Scopa venera come sua compatrona di questa santa, le cui reliquie, come attestato dall’autentica che ne dichiarava il recupero dalla catacomba di Priscilla nel 1750, giunsero nella parrocchia, chiesa matrice di tutte le comunità della Val Grande, tramite i fratelli Giovanni Antonio e Pietro Antonio Pianazzi, la cui famiglia era emigrata da alcune generazioni a Roma.

La data d’arrivo della reliquia è il 1755, come riportato sull’iscrizione di una lapide presso l’altare della santa e fu sistemata nella cappella di San Marco; come testimonia il Lana, ancora nel 1840, le ossa erano visibili all’interno di una piccola urna di legno, posta sopra l’altare, che a stento le conteneva. Soltanto nel 1880, per la sensibilità dell’allora pievano don Giuseppe Canziani, esse furono ricomposte in una figura di cera ricoperta da un vestito realizzato dalle ragazze del paese, che fu poi collocata in un’urna più grande. Contemporaneamente si provvide anche a conferire un nuovo assetto, seppur risultato poi poco armonioso, all’altare dove si doveva riporla, che da allora s’intitolò ad Ammonisia.

Riguardo alla presenza di questa presunta martire, invocata a Scopa come protettrice dalle inondazioni del Sesia che scorre poco lontano dalla chiesa, va ricordata la violenta contestazione, organizzata da un gruppo di locali esponenti della massoneria, in occasione dei solenni festeggiamenti indetti per inaugurare gli interventi sopra descritti. L’accusa mossa al clero della parrocchia era quella di aver creato un nuovo oggetto di superstizione, promovendo il culto ad una santa inesistente per ricavarne un profitto economico, derivante dalle numerose offerte elargite per la copertura delle spese effettuate.

L’episodio s’inquadra in quel clima di diffuso anticlericalismo, più o meno manifesto, che fu presente in ambito valsesiano dalla fine dell’ottocento fino al primo conflitto mondiale e che i parroci locali cercarono di arginare con una riproposta di diversi elementi devozionali: culto mariano, culto eucaristico e venerazione dei santi locali, rispondendo alle provocazioni attraverso l’organizzazione di concrete manifestazioni di fede, quali pellegrinaggi, processioni e la pubblicazione di testi devozionali. Del corpo santo di Ammonisia si è occupato brevemente padre Antonio Ferrua, interpellato nel 1987 dal parroco locale per avere ulteriori notizie circa la presunta martire.

Le ricerche compiute dal religioso gesuita hanno permesso di risalire a quello che, con molta probabilità, è l’epitaffio originario posto a chiusura del loculo da cui fu estratto il corpo poi fatto pervenire a Scopa. Il testo, pubblicato dal Ferrua stesso in edizione critica, riporta il nome originale della defunta: Artemisia, modificato per ragioni cultuali in Ammonisia, l’iscrizione, infatti, così riporta: III – NON – MAR – ARTEMISIA – IN PACE. Sulla stessa superficie figuravano anche sei monogrammi costantiniani ed una palma, allora interpretata, similmente al presunto “vaso di sangue” visibile nell’urna, come segno certo dell’avvenuto martirio, del quale manca invece ogni accenno nel testo riportato.

A partire dal 1880 la devozione nei confronti di Ammonisia s’incrementò notevolmente tra la popolazione di Scopa, che da quell’anno dedicò ufficialmente alla santa una festa annuale. Inizialmente la ricorrenza era celebrata la prima domenica di marzo, fu poi anticipata alla prima di febbraio per permettere la partecipazione degli emigranti che, ritornati in autunno, ripartivano in primavera; ancora attualmente, in tale occasione, l’urna è portata in processione lungo le strade del paese.




www.santiebeati.it/dettaglio/91880



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San Massimo venerato a Cravagliana. Martire-13 giugno

Il corpo santo di Massimo, di nome proprio, venne recuperato nel 1825 dalla catacomba di Ciriaca e fu donato alla comunità di Cravagliana da don Giovanni Juva, originario di Cervatto e canonico della cattedrale di Torino, in ricordo di suo zio don Spirito Antonio Juva, anch’egli di Cervatto, che fu il primo parroco del paese a portare, dal 1788, il titolo di pievano.

Giunta in paese la reliquia fu oggetto di un’attenta ricognizione nella sacrestia della chiesa parrocchiale, alla presenza del delegato vescovile don Giacomo Pomi, nativo del posto e parroco a Camasco, di don Giovanni de Mattei parroco ad Ornavasso e del parroco di Sabbia don Giovanni Antonio Bertolio. Dopo un’accurata indagine anatomica compiuta dal dottor Lana, di cui è presente la relazione nei documenti d’archivio, i resti, molto frammentari, vennero inseriti nei quattro arti e nella maschera della figura in cera appositamente realizzata per contenerli, conferendo così all’insieme le sembianze di un corpo umano. [SM=g27816]

Il manichino fu poi rivestito da un costume di soldato romano, offerto, come l’addobbo dell’urna in cui è conservato, da Giovanni Reffo di Ferrera. Per la sistemazione della reliquia venne completamente smantellato l’altare di San Giuseppe e si sacrificò tutta la decorazione barocca della cappella, opere volute e realizzate, non molti anni prima, proprio da colui in memoria del quale fu donato il corpo santo. Questo modo di procedere può sembrare contraddittorio, in realtà ribadisce il grande valore e l’importante significato attribuito, ancora nell’ottocento, ai corpi santi, presenti non solo in particolari e prestigiosi luoghi di culto ma diffusi ormai anche nelle piccole parrocchie periferiche.

E’ un aspetto che tocca anche l’ambito delle esigenze pastorali di un dato momento storico e sociale, per le quali evidentemente era più importante la presenza concreta di una reliquia di un presunto martire dei primi secoli, rispetto al modello di santità offerto da Giuseppe; quest’ultimo, infatti, pur personaggio non leggendario, attivo e presente nei vangeli, risultava figura troppo discreta da proporre all’attenzione devozionale dei fedeli, in un’epoca di dilagante laicismo e liberalismo politico anticlericale. Nella parete della cappella fu così realizzato un loculo in cui venne sistemata l’urna sopra al quale fu però conservato il quadro, realizzato dal pittore Corvetti nel 1766, che riproduce la morte di San Giuseppe. Una solenne celebrazione pubblica in onore del presunto martire è stata la ricorrenza centenaria della sua presenza, tenutasi il 25 maggio 1930, con processione per le vie del paese, mentre il ricordo annuale viene celebrato in una domenica all’inizio del mese di giugno.

La venerazione riguardo al corpo santo di Massimo si è manifestata anche a livello personale tra i fedeli, sia con l’imposizione del suo nome a diversi individui, sia nella commissione di celebrazioni eucaristiche all’altare dove ne riposano i resti, pratiche ancora presenti in seno alla comunità parrocchiale.






Autore: Damiano Pomi

www.santiebeati.it/dettaglio/92033



[SM=x789063] No comment

[Modificato da kelly70 18/08/2007 02:12]



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