Spero che chiunque intenda votare Berlusconi si renda conto di cio' che fa.L'articolo di Repubblica che propongo ci mette in guardia sul futuro scenario da "piena dittatura berlusconiana".
A Ezio Mauro,l'autore dell'articolo,dico solo questo: solo ora se ne esce con questi articoli? Ma perche' cazzo non si e' preso la briga di scriverli molto prima? Non c'e' bisogno che le dica che Berlusconi NON E' MAI STATO PER LO STATO E PER GLI INTERESSI DEGLI ITALIANI visto che si permette di prendere per il culo i precari,e' sempre stato un'affarista senza scrupoli,uno schiavista,percio',e' logico che se venisse eletto la sola istituzione che potra' contrastrarne i disegni e i deliri di onnipotenza tirannica sara' NAPOLITANO,che spero che non ceda ai ricatti di questa destra che arriva ad elogiare addirittura lo stalliere della mafia Mangano.
da
www.repubblica.it/2008/04/sezioni/politica/verso-elezioni19/niente-pasticci/niente-pasti...
di EZIO MAURO
L'attacco al Quirinale era previsto, ma non così presto, non con questa violenza impolitica, nemmeno con questa improvvisazione istituzionale e costituzionale. E invece ieri Berlusconi, quasi cedendo al crescendo di frenesia che scambia per politica, ha apertamente ipotizzato che la sua vittoria alle urne possa portare addirittura all'uscita di scena del capo dello Stato Giorgio Napolitano, costretto a dimettersi per conformarsi in fretta e furia al nuovo ordine, anzi alla nuova era.
Non eravamo ancora giunti fin qui, nel punto più basso della Repubblica, dove si confondono ambizioni e istituzioni, con il demiurgo che dà gli ordini e le massime cariche dello Stato che si devono adeguare. Il Quirinale, di cui si è misurata nei fatti in questi anni travagliati la funzione di garanzia e di tutela della Costituzione, era rimasto fuori dagli appetiti di lottizzazione, inserito in un gioco istituzionale più alto, a cui si misuravano con rispetto anche le legittime ambizioni dei leader. La cosa grave, è vedere un uomo che ambisce a guidare il Paese fissare per convenienza personale e calcolo privato la scadenza anticipata del settennato della massima magistratura, dopo nemmeno due anni dal suo inizio. La cosa gravissima, è la meschinità impolitica della motivazione: la destra, ha detto il Cavaliere, potrebbe anche pensare di "dare" una Camera all'opposizione se il presidente della Repubblica "decidesse di dimettersi" per "fare un gesto nei confronti della nuova situazione italiana" che dovrebbe nascere da una vittoria del Popolo delle Libertà.
Non sono dunque bastati due cicli da Premier del Paese, la doppia conquista di Palazzo Chigi, per trasformare il Capo della destra italiana in un uomo di Stato.
A quattro giorni dal voto, Berlusconi trascina il presidente della Repubblica (salvo poi, come ormai sempre, correggersi) nella battaglia elettorale, come se l'urgenza di prendere il suo posto ascendendo al Quirinale facesse premio su prudenze politiche, doveri istituzionali, galateo costituzionale. La lotta in corso tra destra e sinistra non è per la conquista del governo, come avviene ovunque in Occidente, ma per l'ascesa al potere supremo e incontrollato. Tanto che la vittoria di Berlusconi determina da sola, nel destino della Patria redenta, uno scarto d'epoca e una nuova gerarchia delle istituzioni: che possono soltanto conformarsi alla moderna presa dello Stato. È ancora e sempre, in questo senso, una concezione tecnicamente rivoluzionaria, che fa ogni volta ricominciare la storia dall'anno zero di ogni nuovo avvento berlusconiano.
Se Berlusconi vince, dunque, non c'è un nuovo governo come ovunque in democrazia, ma "una nuova situazione italiana", perché la vittoria - la riconquista - disegna un nuovo ordine, secondo un'interpretazione schiettamente populista della lotta politica, del confronto tra i partiti, del libero gioco tra maggioranza e opposizione. Di più: il destino personale del Cavaliere scandisce il destino delle istituzioni, fissa i tempi degli organi costituzionali, rompe e riordina la continuità repubblicana. La biografia del leader offerta come moderna ideologia della destra.
Ma a questo punto, c'è ancora qualcosa da dire, e non solo a Berlusconi. Chi sosteneva che destra e sinistra in Italia sono uguali, che Pd e Pdl hanno lo stesso programma e lo stesso linguaggio, che dunque Veltrusconi è la soluzione obbligata e perfetta per risolvere i problemi italiani, oggi improvvisamente tace. È bastato che i sondaggi - unica religione riconosciuta nel paganesimo vagamente idolatra di Berlusconi - rendessero incerto l'esito della contesa, almeno al Senato, e soprattutto mostrassero l'erosione del distacco che la destra aveva accumulato qualche mese fa, per far risuonare la vera lingua del Cavaliere, il suo dizionario politico, la cultura profonda che lo domina.
In due giorni, Berlusconi ha chiesto la perizia psichiatrica per i magistrati che indagano, si è rifiutato di sottoscrivere un patto bipartisan di lealtà repubblicana, ha accusato di comunismo il suo avversario, ha denunciato brogli elettorali prossimi venturi, fino all'attacco al Quirinale e alla denuncia della "mancanza di un regime di piena democrazia nel nostro Paese" perché la sinistra "occupa" tutto. Mentre il suo amico più fidato, costruttore di Forza Italia - Dell'Utri - ha annunciato che la destra dopo la vittoria riscriverà i libri di storia per espellere la Resistenza, e ha indicato agli elettori plaudenti la fulgida figura dello stalliere mafioso Mangano, definendolo (con l'esplicito consenso del leader) un "eroe" perché "condannato in primo grado all'ergastolo" non ha fatto dichiarazioni "contro di me e Berlusconi". Poco importa che i magistrati inquirenti lavorassero in nome del popolo italiano, e al servizio della Repubblica.
Questa "destra reale" che si è infine palesata, non è una novità, ma una costante del quindicennio. La novità è che qualcuno lo dimentichi, ipotizzando le "larghe intese" tra Veltroni e Berlusconi come esito auspicabile del voto. A vantaggio di chi? Non certo del Paese e del quadro repubblicano, che vedrebbe insediato e garantito dal concorso della sinistra il populismo come progetto politico per la nazione, così come vedrebbe il conflitto d'interessi sanato per collusione ed elusione, le leggi ad personam rivalutate come strumento propedeutico alla nuova era consociativa. Proviamo a dire le cose come stanno, o come dovrebbero stare in una normale democrazia dell'alternanza.
1) Chi vince, governa. Non importa quanto grande, o minimo, sia lo scarto. Oggi siamo di fronte ad un bipartitismo che si contende la guida del governo, più altri attori politici. Se Berlusconi prevale, formerà il suo gabinetto, qualunque sia la difficoltà di costruire e reggere una maggioranza governante, e la stessa cosa dovrà fare Veltroni in caso di vittoria. Chi perde, va all'opposizione, possibilmente senza denunciare brogli (come fa il Cavaliere ogni volta che è sconfitto) e preparando la rivincita.
2) La responsabilità politica ed istituzionale davanti alla palese urgenza di alcune riforme (prima fra tutte la legge elettorale, ma anche i regolamenti delle due assemblee elettive, il bicameralismo perfetto, la riduzione del numero di deputati e senatori) va garantita a pari titolo da maggioranza e opposizione.
Ma questa responsabilità si esercita sul piano parlamentare, non su quello del governo. Come dice la lezione della Costituente, ci si confronta anche duramente per mezza giornata dai ruoli divisi e distinti di chi governa e chi si oppone, e per l'altra mezza giornata si collabora in Parlamento cercando di ridare efficienza e funzionalità alle istituzioni con le riforme necessarie.
3) In caso di pareggio, perché chi prevale in una Camera non è riuscito a prevalere nell'altra, si apre uno schema di gioco inedito. Ma in questo caso non è a Berlusconi, alla sua presunta mano tesa, all'improvvisa e necessitata sua buona volontà che il Pd dovrà rispondere. Ma ad un altro soggetto: il Capo dello Stato, che diventa arbitro di una partita senza vincitori, e dunque esplora - nella sua responsabilità non di parte - le soluzioni più utili per sbloccare con le riforme un sistema inceppato e improduttivo, in modo da portare il Paese alle urne con uno schema che consenta agli elettori di decidere davvero, e permetta la governabilità.
Sono tre punti chiari e semplici. Il Paese ha bisogno di chiarezza, di scelte nitide, di responsabilità distinguibili e precise. Ha bisogno, come ogni democrazia normale, che ci sia una destra e una sinistra. Chi punta a confonderle, ha già accettato un destino berlusconiano per l'Italia, che può ancora farne a meno.
(10 aprile 2008)
[Modificato da pcerini 10/04/2008 09:50]