Il neurologo che ha visitato la giovane: sta bene, per spegnersi impiegherà almeno 15 giorni
E luana non morirà in fretta. Ci vorranno almeno due settimane, dal momento della sospensione dell'alimentazione con il sondino, prima che la sua vita si spenga. Il corpo della giovane è infatti in buone condizioni grazie alle cure ricevute in questi 16 anni dalle Suore Misericordine della clinica lecchese «Talamoni» . E per lei saranno giorni di sofferenza fisica.
Lo assicura Giuliano Dolce, 80 anni, direttore scientifico della clinica Sant'Anna di Crotone, scienziato di fama internazionale, uno dei luminari italiani nella cura degli stati vegetativi. Il quale precisa: «Non parlo per sentito dire. Ho visitato Eluana lo scorso gennaio, d'accordo con la famiglia e i legali. Ho visto che è stata curata bene e con molto affetto dalle suore. Per questo affermo che, quando le verrà tolto il sondino per l'alimentazione, ci vorranno almeno due settimane prima che arrivi la morte. Il suo sarà un viaggio lungo, come accadde per la povera Terry Schiavo negli Stati Uniti qualche anno fa».
E fin qui è inoppugnabile.
«Si, la sofferenza fisica è scientificamente provata nei pazienti in stato vegetativo.
Che che cosa intende dire il professore, che ci sono riflessi nervosi se la pungi con un ago? Questa è prova che i nervi nocicettori "comunicano" ancora con il tronco cerebrale e che questo risponde, cosa che avviene perfino in molte forme di coma... ma non è una prova che esista alcuna forma di coscienza o di
percezione del dolore. Se affermasse questo, il professore direbbe il falso (e lo sa, per questo ha tagliato corto sull'argomento).
Mi spiego per gli utenti. Semplificando, ci sono tre fasi nell'acquisizione dello stimolo doloroso: una prima fase è quando i nervi trasmettono il segnale al tronco e questo, "per conto suo", può innescare una reazione riflessa al di fuori della nostra volontà, ad esempio tirare via la mano da una pentola che scotta. Lo stimolo parallelamente innesca una seconda via, che porta alla diagnosi di dolore, vale a dire che alcune aree profonde dell'encefalo computano il segnale e gli attribuiscono un significato; diagnosticano che si tratta di dolore. Queste aree re-impacchettano lo stimolo e lo spediscono a quelle coscienti, che ne prendono atto percependolo.
Nei pazienti come Eluana che si trovano in stato vegetativo permanente da molto tempo e che mancano di tutte le loro facoltà superiori, il terzo passaggio non esiste più (e anche i primi due hanno serie limitazioni).
«A mio avviso la contraddizione scatta nel punto in cui viene comunque imposta, oltre che un'indispensabile umidificazione frequente delle mucose con l'ovatta bagnata sulle labbra, anche una somministrazione di ' sostanze idonee ad eliminare l'eventuale disagio da carenza di liquidi'. Tradotto, la paziente deve essere idratata per evitarle sofferenza. Quindi non morirà di sete, ma di fame. E voglio vedere dove troverà un posto che la ospiterà pr morire. Non è un caso di eutanasia, perché, ad esempio, in Olanda si essa viene praticata su un malato che soffre molto e negli ultimi giorni della sua esistenza e ne fa richiesta. Questo è un omicidio e dal punto di vista deon tologico per un medico è inaccettabile».
Beh, certo è ridicolo fare morire lentamente di fame Eluana. Se ci fosse un briciolo di spina dorsale in Italia, si approverebbe almeno una procedura rapida e indolore (sebbene nel caso di Eluana "indolore" sia del tutto relativo) per eutanasizzare i pazienti in questa condizione.
Una dose di morfina, ad esempio.
«La ragazza è in coma per una cerebropatia grave causata da un incidente stradale. Dopo un anno in medicina chi sopravvive è considerato clinicamente guarito. Quindi non viene più curato, ma sottoposto a nursing, cioè alla nutrizione, alla riabilitazione passiva quotidiana e alle cure che prevengono, ad esempio, le piaghe da decubito. Ma è guarito con difetto, nel suo caso gravissimo, perché non ha ripreso coscienza. Quindi va considerata una disabile, probabilmente sulla frontiera estrema della disabilità.
Giochiamo con i termini. Qui si discute della gravità della condizione e della volontà previamente espressa dalla paziente di non accettare tale condizione, il fatto che per la medicina lei sia un corpo "malato" o "guarito con disabilità" è irrilevante.
Eluana Englaro è in stato vegetativo da 16 anni. C'è un limite temporale oltre il quale non ci si risveglia?
«Non si può dirlo con cognizione scientifica. All'ultimo convegno mondiale sui danni cerebrali di Lisbona, in aprile, è stato citato il caso di un paziente statunitense che si è risvegliato dopo 18 anni. In letteratura ci sono molti esempi di persone risvegliatesi dopo molto tempo. Superati i primi due anni di coma, si può sopravvivere a lungo.
Premesso che non mi stupirebbe se fossero casi mal diagnosticati (vedi sotto), il professore si dimentica di precisare in che stato si siano risvegliati questi pazienti che a sentir lui, erano in stato vegetativo da 18 anni; non lo commento perché chiunque può immaginarselo. In ogni caso, a meno che le informazioni trasmesse dai media sulle condizioni di Eluana non siano false, questo non è il suo caso!
Il professore infatti "trascura" di spiegare il fatto che ci sono molti tipi diversi di stato vegetativo: anche pazienti che mostrano ancora reattività spiccate (perfino capaci di intendere parzialmente le parole di un osservatore e di esprimere concetti elementari con semplici comunicazioni verbali) possono, per vari motivi fra cui spesso anche diagnosi errata o controversa, essere classificati come persone in stato vegetativo; giusto qualche mese fa ho letto uno studio che riportava come forse addirittura la metà dei pazienti dichiarati in stato vegetativo, potrebbe di fatto non soddisfare i reali criteri della diagnosi se fossero applicati con rigore. Perché? Perché questi pazienti per quanto fortemente disabili hanno ancora alcune capacità (poco evidenti e non sempre permanenti) che dimostrano l'esistenza di porzioni limitate di corteccia funzionanti e quindi, anche dopo molti anni, non subiranno l'atrofia e la regressione totale di tutte le loro facoltà, giacché non hanno mai smesso di usarle!
Altri pazienti invece fin da subito non mostrano nulla più di quello che basta a dare la definizione di stato vegetativo, magari appena un gradino sopra a quella del coma. Altri ancora, e sono pochi purtroppo, entro i primi mesi o al massimo entro un anno, riescono a riprendersi dal trauma abbastanza da uscire dallo stato vegetativo e da riacquistare funzioni cognitive superiori (il che non significa che tornino normali...).
Tutto ciò non deve stupirci e non deve neanche far pensare a enormi carenze nel sistema di classificazione neurologico: sempliciemente, oltre un certo limite siamo impossibilitati a classificare. La varietà e la gravità dei traumi che il cervello può subire è pressoché infinita, così come i fattori individuali che intervengono nella reazione che ha quest'organo al trauma.
L'insidia lessicale nel discorso di questo professore sta dunque nel fatto che alla voce "stato vegetativo" troviamo una categoria molto eterogenea di pazienti... e chi vuole fare morale, ha buon gioco a traslare sui casi estremi da un lato le caratteristiche dei casi estremi dall'altro.
Approcciarsi a questo drammatico problema umano con onestà, signfica invece considerare i pazienti uno ad uno e fare le dovute riflessioni. Se Eluana è in stato vegetativo permanente da addirittura sedici anni senza mostrare nulla se non minimi segni vitali del cervello, perfino senza i moderni supporti diagnostici qualsiasi medico sano di mente direbbe che è del tutto irragionevole aggrapparsi a false speranze.
Se poi, come è lecito sospettare, il padre ha preso misure più solide - ad esempio, far fare una RMN al cranio della figlia da portare in aula di tribunale per mostrare visibili regressioni dell'encefalo - allora esistono addirittura dei dati scientifici inconfutabili, e non c'è da stupirsi che perfino i giudici di questo paese "vegetativo" si siano dovuti svegliare dalla loro condizione di atrofia mentale.
È superato il termine di stati vegetativi ' permanenti' usato nella sentenza milanese, la definizione corretta è ' persistenti'. Perciò per la nostra professione l'esecuzione della sentenza è pericolosa, perché potrebbe lasciare a qualcuno, medico o giudice, il potere di stabilire quando finisce la vita, varcando frontiere etiche e di civiltà».
E' superato nella testa di questo individuo, forse. In Italia (e non solo qui) vige ancora la distinzione fra uno stato vegetativo
persistente, che viene convenzionalmente definito per i primi sei mesi, e uno stato vegetativo
permanente, che di solito viene definito dopo i sei mesi se si è in assenza totale di miglioramenti.
Lei fa parte di un'associazione di bioeticisti laici e cattolici, «Vi.ve», vita vegetativa. Cosa farete?
[ Mi viene il sospetto che possa essere un commento di parte]
Ma tu guarda...
[Modificato da Rainboy 01/09/2008 13:54]