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La nascita della menzogna più antica...

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2009 00:39
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La creazione dei Vangeli

...LA NASCITA DEL VANGELO PIÙ ANTICO

... ben poco interessati alla storia
(Il teologo Dibelius)

... solo una collazione aneddotica
(Il teologo Werner)

... da utilizzare con estrema circospezione
(Il teologo Goguel)
1

Ci serviamo dei nomi di Marco, di Matteo e di Luca come autori dei Vangeli Sinottici, senza sapere con esattezza se Marco si identifichi col compagno di Pietro, e Luca con l'accompagnatore di Paolo. Infatti, fatta eccezione per le epistole paoline autentiche, non possediamo certezze sull'autore di nessuno degli scritti neotestamentari.

La Chiesa ha fatto passare questi libri come opera dei primi Apostoli e dei loro discepoli, gettando così le fondamenta della loro autorità. In realtà, essi non derivano dall'attività di nessun apostolo. Neppure il pubblicano Matteo può essere l'autore del cosiddetto Vangelo di Matteo, in quanto l'opera non venne composta in ebraico, secondo la tesi della più antica tradizione ecclesiastica 2 , bensì in greco; e inoltre non può risalire a un testimone oculare. Questa è la posizione di quasi tutta l'esegetica biblica non-cattolica, mentre la Chiesa cattolica attribuisce questo vangelo all'apostolo Matteo; ma anche i suoi esegeti sono costretti ad ammettere che non si conosce nessuno che abbia mai visto il presunto originale aramaico, tradotto poi in greco e che non esistono tracce di alcun genere del testo aramaico né di sue citazioni (Winkenhauser, 133).

Ma le successive generazioni cristiane collocarono tutto ciò che poterono sotto il manto protettivo degli Apostoli, al fine di conferire alle scritture una maggiore autorevolezza. Il che, per altro, corrisponde a un'abitudine letteraria tipica dell'antichità, e raramente si è trattato di consapevole falsificazione, quantunque sia necessario richiamare l'attenzione sul fatto che

Nel Cristianesimo è consentito l'inganno in nome e in onore di Dio

Il Cristo, questa ultima ratio della menzogna, è ancora una volta l'ebreo-tre volte se stesso.
(Friedrich Nietzsche, Der Antichrist, 44)

Le falsificazioni hanno inizio in epoca neotestamentaria, e non sono più cessate.
(Il teologo Carl Schneider) 3

In nessun campo si sono verificati tanti falsi, quanti in ambito religioso, e nel Cristianesimo sono forse ancor più numerosi: è l'arte sacra della menzogna, come afferma Nietzsche. Il pio inganno, col quale si imbrogliano generazioni e intere epoche storiche, nel Cristianesimo, anche ad avviso del teologo Johann Gottfried Herder, «ben presto non fu più un peccato, ma una benemerenza a onore di Dio e per la salute dell'anima 4.

I suoi più autorevoli esponenti consolidarono con la bugia la verità cristiana, e nemmeno Paolo si sottrae a questo sospetto, quando scrive:

«Ma se ad opera della mia menzogna (!) tanto più rifulge la gloria di Dio, perché mai dovrei ancora essere giudicato un peccatore?» (Rom. 3, 7).

Anzi, egli ammette che solo una cosa è importante: diffondere Cristo «con o senza ipocrisie» (Philip. 1, 15 sgg.). Anche se Paolo in questo passo non rivendica a se stesso tali ipocrisie - anzi altrove sottolinea più di una volta la propria schiettezza, (Rom. 9, 1; 2 Cor. 4, 2 ecc.) - molti luoghi delle sue Epistole suscitano perplessità 5, benché taluni studiosi conservatori giudichino errata l'immagine tradizionale dell'Apostolo come polemista, che non va tanto per il sottile con la verità, perché «non è coerente» 6.

Il dottore della chiesa Giovanni Crisostomo (= Bocca d'oro), patrono dei predicatori, intervenne assai più energicamente a pro della necessità della menzogna diretta alla salute dell'anima, appoggiandosi persino su esempi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento 7.

Ma anche Origene, uno dei più eminenti e autorevoli cristiani dell'antichità, sostenne con ferma decisione la liceità dell'inganno e della menzogna come «strumenti di salvezza». Dio stesso, secondo lui, potrebbe mentire per amore (Orig. Cels. 4, 19).

Come in tutta l'antichità, dunque, anche nel Cristianesimo il «pio imbroglio» fu lecito fin dal principio; così agli apostoli Matteo e Giovanni vennero attribuiti a torto dei Vangeli; non solo, ma venne inventato di sana pianta anche un Vangelo «secondo i 12 Apostoli», in modo da ottenere i migliori attestati di credibilità, coinvolgendo tutta la santa congrega. Al solo Pietro vennero attribuiti un Vangelo, un'Apocalisse, il Kerygma e due Epistole del N.T., che oggi anche teologi di parte cattolica gli disconoscono, limitandosi a concedere che la Prima Epistola non può essere stata composta da lui senza un aiuto esterno, dato che non sarebbe stato capace di scrivere in un greco così elegante (Winkenhauser, 364), ma ammettendo senza obiezioni l'inautenticità della Seconda. Il suo autore avrebbe «preso in prestito» il nome di Pietro per conferire allo scritto (composto, per altro, quasi un secolo dopo la morte dell'Apostolo) una più elevata dignità, prassi comunemente ammessa dalle usanze letterarie del tempo (ibid., 372 sg.).

Tali consuetudini, però, permisero di apporre anche ad altre Epistole neotestamentarie i nomi dei primi apostoli Giacomo e Giovanni, che non ne erano gli autori; e di assegnare a Paolo le Epistole a Timoteo e a Tito, da lui mai scritte. Anche la Didaché o Dottrina dei 12 Apostoli, la cui riscoperta nel 1883 destò scalpore a livello internazionale, si presenta come l'insegnamento del Signore attraverso i 12 Apostoli, quantunque composta nel secondo secolo, come viene universalmente riconosciuto. E anche la Didaskalia siriaca è un regolamento ecclesiale del terzo secolo, ma si volle gabellarla come redatta dagli Apostoli durante il Concilio di Gerusalemme.

Sia consentito ancora un ultimo esempio delle consuetudini della storiografia antica: esse permisero al redattore degli Atti degli Apostoli di inventare tutti i discorsi in essa contenuti, i quali vanno senza alcun dubbio addebitati al compilatore non solo per la forma spesso abbreviata oggi a nostra disposizione (come si evince anche dalla loro durata di appena due minuti), ma anche per il contenuto concettuale, che esclude ogni possibilità di attribuzione all'autore degli Atti degli Apostoli 8. Egli fece uso, piuttosto, di quell'antico privilegio storiografico, ponendo sulla bocca dei suoi «eroi» predicazioni appropriate 9.

Ciò viene dimostrato inequivocabilmente già dal primo discorso di Pietro, il suo esordio: se diamo credito alla Bibbia, il suo intervento durò circa un minuto, limitandosi poi a raccontare, come dice esplicitamente, quel che tutti già sapevano: l'orribile fine di Giuda. E Pietro, da ebreo che si rivolge ad altri ebrei, dice:

«Ciò è ben noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, tanto che quel campo nella loro lingua ha mantenuto il nome di Hakeldamach, vale a dire Campo del sangue» (Atti 1, 19).

Ovviamente Pietro non può essersi espresso in questi termini; qui sta parlando l'autore, che informa i suoi lettori stranieri.

Dev'essere sottolineato che questi discorsi fittizi costituiscono circa un terzo degli Atti degli Apostoli, che ne rappresentano la materia teologica decisamente più rilevante, e che, infine, dal suo autore, il quale si identifica con il redattore del Vangelo di Luca (come viene generalmente ammesso) deriva più di un quarto del Nuovo Testamento.

Un rapido sguardo al Vecchio Testamento

E l'autenticità del Vecchio Testamento?

Nonostante gli studi abbiano da tempo dimostrato che, ad esempio, il Pentateuco, i cosiddetti Cinque Libri di Mosè, non possono essere di Mosè 10 (come riconosceva già Spinoza), la Chiesa cattolica insiste sulla sua paternità. Ma le parti più antiche di questi libri, talune sezioni dell'Esodo, giungono fino al IX secolo, mentre Mosè visse nel XIII o XIV secolo - anche ammesso che la sua figura sia storicamente attendibile, il che viene negato da non pochi studiosi moderni 11. A ogni modo, di lui non sono state tramandate testimonianze autentiche.

Contro la composizione del Pentateuco ad opera di Mosè depongono, per altro, alcuni toponimi nati certamente in epoca postmosaica (Bertholet, 322). La compilazione da parte di un solo autore è contraddetta, inoltre, da varie incongruenze, quali la definizione della durata del diluvio, che passa da 40 a 150 giorni, nonché da molti doppioni, come le due narrazioni della creazione, la duplice proibizione alimentare, il doppio Decalogo e altri passi. L'origine del Decalogo, i Dieci Comandamenti, che Dio avrebbe fatto avere a Mosè, viene posta dalla letteratura specialistica almeno mezzo millennio dopo la sua vita presunta, se non ancora più tardi 12. Parti consistenti del Pentateuco, non meno di circa 60 capp. del Secondo, Terzo, Quarto Libro, attribuiti a Mosè, vissuto presumibilmente nel XIII o XIV secolo a.C., furono prodotti o collazionati da sacerdoti ebrei addirittura dopo il sec. V 13. Allo stesso modo, scritti risalenti al II e al I secolo a. C. furono attribuiti a Davide o a suo figlio Salomone, benché costoro siano vissuti quasi un millennio prima, precisamente nel sec. X.

Quali furono i presupposti dei Vangeli?

Anche i Vangeli furono tramandati anonimi e solo in un secondo momento la Chiesa attribuì loro i nomi degli autori. Il più antico, nato forse a Roma presumibilmente fra il 70 e l'80 14, avrebbe avuto come autore Giovanni Marco, il compagno di Pietro; tesi sostenuta, invero, per la prima volta da Papias di Ierapoli nel 140 15. Il vescovo Papias dichiara anche, però, che Marco non avrebbe personalmente ascoltato Gesù, ma si sarebbe limitato a trascriverne gli insegnamenti, basandosi sul ricordo delle narrazioni di Pietro, certamente, com'è ovvio, dopo la sua morte 16.

Chiunque sia stato, in ogni caso, l'autore di questo Vangelo più antico, egli non fu un testimone oculare. E a questo punto ci imbattiamo in un fatto di primaria importanza, cioè che all'inizio della tradizione su Gesù si trova non la scrittura, ma l'oralità; non il Vangelo, bensì una decennale tradizione orale; dunque non siamo in possesso della dottrina di Gesù senza mediazioni, ma puramente e semplicemente di informazioni che la concernono. Secondo un punto di vista universalmente accolto, la cristianità palestinese più antica non trascrisse nemmeno una parola di Gesù: la persona storica, il «Cristo secondo la carne», come testimonia anche Paolo (2 Cor. 5, 16), non attirò affatto il loro interesse: essa attendeva il ritorno del Signore.

E in principio mancò anche una storia orale coerente dell'opera di Gesù. La trasmissione letteralmente fedele di un racconto complesso è esclusa in una tradizione orale popolaresca, anche presso gli orientali, i quali dimostrano indubbiamente un certo grado di perfezione nella trasmissione di narrazioni non-scritte. È presumibile, piuttosto, che in un primo momento, dopo la morte di Gesù circolassero singoli frammenti, piccole unità narrative, parabole, massime o gruppi di massime, storie isolate, che in seguito vennero ricomposte e accorpate come in un mosaico. Ciò è dimostrato dalla moderna critica storico-formale dei Vangeli, che qui non è possibile trattare nei dettagli.

I «discorsi» evangelici, della Montagna, della Missione degli Apostoli ecc. non furono mai pronunciati da Gesù in questo modo; gli Evangelisti li hanno collazionati, attingendo al patrimonio di massime più antico o - come dice un teologo (Jülicher, 55), che vorrebbe evitare il termine «falsificazione», benché formalmente appropriato - «esso stesso composto da frammenti d'ogni sorta». Nel Discorso di Gesù in Matteo, anche uno studioso cattolico (Wikenhauser, 133) scorge solo «composizioni letterarie». Delle massime del Discorso della montagna, ad esempio, non si sa né a chi fossero state originariamente indirizzate né in quale occasione fossero state pronunciate 17.

Fu Matteo a metterle per la prima volta insieme nella forma a noi tramandata (Mt. 5, 3-7, 27). Dei 107 versetti che compongono in Matteo il Discorso della montagna, Luca, che non ha il minimo sentore della sua esistenza, riporta 27 versetti nel capitolo 6, 12 nell'11, 14 nel 12, 3 nel 13, 1 nel 14, 3 nel 16; 47 versetti sono del tutto assenti 18. Il Discorso della montagna manca completamente sia in Marco che in Giovanni.

Il patrimonio delle tradizioni alla base dei Vangeli non venne tramandato inalterato nei decenni intercorsi fra la morte di Gesù e la redazione del Vangelo più antico, perché nel frattempo la memoria di Gesù, com'è naturale, si trasformò in leggenda popolare 19 e certe esagerazioni e una più ampia esaltazione della sua figura non possono non essersi verificate. Tale fenomeno avrà avuto inizio già nei primissimi tempi: in realtà, è innegabile che qualsiasi tradizione orale soggiaccia a leggi evolutive universali, a un «movimento», vale a dire a un mutamento, a una variazione, e che una trasmissione diluita nel tempo modifichi necessariamente la narrazione da un giorno all'altro, e più che mai nel corso di molti anni. Un'azione riplasmatrice avviene a causa del temperamento dell'emittente, il quale svolge un ruolo meramente passivo solo in casi eccezionali. Il che vale specialmente per gli uomini di quell'epoca, caratterizzata dalla superstizione e da una religiosità esaltata, e ancor più per i primi cristiani che, provenienti dagli strati più bassi della popolazione, erano assolutamente ingenui e privi di spirito critico (Goguel, 96).

La figura di Gesù assunse tratti sempre più idealizzati nei Vangeli più recenti, tanto più, poi, che essa era già stata ingigantita dalla collettività primitiva dei cristiani ancor prima di Marco, adattata, per dirla col teologo Leipoldt, «non di rado ai bisogni e alle attese della comunità» (Jesus u. Paulus, 9). Un altro teologo, Knopf, aggiunge che immediatamente dopo la morte di Gesù «si disse tutto il bene possibile... e una parte di tali asserzioni venne espressa già da coloro che lo avevano visto e conosciuto» (Einführungen, 309). E così, come scrive il teologo Pfannmüller (30), la sua immagine venne già «modificata nei tratti essenziali nei Vangeli in nostro possesso», ovvero, come si esprime il teologo Hirsch, «fu fantasiosamente esaltata» 20.

Gli Evangelisti non descrissero Gesù quale fu, ma, come sostiene il teologo Jülicher, «quale i bisogni dei fedeli desideravano che fosse» (355).

Conseguenza logica di tale evoluzione fu in un primo tempo la diffusione frammentaria di racconti intorno a Gesù da parte di predicatori a mero scopo edificante,e in un secondo tempo la raccolta di questi florilegi ad opera degli Evangelisti.



Come operò il più antico Evangelista?

Sembra che il primo a intraprendere la raccolta organica delle narrazioni intorno a Gesù, precedentemente isolate e frammentarie, sia stato l'autore del Vangelo di Marco. Resta sub iudice il problema se abbia lavorato su un ciclo più antico di racconti, il cosiddetto UrMarkus, come ipotizzano alcuni studiosi 21; in ogni caso Marco, o chiunque si celi dietro questo nome, è il primo degli Evangelisti a noi noti 22.

Ma la sua priorità non sempre fu riconosciuta: a partire da Agostino (De consensu Evangelistarum 1, 2) la Chiesa considerò il Vangelo di Marco un semplice estratto del Vangelo di Matteo, ritenuto più antico, e tale opinione errata dominò per più di 1500 anni, allorché per la prima volta nel 1835 il filologo Karl Lachmann sostenne la priorità di Marco e la sua utilizzazione da parte di Luca e di Matteo 23, e tre anni dopo il filosofo Christian Hermann Weiße e il teologo Christian Gottlieb Wilke, indipendentemente l'uno dall'altro, ne dimostrarono la fondatezza 24.

Dunque, il processo vero e proprio di elaborazione letteraria nel Cristianesimo ebbe inizio con Marco, ma il suo Vangelo non venne trascritto d'un tratto, bensì fu collazionato sulla base degli aneddoti diffusi sulla vita di Gesù. Tuttavia, questo scrittore non si limitò a raccogliere e ordinare il materiale come lo trovò, ma creò il quadro globale della storia evangelica. Infatti era perlopiù ignorato, com'è ovvio, in quale precisa occasione potesse essere stato pronunciato un certo motto del Signore, perché il quando interessava ben poco e anche il dove era spesso incerto. E così Marco raggruppò secondo un criterio personale il materiale narrativo a disposizione, rielaborandolo e completandolo, colmando le lacune delle componenti tradizionali mediante osservazioni circostanziate e narrazioni specifiche inventate, e dando vita in tal modo a una topografia apparentemente sicura e a un racconto cronologicamente ordinato. Ma il patrimonio della tradizione, ed è questo l'aspetto più importante, attraverso la sua rielaborazione venne collocato in una visuale determinata, come fecero poi anche Matteo e Luca, per cui ogni evangelista fu autorizzato a darne una interpretazione differenziata.

Già in Marco, però, è singolare il fatto che, per dirla con uno dei più eminenti studiosi moderni della Bibbia, il teologo Martin Dibelius, manchi «qualsiasi traccia di ricordo personale» 25. I primissimi resoconti cristiani non hanno «conservato alcun materiale biografico degno di tale nome» 26. Se adesso ci domandiamo quale sia stato il rapporto del Vangelo di Marco con quelli di Matteo e di Luca, ci imbattiamo nella cosiddetta

Teoria delle due fonti

La teoria della duplicità delle fonti [Zwei-Quellen-Theorie], elaborata per circa un secolo dalla scienza specialistica, oggi viene pressoché universalmente riconosciuta e accreditata (naturalmente, non da parte dei cattolici). Sulla scorta di tale teoria 27, Marco fu la fonte di Matteo, cui la Chiesa cattolica attribuisce la priorità cronologica, e di Luca: il Vangelo di Matteo, composto da 1068 versetti, ne attinse circa 620 dal Vangelo di Marco, composto a sua volta da 661 versetti 28; e il Vangelo di Luca, 1149 versetti, ne prese da Marco circa 350.

Le concordanze dei tre Vangeli derivano, dunque, dalla comune dipendenza di Matteo e di Luca da Marco. Essi possiedono la medesima successione di eventi e numerose espressioni suonano pressoché identiche: si tratta di un'affinità, che spesso riguarda anche i dettagli più insignificanti.

E che ciò non sia il risultato d'un'ispirazione divina dimostrano parecchie divergenze e gravissime contraddizioni concrete. Limitiamoci, per ora, ad accennarne alcune: le narrazioni concernenti l'infanzia sono inconciliabili in Matteo e in Luca: in Matteo il domicilio della famiglia di Gesù è Betlemme, in Luca Nazareth; il racconto della fuga in Egitto e la visita dei Magi d'Oriente fatto da Matteo non concorda con quello di Luca; gli alberi genealogici di Gesù si contraddicono grossolanamente, e nelle descrizioni della sua attività pubblica riscontriamo differenze a ogni passo, come sono costretti ad ammettere anche teologi tradizionalisti (Feine-Behm).

Matteo e Luca, inoltre, non utilizzano solo l'opera di Marco, ma anche una raccolta di detti di Gesù, che gli studiosi indicano con la sigla Q (Quelle) e che pare relativamente attendibile circa la dottrina di Gesù, ma che non esiste ormai più. Si tratta di un riferimento meramente ipotetico, che è possibile evincere approssimativamente dai passi comuni a Matteo e a Luca non presenti in Marco (circa 235 versetti). Ma a giudizio della teologia critica, neanche questa raccolta così attendibile, ma purtroppo solo ipotetica, di frasi di Gesù, composta, secondo la maggior parte degli studiosi, ancor prima del Vangelo più antico, intorno al 60/70, venne redatta con intenti ispirati a un autentico interesse storiografico 29. Né sono mancati coloro che hanno contestato l'esistenza di questa fonte scritta 30.

E infine, Matteo e Luca presentano ciascuno talvolta un materiale narrativo specifico, esclusivo di ognuno di essi: in Matteo (1068 versetti) esso comprende circa 330 versetti, in Luca (1149 versetti) circa 550, la cui provenienza rimane sconosciuta agli studiosi: ciò può basarsi sulla tradizione, ma potrebbe anche essere un'invenzione propria degli Evangelisti stessi.

È questa la soluzione, elaborata da generazioni di studiosi e riconosciuta quasi universalmente, del problema estremamente complesso della Sinossi. Siamo costretti a rinunciare all'analisi di altre ipotesi meno convincenti e fondate.

In seguito alla dipendenza inequivocabilmente dimostrata dei Vangeli più recenti, di quelle edizioni accresciute e corrette, come dice il teologo Lietzmann (Geschichte der alten Kirche, 2, 61), è possibile, in ogni caso, stabilire esattamente le modifiche, le aggiunte, le omissioni, i ritocchi subiti dal testo di Marco ad opera di Matteo e di Luca. Non sarà difficile mostrare che tali correzioni non dipendono solo dal miglioramento dello stile e della grammatica, coi quali Marco aveva il suo bel daffare, ma da precise scelte interpretative.

Note e riferimenti

1 Dibelius, Botschaft u. Geschichte, I, 298. Werner, Die Entstehung, 65. Goguel, 73.
2 Papias in Euseb. h. e. 3, 39,16. Iren. adv. haer. 3, 1, 1; in Euseb. h. e. 5, 8, 2.
3 Schneider, Geistesgeschichte, II, 20, nota 1.
4 Herder, Werke, 12, sez. 38.
5 2 Cor. 9, 1-5. Cfr. anche 2 Thess. 3, 8 - epistola che non è, probabilmente, paolina - con Phil. 4, 16. Inoltre M. Smith, 111, nota 10.
6 Munck, Paulus u. die Heilsgeschichte, 76 sg. Cfr. inoltre anche la recensione di questo libro fatta da Bultmann, Theologische Literaturzeitung, luglio 1959, 481 sgg. Vedi anche il rimando a Paolo e l'analogo atteggiamento in Clem. Al., str. 7, 8.
7 Joh. Chrysost. sacerd., 1, 8 f. Cfr. anche hom. 22 in Gen.
8 Haenchen, Die Apostelgeschichte, 95. Cfr. anche Jülicher, 437 sgg. Hommel, 152 sgg. Wellhauser, Kritische Analyse, 35. Vielhauser, Zu «Paulinismus» der apostelgeschichte, 2 sgg. E in generale cfr. Dibelius, Die Reden der Apostelgeschichte u. die antike Geschichtsschreibung, 1949. Sul valore o meno delle fonti degli Atti degli Apostoli cfr. anche Haenchen, Tradition u. Komposition in der apostegeschichte, 205 sgg. Wagenmann, 71 sgg.
9 Haenchen, Apostelgeschichte, 96 sg. Del tutto analogamente Hommel, 154. Cfr. anche A. Schweitzer, Die Mystik der Apostels Paulus, 6 sgg. Norden, Agnostos Theos, 1 sg.
10 Cfr. ad esempio C. Kuhl, Die Entstehung des A. Ts., 53 sgg.
11 Così, ad. es., B.G. Hölscher, 86. Cfr. in proposito soprattutto Asswald, 132 sgg; 479; 482 sgg. Cfr. anche 173 sgg., specialmente 182. L'autrice non dubita della storicítà di Mosè (p. 485). Circa l'epoca dell'origine della Genesi, vedi ad es. Eissfeldt, Die Genesis der Genesis, 26 sgg.
12 Hölscher, 129. J. Meinhold, Der Dekalog, 15. Menes, 47 sgg.
13 Delitzsch, Die große Täuschung, 1, 52 sg. Cfr. anche Mensching,
Leben u. Legende, 24 sg.
14 Cfr. ad esempio Taylor, 32 e 44 sg.
15 In Euseb. h. e. 3, 39, 15. Gli altri attestati della Chiesa antica a favore di Marco, accompagnati dalla citazione dei passi, sono riportati dallo stesso Taylor, 3 sgg.
16 Ibidem. Inoltre Wikenhauser, 117.
17 Dibelius, Botschaft u. Gerschichte, I 306. Cfr. anche, dello stesso autore, Die Botschaft von Jesus Christus, 123 sg. Klostermann, Matthäusevangelium, 33.
18 Secondo Kausner, Jesus von Nazareth, 94 sg.
19 Dibelius, Botschaft u. Geschichte, I, 306. Cfr. anche Id., Die Botschaft von Jesus Christus, 123 seg; Klostermann, Matthäusevangelium, 33.
20 Hirsch, Frühgeschichte des Evangeliums, II, 293 seg.
21 E. Wendling, Ur-Markus, 1905. Die Entstehung des Markusevangelium, 1908. H. v. Soden, Die wichtigsten Fragen im Leben Jesu, 2 ed. 1907. W. Bussmann, Synoptische Studien, 19251931 e altri. Cfr. il sommario e la critica in Taylor, 67 sgg.
22 Sulla priorità di Marco vedi ad esempio Streeter, 151 sg.; 157 sgg.
23 Cfr. anche Koppe, Marcus non epitomator Matthaei, 1782 e Storr, Über den Zweck der evangelischen Geschichten u. der Briefe Johannes, 1786.
24 C.G. Wilke, Der Urevangelist, 1838. C.H. Weisse, Die evangelische Geschichte kritisch und philosophisch bearbeitet, 1838.
25 Dibelius, Die Botschaft von Jesus Christus, 120. Cfr. anche Goguel, 137 sgg. Sul lavoro dei redattori, vedi ad. es. Karneztki, 175 sgg.
26 Dibelius, Botschaft u. Geschichte, I, 333.
27 L'opera classica sull'argomento, Wernle, Die synoptische Frage, 1899, deve molto alle ricerche di H.J. Holtzmann, Die synoptischen Evangelien, 1863 e di B. Weiss, Markus-Evangelien, 1872; Matthäus-Evangelium, 1876.
28 Senza la conclusione spuria Mc. 16, 9 sgg.
29 Dibelius, Botschaft u. Geschichte, 313. Cfr. anche Id., Formgeschicht, 236; Jülicher, 337 sgg.
30 Così Jeremias, Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft,
29/1930, 147 sgg.

anticristiano.altervista.org/popup.php?a=2&q=20070924223222



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