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Le donne del Drive In ora la sinistra le biasima. Leggete cosa dicevano...

Ultimo Aggiornamento: 28/02/2011 10:41
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Madre Badessa
25/02/2011 18:07
 
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Drive indi Francesco Maria Del Vigo.
Le scollacciate ragazze fast food ora per la sinistra sono un simbolo della corruzione dei costumi, ma negli anni 80 le veneravano tutti da Umberto Eco a Federico Fellini.  
Ora le biasimano, ma prima le adoravano. Ora sono simbolo della decadenza dei costumi, prima erano l’ultimo traguardo della liberazione femminista. Sono le ragazze “fast food”, quelle che ora la sinistra spaccia come truppe “mammellate” del Cav. Facciamo un passo indietro di trent’anni: il Paninaro, il Tenerone, Vito Catozzo, la Milano da bere e la Roma da rubare sfottute a destra e a manca, Gianfranco D’Angelo, Ezio Greggio, Giorgio Faletti, Lory Del Santo e tante tante belle ragazze. Scosciate, scollate e pure un po’scostumate. Giovani donne che hanno turbato i sonni di molti italiani e, a quanto pare, anche le letture di molte belle anime della sinistra intellettuale. Alzi la mano chi non se lo ricorda… E’ il Drive in.  A suo modo una scuola di libertà ed emancipazione.

 Oggi, a distanza di trent’anni, nella crociata moraleggiante della sinistra cade sotto i colpi dei puritani anche questo totem degli anni 80. Sono mesi che sulle colonne di Repubblica serpeggia un’idea di sociologia spicciola: Berlusconi ci ha portato dall’Italia del Drive in a quella del Bunga Bunga. Tutta colpa delle ragazze fast food. Silvio-Moloch accorciando una gonna, riducendo un tanga e comprimendo un decollete avrebbe iniziato nei lontani anni Ottanta a circuire il popolo italico. Dietrologia ormonale: alta semiotica. E dove non arriva nemmeno la sinistra ci sono già i finiani: “La destra non si riconoscerà mai nel modello Drive in”, scrive oggi Luciano Lanna sul Secolo d’Italia, innalzando lo show satirico a un sistema di pensiero.

Nello spettacolo libertario di ItaliaUno la sinistra di oggi vede il germe della “decadenza dei tempi”. E allora, nell’Italia del reflusso e dell’edonismo reaganiano, cosa dicevano i pensatori radical chic? Non era esattamente così, come ha sottolineato il sito TheFrontpage. Diamo un’occhiata. Partiamo da Federico Fellini, grande regista e intellettuale non certo in odore di berlusconismo. Parla dalle colonne dell’Unità il 23 Febbraio del 1986: “Drive in è l’unico programma per cui vale la pena di avere la tv”. Una promozione a pieni voti. Fa professione di fede anche Beniamino Placido il noto critico di Repubblica, è il 10 marzo del 1987: “La scatenata trasmissione di Italia 1, una trasmissione alla quale mi sono affezionato lentamente – lo confesso-, ma stabilmente”. Pure Oreste Del Buono sposa involontariamente la tesi che vede Berlusconi come l’editore più liberale in circolazione e lo fa sul Corsera nel 1988: “E’ la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in televisione”.

E poi la vera consacrazione, quella definitiva, nasce dall’incontro tra i due principi dell’intellighenzia della gauche caviar. Immaginatevi la scena: il Semiologo e il Fondatore impegnati in un faccia a faccia sulla tv: “Pensa a una trasmissione come Drive in, al suo ritmo, alla quantità di cose che riesce a far vedere in due minuti e paragona due minuti di Drive in a due minuti della vecchia televisione. Un salto da fantascienza, no? Eppure a quanto pare la cosa non ha provocato traumi, noi siamo passati dal ritmo di valzer a quello di rock’n roll senza perdere nessuna memoria”. Eugenio Scalfari è incalzato così da Umberto Eco che, probabilmente, tra una pagina e l’altra di Kant trovava tempo per dare una sbirciata alle gambe dello Stivale. Un po’ come dire che per il femminismo Antonio Ricci ha fatto più di Lidia Ravera. D’altronde era la sinistra che vedeva in un seno scoperto un atto rivoluzionario e quindi Gianfranco D’Angelo poteva anche diventare una specie di Che Guevara mediatico. Ma oggi è cambiato tutto ed è cambiata anche la sinistra. In periodi di “inquisizione” anche il Drive In diventa uno strumento per bacchettare e interpretare la realtà in chiave antiCav.

Il Giornale





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