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"Da Gesù al Cristianesimo"

Ultimo Aggiornamento: 22/10/2011 08:11
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Padre Guardiano
22/10/2011 08:11
 
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Posto questo scritto perchè lo ritengo molto formante e ben fatto!!!


Per gentile concessione dell'Editrice Morcelliana anticipiamo dal libro di Mauro Pesce "Da Gesù al Cristianesimo" un brano del capitolo conclusivo intitolato "Gesù fondatore del cristianesimo? I problemi di cui Gesù non aveva parlato".

Perchè il regno di Dio non viene?

di Mauro Pesce

Di fronte al non verificarsi dell’avvento del regno di Dio le risposte furono molteplici e molto diverse fra loro e non poterono fare appello a Gesù.

L’Apocalisse testimonia una risposta che mantiene la speranza di Gesù nel regno di Dio futuro e universale (Ap 11,5). Giovanni attende l’avvento del regno di Dio che coincide ai suoi occhi con il regno di Israele (7,4; 21,12), come nella visione danielica del quinto regno. Il dramma a cui il libro vuole rispondere sta nel fatto che il regno non è ancora venuto. I gentili sono ancora al potere e hanno ancora la forza di perseguitare e distruggere i seguaci di Gesù. L’Apocalisse tiene però fede alla credenza che il regno di Dio/di Israele verrà. Certo, già da ora i seguaci dell’agnello regnano (1,6; 1,9; 11,15; 12,10) ma si tratta di un regno nascosto, celeste, che non si manifesta storicamente e socialmente. È perciò necessaria la guerra finale. I re gentili di tutta la terra si raduneranno per la guerra del giorno grande di Dio (16,12-16), il quale finalmente vincerà. Poi inizierà il periodo messianico di mille anni (20,2), a cui seguirà un’ultima rivolta delle forze del male, infine totalmente sconfitte (20,7-10).

Nel Vangelo di Tommaso, invece, il regno di Dio non è più una realtà storica, sociale e cosmica:
«Dice Gesù: “se quelli che vi guidano vi diranno: ecco il regno è nei cieli, gli uccelli del cielo vi precederanno. Se invece diranno che è sulla terra verranno i pesci del mare vi anticiperanno e il regno di Dio è dentro e fuori di voi. Chi conosce se stesso lo troverà e allora voi arriverete a conoscere che siete figli del padre, il vivente”» (Tommaso 3, Papiro di Ossirinco 654, 9-21).

Anche in Paolo la «nuova creazione» (2Cor 5,17 e Gal 6,15) è un fatto interiore che riguarda solo il singolo come nelle religioni di mistero, anche se in Rm 8,22 appare una aspirazione cosmica alla redenzione. Nella Lettera pseudopaolina a Tito la «palingenesi», il rinnovamento storico di cui parlava il Gesù di Mt 19,28, è diventata solo un fatto puramente interiore che riguarda il singolo: consiste in un rinnovamento interiore tramite lo Spirito santo (Tt 3,5).
Per Gesù l’avvento del regno universale di Dio era centrale, mentre il tema della risurrezione era secondario. Gesù parla della risurrezione solo nel dibattito con i sadducei: cfr. Mc 12,18-27 // Lc 20,27-33 // Mt 22,23-31.
Le predizioni della propria risurrezione (Mc 8,31; 9,31;10,34 // Mt 16,21; 17,19; 20,19 // Lc 9,22; cfr. Gv 3,14; 8,27; 12,32.34) potrebbero essere secondarie e redazionali, ma anche il discorso sul segno di Giona sembra riferirsi alla risurrezione di Gesù (cfr. Lc 11,29-32; Mt 12,39-41;16,4).

Quando Gesù dopo la trasfigurazione parla della sua risurrezione (Mc 9,9-10), i tre discepoli sembrano addirittura non capire di cosa si tratti. In tutto il pensiero di Gesù il tema della risurrezione non sembra avere un ruolo sistemico fondamentale.
Ben presto (in Paolo prima e poi nel Vangelo di Giovanni) il tema della risurrezione divenne, invece, prevalente su quello del regno di Dio.
In Paolo, il tema del regno di Dio sembra abbastanza secondario (1Ts 2:12; 1Cor 4, 20;6,9-10;15,24.50; Gal 5,21; Col 4:11; 2Ts 1,5), mentre il concetto centrale, il punto di Archimede di tutto il suo pensare teologico, è la risurrezione:
«Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli» (1Cor 15,3-7).

«Se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,12-17).
La domanda a cui dovremmo rispondere è allora: come mai Gesù parla così poco della risurrezione e con un ruolo marginale nel suo pensiero, mentre Paolo ne parla così tanto e con un ruolo così centrale?

Il fatto è che c’è una radicale differenza tra regno di Dio e risurrezione. Gesù predicava il regno di Dio Paolo invece la risurrezione di Cristo.
«Il regno di Dio è imminente. Convertitevi e credete all’annuncio» diceva il Gesù del Vangelo di Marco (1,14). Paolo invece annunciava: «Gesù è morto per i nostri peccati secondo le Scritture ed è risuscitato secondo le Scritture» (1Cor 15,3-5). Gesù annunciava l’intervento di Dio, Paolo la risurrezione di Gesù.
Gesù è tutto concentrato su Dio e il suo intervento e su ciò che bisogna fare nell’attesa del radicale cambiamento che questo intervento provocherà.
Quando Dio verrà finalmente a regnare, questo mondo (dominato dall’ingiustizia) sarà necessariamente finito. Paolo è tutto concentrato su Cristo e sulla salvezza che la sua risurrezione ha già portato.

La predicazione di Gesù era escatologica perché l’avvento del regno di Dio porterà intrinsecamente con sé la fine di questo mondo. Certo, anche quella di Paolo è escatologica, perché la risurrezione è un evento che si realizza alla fine di questo mondo, ma la fine è già avvenuta o ha già cominciato a venire con la risurrezione di Gesù. Quindi Paolo guarda non solo al futuro, ma anche al passato, anzi: il suo punto di forza è nel passato.
La risurrezione di Gesù, infatti, è l’inizio della risurrezione universale. Se un morto è risorto, significa che sono iniziati i tempi della risurrezione universale («Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti», 1Cor 15,20): la fine è chiaramente arrivata.
L’evento della risurrezione finale dei morti era uno degli eventi del sistema simbolico concettuale escatologico di gran parte del giudaismo del I secolo. È allora evidente che, se la risurrezione viene collocata prima dell’avvento del regno di Dio, essa finirà per mettere in ombra e soppiantare il regno. Di fatti, in Paolo, Gesù è concepito come “Signore”, Kyrios.

Un signore che domina già, seppure solo nei cieli. Paolo mantiene la differenza tra regno di Cristo e regno di Dio (1Cor 15,23-28). Ma il dominio del “Signore Gesù” e di Dio sembra essere soprattutto di tipo cosmico: il dominio sulle potenze e soprattutto sulla morte (sconfitta la quale avverrà la fine). In sostanza, anche in Paolo come nell’Apocalisse, viene mantenuta la distinzione tra un regno di Cristo nei cieli, in assenza del regno di Dio in terra, a cui succederà poi il regno totale di Dio. Ma, a differenza dall’Apocalisse, il regno di Dio totale e futuro sembra essere di carattere celeste (esattamente come i corpi della risurrezione sono corpi «celesti» e non «terrestri», secondo Paolo in 1Cor 15,40).

La differenza con Gesù è incalcolabile. Per Gesù il perdono dei peccati avviene tramite un rapporto trilaterale tra Dio che perdona l’uomo e l’uomo che perdona il suo prossimo: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori» (Mt 6,12). Per Paolo, solo con la risurrezione di Cristo i peccati degli uomini sono perdonati da Dio. La frase di Paolo non lascia dubbi: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,17). È come se Paolo non conoscesse neppure il Padre nostro del quale del resto non c’è alcuna traccia nel suo epistolario. Non è Gesù prima della sua morte che rimette i peccati (Mc 2,5.10), non è neppure il rapporto trilaterale tra Dio me e il prossimo che cancella il peccato (Mt 6,12), ma la risurrezione di Cristo.

In realtà, Paolo concepisce morte e risurrezione di Gesù come un unico inscindibile atto salvifico operato da Dio. La morte opera la cancellazione dei peccati (espiazione nel suo sangue dice in Rm 3,25), ma se Dio non avesse risuscitato Gesù la sua morte sarebbe rimasta senza significato. La risurrezione mostra che Dio ha dato valore a quella morte, il fatto di essere risuscitato da Dio evidenzia il fatto che anche la sua morte è voluta da Dio e che opera la cancellazione dei peccati. Ma, come R. Penna afferma, il tema delle risurrezione e della giustificazione, legato ad essa, è tipicamente paolino. Ciò potrebbe significare che è Paolo ad attribuire un inscindibile rapporto tra morte e risurrezione tanto da non poter più isolare la morte e il suo significato dalla risurrezione.
In Giovanni, poi, lo scopo fondamentale della esperienza religiosa non è il regno di Dio, ma è la rinascita (cfr. Gv 1,12-13). Anche in questo modo veniva a perdersi la speranza di un rinnovamento radicale della storia.

In conclusione, il cristianesimo è una religione che marginalizzerà l’attesa di Gesù di un regno di Dio storico e cosmico e marginalizzerà anche le risposte di quei seguaci di Gesù che mantenevano l’aspetto politico, storico e giudaico del concetto di regno di Dio. È una religione per la quale il regno di Dio non è più il concetto, l’aspirazione centrale e fondamentale.
È un sistema religioso in cui l’attesa della realtà imminente si attenua ed è prevalentemente sostituita dalla salvezza già avvenuta con Gesù Cristo e dalla salvezza ultraterrena concepita spesso come un fatto che si verifica immediatamente dopo la morte.

Anche in questo caso, Gesù non può essere considerato il fondatore del cristianesimo, nonostante che il cristianesimo mantenga un contatto con il concetto di regno di Dio, seppure in una maniera fortemente spiritualizzata e destoricizzata rispetto a Gesù e a diverse correnti dei suoi seguaci (ad esempio i millenaristi).

(20 ottobre 2011)

Fonte: Micromega.net


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