Fatti o interpretazioni?

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pcerini
00mercoledì 27 agosto 2008 19:28
Una piccola considerazione.

Anche l'ermeneutica contemporanea non sfugge ad una banale considerazione: si dice che non esistono i fatti, ma solo interpretazioni di essi.

Ma una simile affermazione,come dovrebbe essere considerata,allora? Anche essa e' una interpretazione o una verita?

Se e' una verita',essa e' come se negasse se stessa,se si considera se' stessa come interpretazione invece che verita',allora non puo' essere una base di riferimento valida.

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pcerini
00mercoledì 10 settembre 2008 10:34
Altrove sostenevo i rischi del riduzionismo ermeneutico, in quanto, ritenere l'esistenza non di fatti ma di sole interpretazioni, porta come conseguenza la negazione stessa dell'interpretazione,della storia,della realta',etc,etc,etc,l'ermeneutica ha i suoi limiti in tale palese contraddizione.

Personale riflessione,ovviamente.

spirito!libero
00mercoledì 10 settembre 2008 18:23
Interessanti riflessioni Paolo.

Come sempre, a mio avviso, occorre prendere ogni proposizione apodittica come quella che citi in merito ai fatti e alle interpretazioni "cum grano salis"

Cioè, al contrario di chi ha "voglia di totalità" (ogni riferimento a personaggi è puramente voluto) io ho voglia di semplicità, di concretezza, di ragionevolezza e non pretendo di giungere alla "totalità". Ne consegue che non predicherò mai l'unversalità e la totalità della verità di una proposizione.

Questo è proprio il caso dell'enunciato in questione : "non esistono i fatti, ma solo interpretazioni di essi"

I fatti esistono, ed esistono anche le interpretazioni. Diciamo che un fatto è sempre intriso anche di una buona parte di interpretazione, ma, c'è un ma fondamentale, il fatto è avvenuto ed è li, indipendentemetne dalle nostre interpretazioni. Ognuno di noi lo può osservare e quando tenterà di descriverlo, ovviamente, in parte procederà ad una interpretazione, anche solo scegliendo le parole con le quali lo descriverà.

Questo non significa però che il fatto in se non esista ne che colui che ascolterà la descrizione del fatto non colga il fatto in se ! Se si descrive un omicidio, vi saranno certamente delle interpretazioni, ma che l'uomo sia morto ammazzato è un fatto che giunge, insieme alle interpretazioni, all'ascoltatore del racconto.

Si può interpretare come si vuole, ma il tizio è morto e non ci piove.

Tieni presente inoltre che se si prende l'enunciato per totalmente ed universalmente vero si cade nella classica confutazione da te esposta.

Saluti
Andrea
=omegabible=
00mercoledì 10 settembre 2008 18:56
re

Osservazioni giustissime ed interamente condivisibili!!!! [SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]

"cum grano salis" è il salis che manca spesso e volentieri!!! [SM=x789056]


omega [SM=x789054] [SM=x789054] [SM=x789054]
pcerini
00sabato 24 gennaio 2009 23:58
Sapete,una volta dissi con sarcasmo al noto interlocutore sostenitore dell'inesistenza dei fatti:

benissimo,se sei convinto che i fatti non esistono,allora,se un giorno dovesse morire uno dei tuoi cari,tienilo pure a casa per dei mesi fino al completamento del processo di putrefazione,dato che sei convinto che la morte non esiste come fatto....

A volte,una dose di sano sarcasmo e' quello che ci vuole in certi casi....

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Topsy
00domenica 25 gennaio 2009 20:48

Mi chiedevo perchè coloro che propongono affermazioni simili, per "dimostrare" la storicità del personaggio Gesù, non possono poi fare a meno di appellarsi alle "fonti storiche"?
Fonti storiche = l'insieme di "eventi" umani considerati nel loro svolgimento; narrazione sistematica dei "fatti" memorabili della collettività umana fatta in base a un metodo d'indagine critica; narrazione di "fatti" d'ordine politico, sociale, religioso, economico e sim. ect?
[SM=g27833]

spirito!libero
00domenica 25 gennaio 2009 22:18
Re:
Topsy, 25/01/2009 20.48:


Mi chiedevo perchè coloro che propongono affermazioni simili, per "dimostrare" la storicità del personaggio Gesù, non possono poi fare a meno di appellarsi alle "fonti storiche"?
Fonti storiche = l'insieme di "eventi" umani considerati nel loro svolgimento; narrazione sistematica dei "fatti" memorabili della collettività umana fatta in base a un metodo d'indagine critica; narrazione di "fatti" d'ordine politico, sociale, religioso, economico e sim. ect?
[SM=g27833]





E già, Questa è una della grandi contraddizioni dei relativisti estremisti che negano i fatti, ovvero i fautori del "tutto è interpretazione".

Non si rendono conto che eliminando il concetto di fatto non si può più dire niente su nulla, si giunge cioé al totale annientamento dell'esistenza stessa (nichilismo, solipsismo)

Saluti
Andrea
Bicchiere mezzo pieno
00lunedì 26 gennaio 2009 08:53
Se mi permettete di fare una considerazione un po' OT su questo argomento, vorrei sottolineare che molto spesso alcuni sostenitori dell'assoluto in campo religioso utilizzano il genere di argomentazioni proposto da pcerini per sconfessare la posizione relativista degli agnostici e degli atei.

In sostanza, rifacendosi a Platone, essi dicono che 'se la verità è relativa', allora è anche relativo che anche la verità è relativa. Ne conseguirebbe, a loro dire, che il relativismo si autoconfuta da solo.

Peccato che tali sostenitori platoniani allo stesso tempo credano che non esistano fatti ma solo interpretazioni, il che seguendo il principio di ragionamento fatto da Paolo, cozza contro il loro Platone e la denuncia alla relatività.
Se approvano il relativismo nel campo dell'ermeneutica non vedo perchè dovrebbero disconoscerlo nel campo della conoscenza religiosa cristiana.

Come mai il metro di misura cambia?

Invece io dico che Platone e i suoi sostenitori in realtà non hanno affatto confutato il relativismo (che poi il relativismo non è una confutazione dell'esistenza di un assoluto in sè ma semplicemente la banale constatazione dell'impossibilità della mente umana di poterlo conoscere e il consequenziale riconoscimento che esistano più verità parziali a seconda del punto di riferimento adottato - è per questo che ha molte analogie con l'ermeneutica!). Ovviamente la frase 'la verità è relativa' implica un ragionamento a più piani.
Da un piano più alto in cui si emette il giudizio si valuta quel che è la verità. Perciò la verità è relativa ma il fatto che io dica che è relativa non è a sua volta relativo perchè la mia affermazione proviene da un piano che trascende l'oggetto (la verità in questo caso) di cui io stesso sto parlando.

Se no dovrebbee essere un paradosso anche dire 'l'unica certezza è che non c'è certezza'. ma sappiamo che così non è.

Un caro saluti a tutti da Bikky
spirito!libero
00lunedì 26 gennaio 2009 09:49
Re:
Bravo Bik, interessante argomento. Anzi direi la base di tutte le diatribe tra me e chi sappiamo.


“molto spesso alcuni sostenitori dell'assoluto in campo religioso utilizzano il genere di argomentazioni proposto da pcerini per sconfessare la posizione relativista degli agnostici e degli atei.

In sostanza, rifacendosi a Platone, essi dicono che 'se la verità è relativa', allora è anche relativo che anche la verità è relativa. Ne conseguirebbe, a loro dire, che il relativismo si autoconfuta da solo. “



A tal proposito Bik ti consiglio di leggere “di nessuna chiesa “ del Prof. di filosofia della scienza alla statale di Milano Giulio Giorello. In quel testo è riportato anche ciò che tu stesso hai scritto poco sotto ! Difatti il “tutto è relativo” in realtà non si autoconfuta affatto giacché è una semplice constatazione fattuale e si colloca in una dimensione meta-linguistica al pari delle proposizioni che si occupano del linguaggio stesso.


“Peccato che tali sostenitori platoniani allo stesso tempo credano che non esistano fatti ma solo interpretazioni”



Esatto. La mia posizione, come quella di tutti gli scienziati (che se non la pensassero come me smetterebbero di investigare la natura) è la seguente:

è vero che esiste sempre una componente interpretativa, ma, come si è detto è una “componente” cioè non esiste solo quella, ma esiste anche il fatto. Dunque l'accadimento in se è avvenuto, il dato in se è stato rilevato, il fenomeno in se è stato osservato però esso è anche interpretato. Il problema è stabilire quanto ci sia di interpretazione e quanto di fatto in se. Ma già il voler stabilire tale percentuale implica che esista il fatto in se ! La scienza si occupa di ridurre al minimo la componente interpretativa tentando di essere il più possibile oggettiva. Il relativista razionale, cioè il contrario di quei relativisti dipinti dal pontefice, sono coloro che, come il sottoscritto, ritengono che non esista una verità assoluta o almeno non è raggiungibile dall'uomo, ma non pensano affatto che tutte le verità abbiano lo stesso valore veritativo, cioè il relativista serio non sostiene: “tutto va bene” ! Questo infatti è pari a sostenere “tutto non va bene” e siamo al nichilismo. Diciamo che il relativista è colui che accetta delle verità contingenti pur sapendo che queste potrebbero essere messe in discussione da ulteriori conoscenze. Questo atteggiamento oltre a permettere un continuo perfezionamento delle proprie conoscenze è anche la base della tolleranza e del dialogo, giacché essendo consapevoli di aver ragione ma anche di poter aver torto, si è aperti ad altre verità al contrario di chi non prevedendo nemmeno di poter essere nel torto, non accetterà mai nemmeno di fronte alle più schiaccianti evidenze, di essere nel torto.


“che poi il relativismo non è una confutazione dell'esistenza di un assoluto in sè ma semplicemente la banale constatazione dell'impossibilità della mente umana di poterlo conoscere e il consequenziale riconoscimento che esistano più verità parziali a seconda del punto di riferimento adottato”



Esattamente. A tal proposito vorrei anche affrontare l'altro baluardo dei platonisti-postgadameriani (coloro cioè che seguono al contempo Platone e l'assolutismo ermeneutico postgadameriano) cioè le cosiddette dimostrazioni. Quando un relativista moderato come me parla di dimostrazioni da un'accezione molto precisa al termine che non è quella che viene invece sostenuta dagli assolutisti di cui sopra. Dimostrazione per me non significa aver messo definitivamente la parola fine sulla questione, quando scrivo infatti dimostrato intendo sempre implicitamente fino a prova contraria. Cioè ciò che ho dimostrato non è affatto qualcosa di assolutamente conclusivo ora e per sempre ! Metto cioè in conto che qualcuno potrebbe portare prove a confutazione di tale dimostrazione, ergo, quest'ultima non è assoluta, definitiva omne tempore. Questo ovviamente però non implica che, visto che la dimostrazione non è assoluta, allora posso rifiutarla. No, sarebbe un atteggiamento irrazionale giacché se è vero che in linea teorica potrà essere confutata è anche vero che in linea teorica potrebbe non esserlo mai ! Dunque, avendo sufficienti evidenze oggi per ritenerla vera sarebbe irragionevole rifiutarla. Insomma il seguente ragionamento è palesemente illogico:

“poiché non esistono dimostrazioni assolute allora le rifiuto tutte a priori”


“Perciò la verità è relativa ma il fatto che io dica che è relativa non è a sua volta relativo perchè la mia affermazione proviene da un piano che trascende l'oggetto (la verità in questo caso) di cui io stesso sto parlando. “



Esattamente, è quello che intendevo io quando parlavo di meta-linguaggio. Giorello invece sostiene che se anche ponessimo l'affermazione “tutto è relativo” nello stesso piano del linguaggio, se ne uscirebbe ugualmente semplicemente sostenendo che anche quella proposizione è relativa. Relativa, infatti, non vuol dire falsa ma che si applica in relazione a qualcos'altro e dunque non si autoconfuta affatto perchè dire che è relativa non equivale a dire che è falsa giacchè il quantificatore “tutto”, proprpio perchè è relativo, non è inteso universalmente ma “relativamente” all'ambito d'applicazione.

Saluti
Andrea
pcerini
00lunedì 26 gennaio 2009 23:43
Se approvano il relativismo nel campo dell'ermeneutica non vedo perchè dovrebbero disconoscerlo nel campo della conoscenza religiosa cristiana.


Ma infatti una volta chiesi,senza ricevere risposta,come mai uno arriva a negare tutto (persino l'esistenza di se' stesso a momenti) per poi affidarsi alla rivelazione e alla tradizione testuale senza batter ciglio?

Capisco che sia una questione di fede,ma se non vuol essere fideismo bisogna in qualche modo ammettere una certa fattualita' come per esempio l'esistenza storica del Nazareno.Se tale esistenza non e' un fatto storico ma una interpretazione,allora tutto il castello cristiano dovrebbe a maggior ragione traballare,e invece non accade.


E quello che piu' e' strano,che uno come me non lo mette in dubbio accettandolo come fatto storico.

Bah,stranezze della vita.
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