Le due sponde del fiume chiamato libertà.
Stefano Faraoni
giovedì 06 marzo 2008
Tutto parte da quella pubblicità infingarda e populista che Daniela Santanchè, donna immacolata con cipiglio da femmina del dittatore di turno, spara sui nostri occhi ad ogni angolo di strada. "Io credo", sta scritto sui manifesti che infestano la città del loro messaggio incontinente, imperativo, come se tutta la fiducia di questa terra dovesse essere obbligatoriamente indirizzata verso chi, alieno da dubbi o mistificazioni di sorta, offre la prepotente e insindacabile bellezza del proprio messaggio.
“Io credo”. E se non avessimo timore di sminuire troppo quel sano maschilismo da ventennio che avrebbe portato un rappresentante dell’altro sesso ad aggiungere “io obbedisco, io combatto”, potremmo dire : che donna ardita, che coraggio da uomo!
Dunque questa donna crede, e immaginiamo che in primo luogo ella creda in Dio, in secondo luogo in una fede politica.
Ma noi non vogliamo questa volta mettere in discussione la bona fides di costei, la quale ha tutto il diritto di credere in chi vuole e quando vuole.
Ci interessa rivolgere la nostra attenzione su una differenza, semantica ma soprattutto concettuale. Noi riteniamo che un laico abbia una forza ben maggiore da mettere in campo, ben più robusta di una credenza o di una fede, una forza straordinariamente gentile ma al contempo generosa e foriera di crescita, riassumibile nell’espressione : "io penso".
E fra "io credo" e "io penso" passa un fiume che scava un solco profondo fra le due sponde del vivere; questo fiume si chiama libertà.
Chi crede vive l’illusione di essere libero, ma in realtà ha bisogno di un dominus, sia esso per l’appunto un dio o una fede; è in questo costante riferimento ad una credenza, che è un’idea ma anche un limite, che non può esercitare se non parzialmente i propri diritti, la propria voglia di essere uomo.
Chi pensa non conosce limiti alla propria libertà (non al proprio arbitrio), poiché tende alla realizzazione della propria maturità di essere umano, ed esercita costantemente una funzione di pensiero elastico, ben lungi dalle sclerotizzazioni mentali che sovente possiede chi sa già da dove si comincia e dove si finisce.
Se, in campo religioso, dio è l’inizio e dio è la fine, il cerchio è chiuso, non c’è spazio per la libertà. Se in politica si afferma “io credo”, viene ridotto ai minimi termini lo spazio per l’autocritica, per il dubbio, che fanno parte del corredo genetico dell’idea di libertà.
Ecco perché la laicità non contiene al proprio interno, ad esempio, il concetto di fede o di verità: perché si misura su fattori di crescita che sono il superamento del limite,la ridiscussione, l’autocritica; in parole povere, l’apertura mentale.
Il laico non ha bisogno di una giustificazione per poter vivere; il laico conosce quotidianamente una propria portentosa, miracolosa attualità: il laico vive.
Il laico non deve essere, il laico è.
La signora Santanchè appartiene alla sponda opposta del fiume, alla sponda della non libertà, quel terreno vischioso che nei secoli ha prodotto aberranti assolutismi : “così come Dio ha il diritto di sottomettere me, io ho il diritto di sottomettere altri”.
Got mit uns, dio è con noi.
La croce dei Conquistadores in terra d’America.
Il dio dell’Islam che pretende fedeltà assoluta dal musulmano e il musulmano che pretende fedeltà assoluta dalla donna e la schiavizza.
Viene da sorridere quando la Chiesa parla di libertà: in realtà alcune religioni, quelle cosiddette di salvezza (Cristianesimo ed Islam) sono l’esatta antitesi della libertà. “Io credo” è l’ammissione di impotenza, io penso è l’ammissione delle proprie potenzialità, e quindi della libertà.
Forse Giordano Bruno non se ne rendeva nemmeno conto, ma il 17 febbraio del 1600, in quella piazza dove si vendevano fiori, ha scritto sulla propria carne il più potente degli inni laici alla libertà che la storia ricordi. Sulla propria carne ha scritto “io penso”, un libro di storia che i nostri figli dovrebbero imparare a conoscere molto prima di altri.
Lo Scientista
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