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Morale laica

Ultimo Aggiornamento: 11/02/2018 15:18
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08/02/2018 11:14
 
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La morale laica
Che cos'è la morale laica? Quali fondamenti ha? Da quanto tempo esiste? Da sempre la
filosofia s'interroga, facendo ricorso alla ragione, sulle maggiori questioni morali. Ed i
grandi filosofi classici hanno spesso posto importanti basi per la ricerca del buono oltre
che del vero. Ma, nel linguaggio moderno, per morale laica s'intende una morale “non
confessionale”, che non faccia riferimento a nessuna forma di teologia morale.
Quest'indipendenza dalla religione si traduce, almeno in occidente, come indipendenza
dal cristianesimo e dai suoi valori. La morale laica intende presentarsi come una libera
conquista della ragione che, disancorata dalla Parola di Dio, sarebbe in grado di definire
da sé il bene ed il male. I comandamenti ed il Vangelo non vengono pertanto più visti
come normativi del comportamento, anzi vengono spesso intesi come impedimenti verso il
raggiungimento di formulazioni universalmente condivise. Anche la Chiesa viene di
conseguenza vista come istituzione che condiziona la vera libertà di scelta. La morale
laica non ama però autodefinirsi come “morale non confessionale” o “morale non
cristiana”, perché si arroga il diritto di poter essere condivisa anche dai cristiani,
rivendicando a sé un ruolo “al di sopra delle parti”, e pertanto ponendosi come punto di
riferimento universale ed accettabile da tutti. E' la ragione umana, sostiene la morale laica,
a stabilire il metro di misura morale delle nostre azioni. L'appartenenza ad una
confessione religiosa è visto anzi, nella mentalità “laica”, come una difficoltà oggettiva
verso l'autonomia morale. Non a caso, infatti, la morale laica nasce in contemporanea col
grande fenomeno del secolarismo. Il tempo viene visto dai secolaristi non più come il
luogo di esperienza del sacro, dell'eterno, ma come semplice dimensione orizzontale,
saeculum appunto: ininterrotto svolgersi dei secoli lungo una linea orizzontale senza
principio né fine, e non una spirale ciclica che tende verso Dio. Questa visione laicista
della storia fu figlia dell'illuminismo più deteriore: non l'illuminismo italiano inaugurato dal
Muratori e giunto attraverso il Verri e il Beccaria fino al Manzoni, ma l'illuminismo
anticlericale di stampo francese che fece della ragione una dea da adorare, ed ai piedi
della quale sacrificare coloro che ancora si riferivano all'assoluto. Non a caso fu in quel
periodo che si tentò di ristrutturare il calendario degli anni, dei mesi, e dei giorni. Il tempo
ricominciava dall'anno zero secondo un nuovo ordine dei secoli. In contemporanea con
questo processo di scristianizzazione del mondo, si affermò sempre più, tra il settecento e
l'ottocento, l'idea che l'uomo non aveva più bisogno di Dio. Laicismo, razionalismo,
scientismo posero le basi teoriche di questo nuovo atteggiamento “religioso”. Anche la
natura, inizialmente dea, veniva poi piegata come strumento dell'utile. Erano gli anni in cui
tutto veniva sezionato e studiato con freddo spirito di catalogazione, mammiferi ed uccelli
esotici venivano impagliati a migliaia per il culto dell'osservazione, farfalle e coleotteri
venivano infilzati e racchiusi in bacheche; gli anni in cui il cranio di Bernadette di Lourdes
veniva misurato e tastato, mentre l'antropologia darwinista stabiliva quella superiorità di
alcune razze umane sulle altre, che tanto danno fece nelle mani delle ideologie
nazionaliste. Se non c'era più bisogno di Dio e della Chiesa, c'era ancora bisogno di una
morale? L'uomo secolarizzato non amava definirsi un immorale, ed anzi sosteneva che
una morale fosse possibile anche senza fare riferimento alla fede. Fu così coniato il
termine “morale laica”, e, per un po', la grande illusione di poter conservare e tramandare
ugualmente i grandi valori morali fu resa possibile dal fatto che, anche se la testa era atea,
il cuore conservava in sé l'educazione trasmessa dai padri. Ma quando emerse il
fallimento educativo di questa impostazione, le nuove generazioni si scoprirono atee sia
nella testa che nel cuore: il soggettivismo prese il posto del relativismo, il nichilismo quello
del secolarismo, il cinismo quello del laicismo. Man mano si scoprì che il grande mito di
una morale fondata su valori “universalmente condivisi” s'infrangeva contro totalitarismi e
fondamentalismi, che quei valori non condividevano affatto. La tempesta del '68 fece il
resto, e la morale “laica” con cui molti intellettuali avevano fatto orgoglioso sfoggio di sé,
naufragò nei suoi evidenti risultati. Oggi si è ridotta ad una sola affermazione ed un solo
principio: “la morale è che ognuno può costruirsi una propria morale”. Non è nemmeno più
importante che i valori siano “universalmente condivisi”: l'importante è che siano condivisi
da me. L'io diventa quindi l'arbitro assoluto del bene e del male, e le sue decisioni
comportamentali non devono essere messe in discussione nemmeno dall'io degli altri.
Persa la sua dimensione comunitaria, l'io si riduce così ad una monade isolata, che non
opera più per il bene comune, e non riuscendo nemmeno a raggiungere la propria felicità,
sprofonda in una solitudine sempre più abissale.



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