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La fede, la filologia, la libertà

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    Claudio Cava
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    00 18/07/2008 18:23

    di Franco Cardini - 06/05/2008

    Fonte: francocardini


    Alcuni giorni fa, il quotidiano “Avvenire” mi ha chiesto di commentare un articolo di Luciano Canfora comparso qualche giorno prima su “Il Corriere”, e che in realta corrisponde ad alcune pagine del suo ultimo libro. Ho redatto un pezzo piuttosto lungo, che naturalmente non ha potuto essere ospitato dal giornale della commissione Episcopale Italiana nella sua interezza e che e stato quindi pubblicato ridotto a un elzeviro piuttosto breve, che mi sembra rispecchi nella sostanza il mio parere, ma che forse – come sempre capita in questi casi - ne espunge alcuni aspetti. D’altronde, molti Amici mi hanno chiesto di poter disporre del suo testo integrale. Ecco qua.

    Il titolo dell’ultimo libro del mio vecchio e caro amico Luciano Canfora, Filologia e liberta (Mondadori) e atticamente scarno e laconicamente conciso. Piu ellenico di cosi...
    Ma la cosa splendida, affascinante e – per chi, come me, ha studiato con Giacomo Devoto e Gianfranco Contini – addirittura commovente sta nel tottotitolo: la dove si dichiara che la filologia e “la piu eversiva delle discipline”, attraverso cui passano “l’indipendenza di pensiero e il diritto alla verita”. Non si puo non esser colpiti da questa dichiarazione; e non si puo non concordare profondamente con essa. Del resto, Canfora lo dimostra lucidamente.

    Il che non significa che si possa, e tantomeno si debba, essere in tutto d’accordo con lui. Prendiamo per esempio quanto egli ha pubblicato sotto forma di saggio, su “Il Corriere della Sera” del 24 aprile scorso, e che costituisce se non ho capito male il secondo capitolo del suo libro ( che confesso di non aver ancora letto: quanto segue si fonda pertanto solo su questo articolo, con tutti i rischi di fraintendimento che cio comporta).
    Luciano Canfora e obiettivamente uno dei nostri migliori e piu lucidi intellettuali. E, a scanso d’equivoci, dichiaro esplicitamente di trovarmi quasi sempre in toto d’accordo con lui: anche sul piano delle valutazioni politiche. Non c’e tuttavia dubbio, e non ho alcuna difficolta ad ammetterlo, che il mio articolo si configura come una specie di - dal mio punto di vista di cattolico militante - doverosa difesa d’ufficio di Santa Romana Chiesa.

    Canfora dichiara dunque con molta convinzione che il cammino della storia della liberta di pensiero si snoda “attraverso il faticoso e contrastato dispiegarsi delle liberta di critica sui testi che l’autorita e la tradizione hanno preservato. Il campo in cui primamente in eta moderna tale liberta provo a dispiegarsi fu quello delle ‘scritture’ dette appunto ‘sacre’ “; e prosegue poi con vari argomenti, come quello secondo il quale vi sarebbe detitio principii , da parte delle Chiesa cristiane storiche – e anzitutto di quella romana – il pretendere che i testi scritturali dichiarati “canonici” contengano la Verita (e siano pertanto, in quanto ispirati da Dio, sacri) prescindendo da una loro precisa ricostruzione, quale appunto si puo conseguire solo attraverso il lavoro filologico: che “solo dopo aver ricostruito il testo si dovrebbe approdare (eventualmente) a scoprire quale verita esso contenga”.

    E’ evidente che Canfora non puo far torto alla sua intelligenza e alla sua cultura – ne aspettarsi che cadiamo nel suo tranello – allorche pretende di applicare un’argomentazione di carattere logico e razionale a qualcosa che per sua natura e, quanto meno iuxta Romanae Ecclesiae principia, metalogico e metarazionale (libero poi chi vuole di definirlo, invece, illogico e irrazionale o alogico e arazionale). Alludo evidentemente al principio della verita Rivelata e al dogma. Che i testi scritturali contengano (ed e ormai quasi bimillenaria la polemica circa i modi e i sensi secondo i quali cio avvenga) la Verita – con la maiuscola: cioe, appunto, quella rivelata: ego sum Via, Veritas, Vita... – e materia di dogma, non d’induzione ne di deduzione. D’altronde, il dogma sta alla fede come il postulato alla matematica: una volta stabilito un fondamento che per sua natura non si puo ne dimostrare, ne discutere, il resto dev’esserne dedotto secondo ragione; ma e proprio qui, mi pare, che il Logos, il Verbum del Vangelo di Giovanni si discosta dalla logica di matrice greca.

    Ed e proprio qui, mi pare, che incespichino sempre anche quei cristiani i quali ritengono che il cristianesimo, ispirandosi a “quel” Logos, sia sempre e comunque anche razionale: a differenza dell’Islam, il quale respingendo il principio della “Potenza ordinata” di Dio per rivendicare in via esclusiva la Sua “Potenza assoluta” si porrebbe dalla parte dell’irrazionalita: qui i conti non tornano: e non c’e controversista antislamico che tenga, nemmeno se si tratta del basileus Manuele II (che del resto s’ispirava, e anche piuttosto pedestremente, alle non irreprensibili ragioni del nostro buon Ricoldo da Montecroce, per giunta non irreprensibilmente tradotto dal latino in greco).

    Ma non e di cio che in questa sede si deve trattare. Revenons a nos moutons. Ora, amicus Lucianus, sed magis amica veritas. Canfora non puo aspettarsi che alle sue bordate da duecento libbre non risponda, dagli spalti di noialtri pontifici, nemmeno una timida salva di moschetteria. Piano, intanto, con la galleria degli Illustri martiri del libero pensiero, nella quale egli allinea Erasmo, Spinoza e Bruno come se fossero proprio la stessa cosa. Erasmo, intanto, non disse mai una parola contro l’ortodossia cattolica: e, se un martire in quel torno di tempo ci fu, e ce ne fu uno esemplare, si tratto semmai di Thomas More, martire al tempo stesso della fede e della liberta.

    Ma prima di loro erano successe molte cose. Come ha ricordato un grande studioso, il De Lubac, ch’era anche cardinale di santa Romana Chiesa, la compresenza di addirittura quattro sensi nelle Scritture – tutti veritieri, ciascuno al suo livello – era alla base dell’esegesi medievale, in cio gia forse qualcosa di piu che “prefilologica”. E non e stato a partire da un testo sacro, bensi da uno profano che la nascente filologia ha sgombrato in pieno XV secolo il campo da una secolare e fin ad allora condivisa menzogna, quella della cosiddetta “donazione di Costantino”: e a farlo, a tutto scapito degli interessi quanto meno mondani del papato,e stato proprio quel Lorenzo Valla che senza dubbio avrebbe ispirato Lutero per il “libero esame” delle Scritture, ma che dal canto suo – nemmeno nei trattati piu chiaramente anticuriali, come il De professione religiosorum – non si e mai allontanato nemmeno d’un pollice dall’ortodossia. Ed e proprio il Valla, prinpeps filologorum , che tanto nel De libero arbitrio quanto nelle Dialecticae disputationes ha prevenuto di mezzo millennio le critiche di Luciano Canfora ed ha ad esse replicato affermando (papale papale: e il caso di dirlo, una volta tanto) che i principii della fede sono indimostrabili e che male fanno quei teologi che cercano di ridurli alla dimensione di argomenti razionali attraverso cavillosi ragionamenti. E malissimo fanno, aggiungiamolo, quei filologi di oggi i quali dimenticano che la Chiesa si sostiene sulla fede er da essa trae i suoi principali argomenti (“fede e sustanza di cose sperate – ed argomento delle non parventi”). Ma non e stata proprio la filologia moderna, come appunto Canfora dimostra, a cercare sovente di trascinare la comunita cristiana sul piano della critica razionalista delle Scritture, con cio pretendendo da parte di essa l’abbandono e lo snaturamento della fede?

    Il punto che tutti noialtri, credenti e no, abbiamo difficolta ad ammettere e ad accettare, e che invece e inaggirabile, e che fede e ragione possono anche convivere e camminare di pari passo: ma incontrarsi, convergere, venir verificata l’una nell’altra e l’una attraverso l’altra, addirittura confondersi, questo mai. Possono certo disporre di una qualche complementarita: ma lo statuto di tale complementarita e, per definizione, inattingibile sul piano immanente e razionale. I non credenti possono pertanto vivere etsi Veritas, idest Deus, non daretur: e una loro scelta e un loro diritto. Ma i credenti debbono aver la pazienza di aspettare che la Verita, che per ora e loro solamente “rivelata”, cioe proposta come sostanza di fede ch’essi hanno la liberta di accettare o meno, venga loro squadernata nell’Altra Vita. “Fede e sustanza di cose sperate”. Tutto cio sara “irrazionale” e “antimoderno”: ma e cristiano. Prendere o lasciare: e il ricatto razionalista qui non funziona. Quando si critica la fede cristiana, specie nella confessione cattolica, e le scelte della chiesa che da essa discendono, si deve accettare questo gioco: e starci. Altrimenti si che c’e una “detizione di principio”, eccome.

    Cio premesso, perche scorgere tante penose contorsioni nel Divino afflante Spiritu di Pio XII? Perche meravigliarsi se la Chiesa, confrontandosi con la storia e il progresso scientifico e tecnologico, modifica progressivamente le sue posizioni, riconosce le verita della scienza mano a mano in cui esse emergono dalla ricerca (e la scienza stessa muta peraltro di continuo i contenuti delle sua verita), quindi rifiuta per esempio – dopo averlo a lungo e strenuamente difeso - il sistema tolemaico e accetta infine, non senza averlo prima avversato o quanto meno guardato con sospetto, anche la verita razionale contenuta nel metodo filologico?
    Tutto cio, questo cammino ascendente che la Chiesa compie con la societa, magari non senza ritardi che possono anche essere stati colpevoli, e da molti anni ormai – non dico che lo sia sempre stato... – anche oggetto di riflessione perfino ai massimi livelli gerarchici ecclesiali. Ma allora facciamo un passo in piu: diamo uno sguardo alla fenomenologia degli eventi. Solo la Chiesa ha, nella storia, avuto il coraggio di riconoscere e denunziare serenamente le colpe dei suoi figli. Lo ha fatto dinanzi alla filologia, dinanzi alla memoria di Galileo, poi per le crociate, l’inquisizione, il massacro degli indios. Puo darsi che cio non sia avvenuto per molto tempo: Canfora ha ragione, ma ha anche buon gioco, nel ricordarci il Concilio di Trento. Possiamo dal canto nostro prenderci la liberta di fargli osservare che, dopo quell’evento cinquecentesco, sono accadute nel mezzo millennio successivo anche altre cose? Possiamo ricordargli che d’altronde, nel mondo europeo segnato dall’assolutismo, i regimi dei paesi ancora cattolici cavalcavano serenamente il dogmatismo ecclesiale e la disciplina che ne derivava (Jean Bodin, funzionario regio d’un sovrano che si autodenominava “cristianissimo”, ha fatto bruciare da solo piu streghe di quante non ne abbiano fatte ardere le inquisizioni romana e spagnola messe insieme) mentre quelli protestanti, con le scuse della deformatarum rerum reformatio e del cuius regio eius religio, procuravano sistematicamente di non esser da meno? Possiamo infine fargli notare quel ch’egli sa meglio di noi, vale a dire che il “processo di laicizzazione” ha prodotto, e proprio partendo dal razionale e libertario Rousseau, nuove forme di dogmatismo e di tirannia, che magari hanno avuto anche – Lucacz insegni...- la pretesa di aver la filologia dalla loro; e che quindi nemmeno la filologia, ch’e forse necessaria, e sufficiente a garantire sempre e comunque il libero pensiero?

    Quanto alla Chiesa, il dogma certo rimane ed e irrinunziabile: ma sul piano della riconsiderazione della storia e di quella che un grande pontefice ha definito “purificazione della memoria”, credo si debba obiettivamente riconoscere che almeno da Pio XII a Benedetto XVI, attraverso Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II, c’e stata una lunga teoria di esami di coscienza e di pubbliche manifestazioni di umilta: senza infingimenti e senza occultamenti, con autentica disposizione all’ascolto e al dialogo. Non trovo alcun esempio del genere, nella storia. Mentre Pio XII pronunziava il Divino afflante Spiritu, a Berlino e a Mosca i tribunali dei Detentori Laici della Verita stavano funzionando a pieno ritmo: ed erano tribunali rispetto ad almeno alcune ragioni dei quali ne tu ne io, amico Luciano, possiamo nemmeno adesso sentirci estranei; e che non si sono mai pentiti, non hanno mai chiesto scusa. Come, tanto per limitarci agli esempi piu illustri, Sua Maesta Britannica non si e mai lasciata sfuggire dalle auguste labbra una parola di vergogna per i milioni di morti indiani, arabi e sudafricani che le gravano la coscienza (e non parliamo poi, quanto a responsabilita nei massacri coloniali, della Spagna, della Francia, del Portogallo; e forse soprattutto dei piccoli, simpatici e liberali regni del Belgio e d’Olanda...). Come mister Bush, dinanzi al Santo Padre nella sua recente visita negli Stati Uniti, ha perduto a ciglio asciutto l’occasione di chieder perdono per Guantanamo e per Abu Ghraib; e magari, a nome del suo paese, per il massacro dei pellerossa e per la bomba di Hiroshima.

    No. Nel suo cammino di “purificazione della memoria”, la chiesa e stata lasciata sola. La si e bensi accusata di reticenze e di esitazioni: ma ci si e ben guardati dal far come lei. La Chiesa da l’esempio della liberta e dell’umilta; ma gli altri non la seguono. La Chiesa continua ad esser Maestra, sia pur non di filologia: ma parla a un uditorio di pessimi scolari.

    www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=18790





    “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
    Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
  • pcerini
    00 18/07/2008 19:07
    Non mi sento di condividere in toto questa critica,perche' secondo me fa un uso troppo generalizzato dei significati derivati dai termini "laico" e "laicita'",e anzi mi meraviglio che in questa critica non vengano citate le derive ideologiche dell'ateismo (parlo ovviamente dello stalinismo).

    Sono anche disposto a riconoscere l'uso ideologico che viene fatto di una concezione,di una idea,ma non la sua completa equivalenza con l'ideologia,sono necessari dei distinguo,altrimenti sarei tentato di bollare le derive storico-ideologiche del critianesimo (leggasi Inquisizione,Crociate e altro ancora) come equivalenti al
    cristianesimo moderno.

    Ideologie e pensiero-idea-concezione sono due momenti distinti,quando quest'ultimo momento viene strumentalizzato diventa ideologia,ma non che i due momenti siano di per se' equivalenti,altrimenti anche oggi dovremmo per forza di cose considerare il comunismo di oggi come equivalente allo stalinismo.

    In secondo luogo,questa critica e' come se ci stesse dicendo che la bomba atomica sia stata per esempio un prodotto diretto di una societa' laicizzata dimenticandosi di disinguere anche qui quella che e' una mera concezione dalla sua ideologizzazione.

    E' anche vero che certe ideologizzazioni storiche hanno avuto un'impatto pesante come per esempio il nazismo,per' non bisogna dimenticare che e' a causa di determinate condizioni storico-sociali (e anche economiche) che si determinano certe ideologizzazioni di vario tipo.

    [Modificato da pcerini 18/07/2008 19:11]
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    Frances1
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    00 18/07/2008 22:55

    Luciano Canfora e obiettivamente uno dei nostri migliori e piu lucidi intellettuali.



    Luciano Canfora è il miglior filologo italiano, punto e basta. Gli intellettuali con ambizioni di filologici li lasciamo pascolare sul quotidiano “L’Avvenire”.


    Canfora dichiara dunque con molta convinzione che il cammino della storia della liberta di pensiero si snoda “attraverso il faticoso e contrastato dispiegarsi delle liberta di critica sui testi che l’autorita e la tradizione hanno preservato. Il campo in cui primamente in eta moderna tale liberta provo a dispiegarsi fu quello delle ‘scritture’ dette appunto ‘sacre’ “; e prosegue poi con vari argomenti, come quello secondo il quale vi sarebbe detitio principii , da parte delle Chiesa cristiane storiche – e anzitutto di quella romana – il pretendere che i testi scritturali dichiarati “canonici” contengano la Verita (e siano pertanto, in quanto ispirati da Dio, sacri) prescindendo da una loro precisa ricostruzione, quale appunto si puo conseguire solo attraverso il lavoro filologico: che “solo dopo aver ricostruito il testo si dovrebbe approdare (eventualmente) a scoprire quale verita esso contenga”.

    E’ evidente che Canfora non puo far torto alla sua intelligenza e alla sua cultura – ne aspettarsi che cadiamo nel suo tranello – allorche pretende di applicare un’argomentazione di carattere logico e razionale a qualcosa che per sua natura e, quanto meno iuxta Romanae Ecclesiae principia, metalogico e metarazionale (libero poi chi vuole di definirlo, invece, illogico e irrazionale o alogico e arazionale). Alludo evidentemente al principio della verita Rivelata e al dogma. Che i testi scritturali contengano (ed e ormai quasi bimillenaria la polemica circa i modi e i sensi secondo i quali cio avvenga) la Verita – con la maiuscola: cioe, appunto, quella rivelata: ego sum Via, Veritas, Vita... – e materia di dogma, non d’induzione ne di deduzione. D’altronde, il dogma sta alla fede come il postulato alla matematica: una volta stabilito un fondamento che per sua natura non si puo ne dimostrare, ne discutere, il resto dev’esserne dedotto secondo ragione; ma e proprio qui, mi pare, che il Logos, il Verbum del Vangelo di Giovanni si discosta dalla logica di matrice greca.



    Teoricamente, Canfora ha ragione. Ma la pratica la tradizione bimillenaria hanno fatto si che la chiesa sigillasse la verità in assenza della ricostruzione del testo. Il fatto è che il 70% delle verità cristiane sono state battute nei primi secoli della cristianità, quando ancora non erano stati implementati i moderni criteri filologici. Ma assumere questo dato di fatto non autorizza a porre in discussione l’assioma di Canfora, perché questa è la pratica ordinaria per qualsiasi testo letterario antico. Soltanto la Bibbia fa eccezione a questa pratica, ma non per scelta intenzionale dei filologi, quanto per tradizione ecclesiastica.
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    00 22/07/2008 12:38
    Re:
    Frances1, 18/07/2008 22.55:


    Luciano Canfora e obiettivamente uno dei nostri migliori e piu lucidi intellettuali.



    Luciano Canfora è il miglior filologo italiano, punto e basta. Gli intellettuali con ambizioni di filologici li lasciamo pascolare sul quotidiano “L’Avvenire”.

    Teoricamente, Canfora ha ragione. Ma la pratica la tradizione bimillenaria hanno fatto si che la chiesa sigillasse la verità in assenza della ricostruzione del testo. Il fatto è che il 70% delle verità cristiane sono state battute nei primi secoli della cristianità, quando ancora non erano stati implementati i moderni criteri filologici. Ma assumere questo dato di fatto non autorizza a porre in discussione l’assioma di Canfora, perché questa è la pratica ordinaria per qualsiasi testo letterario antico. Soltanto la Bibbia fa eccezione a questa pratica, ma non per scelta intenzionale dei filologi, quanto per tradizione ecclesiastica.



    D'accordo con il tuo pensiero, in toto.


    Furba la dirigenza cattolica.
    Come dire ai filologi:
    Voi investigate e ricostruite, tanto, semmai dovesse accadere che il frutto della vostra ricerca collida con le nostre verità di fede, avete fatto un buco nell'acqua,
    tanto noi continueremmo ad attenerci alla nostra fede, che esula da ogni ricostruzione dei testi sacri.
    Diversa è la posizione del protestantesimo e, perciò, più attaccabile.

    IN pratica così si esprimerebbero quei signori dalle vesti lunghe: non ce ne frega niente del lavoro della filologia quando questa mettesse in discussione la NOSTRA VERITA' CHE E' UNA VERITA' RIVELATA, perciò dogmatica.

    Vi rendo il pensiero con più delicatezza dalla stesso giornale:


    "Ed e proprio il Valla, prinpeps filologorum , che tanto nel De libero arbitrio quanto nelle Dialecticae disputationes ha prevenuto di mezzo millennio le critiche di Luciano Canfora ed ha ad esse replicato affermando (papale papale: e il caso di dirlo, una volta tanto) che i principii della fede sono indimostrabili e che male fanno quei teologi che cercano di ridurli alla dimensione di argomenti razionali attraverso cavillosi ragionamenti. E malissimo fanno, aggiungiamolo, quei filologi di oggi i quali dimenticano che la Chiesa si sostiene sulla fede er da essa trae i suoi principali argomenti (“fede e sustanza di cose sperate – ed argomento delle non parventi”). Ma non e stata proprio la filologia moderna, come appunto Canfora dimostra, a cercare sovente di trascinare la comunita cristiana sul piano della critica razionalista delle Scritture, con cio pretendendo da parte di essa l’abbandono e lo snaturamento della fede?"


    Allora è vero che la filoliga tocca il piano della fede, cosa che invece a me è stata contestata a tambur battente.
    Non ho avanzato un'affermazione del genere, diretta a Bicchy?:
    "Se tu credi per fede non te ne può fregar di meno della filologia, o, magari, essa ti potrebbe servire solo per portare acqua al tuo mulino".
    Un pò la stessa discussione con l'amico Nicolotti.

    Molto più chiara ed esplicita Frances, anche se siamo scesi, senza volerlo e tutto sommato fraintendendoci, sul campo di battaglia ... ma io ti voglio bene lo stesso Frances, nè ho minimizzato sulla tua cultura filologica, che apprezzo ed ammiro e, al tempo giusto e per ragioni opportune, avremo modo di confrontarci, bontà tua, anche su quella.

    Un caloroso saluto

    Pyccolo


  • pcerini
    00 22/07/2008 12:49
    Tieni presente pero' che e' la stessa filologia a dover raddrizzare a volte il tiro di certe interpretazioni poco coerenti che sconfinano sul piano della fede,ne abbiamo un'esempio proprio con una discussione avuta sul versetto di Luca 1:28 che rappresenta un caso limite.

    Su questo caso limite la filologia si attiene strettamente sul piano tecnico mentre i mariologi forzano l'interpretazione in senso dottrinale.

    Credo che questo sia proprio uno di quei casi limite in cui un teologo o mariologo forza una traduzione senza valide motivazioni di ordine scientifico.

    Alcune volte il lavoro dei filologi si pone proprio in antitesi con certe interpretazioni meramente "dottrinali".

    Mi viene in mente un'articolo in inglese che feci tradurre che conteneva una accurata analisi sul piano filologico di filippesi 2:6, e una tale analisi criticava le presunte certezze trinitarie legate a tale versetto (una analisi talmente lunga e complessa che ci ho messo dei giorni per studiarla).
    [Modificato da pcerini 22/07/2008 13:01]
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    pyccolo
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    00 22/07/2008 13:03
    Re:
    pcerini, 22/07/2008 12.49:

    Tieni presente pero' che e' la stessa filologia a dover raddrizzare a volte il tiro di certe interpretazioni poco coerenti che sconfinano sul piano della fede,ne abbiamo un'esempio proprio con una discussione avuta sul versetto di Luca 1:28 che rappresenta un caso limite.

    Su questo caso limite la filologia si attiene strettamente sul piano tecnico mentre i mariologi forzano l'interpretazione in senso dottrinale.

    Credo che questo sia proprio uno di quei casi limite in cui un teologo o mariologo forza una traduzione senza valide motivazioni di ordine scientifico.

    Alcune volte il lavoro dei filologi si pone proprio in antitesi con certe interpretazioni meramente "dottrinali".




    Bene Paolo,
    finchè la filologia non è usata per scardinare l'intero impianto dottrinale cattolico e, soprattutto, il potente potere religioso ... allora qualche occhio si potrà chiudere; solo a queste condizioni sono disponibili a piccoli gradi di ripiegamento.
    Per questo ho detto che non mancherà occasione per discutere sul testo biblico dal punto di vista delle risultanze filologiche.

    Saluti

    Pyccolo


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    Claudio Cava
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    Papa
    00 22/07/2008 14:54
    Re:

    pyccolo:
    "Se tu credi per fede non te ne può fregar di meno della filologia, o, magari, essa ti potrebbe servire solo per portare acqua al tuo mulino".
    Un pò la stessa discussione con l'amico Nicolotti.




    Guarda cosa ho trovato in rete per puro caso.


    La vittoria della ragione di R. Stark,
    recensione di A.Nicolotti

    Argomento: Libri e studi

    Rodney Stark, La vittoria della ragione.
    Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza

    Torino, Lindau, 2007, traduzione di Gabriella Tonoli; edizione originale The Victory of Reason. How Christianity Led to Freedom, Capitalism, and Western Success, New York, Random House, 2005. Recensione a cura di Andrea Nicolotti.

    L'editore Lindau di Torino si è assunto l'onere di pubblicare una traduzione italiana di questo volume che fa parte di una trilogia dedicata alla sociologia dei monoteismi; nel 2001 infatti era uscito One True God, e nel 2003 For the Glory of God. L'autore è professore emerito di Scienze Sociali alla Baylor University di Waco, in Texas, già noto fin dal 1996 per il suo The Rise of Christianity, un libro dedicato ai motivi che portarono al successo del cristianesimo nell'antichità. Il presente volume può essere considerato un attacco frontale alla ben nota tesi di Max Weber, esposta nel 1905 nel saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, secondo la quale vi sarebbe stato un rapporto di filiazione diretta tra la teologia di alcune confessioni protestanti (soprattutto la calvinista e, in misura minore, la pietista tedesca e la quacchera) e la mentalità capitalistica. Il rigetto di questa spiegazione, in verità, era già stato proposto da altri studiosi, tra i quali H. Pirenne, secondo cui il capitalismo era nato già nel Medioevo, e dunque non poteva essere in alcun modo collegato alla Riforma. Stark si colloca su questa scia, affermando che la nascita della libera impresa, del credito e del profitto commerciale precedono di secoli la Riforma, volgendo lo sguardo alle repubbliche marinare italiane o all'attività economica protocapitalista dei grandi ordini monastici; ma si spinge più in là, dichiarando che il protestantesimo non può che aver danneggiato e ritardato il progresso di questo tipo di economia.

    Nella prima parte del libro, intitolata Le fondamenta, l'autore pone le basi del suo ragionamento, basato su una sua personale convinzione secondo la quale il concetto di divinità proposto da ciascuna religione ha avuto delle conseguenze pratiche sulla società. La teologia cristiana lascia largo spazio all'uso della ragione, e spinge l'uomo ad una continua ricerca nella comprensione razionale di Dio stesso e del suo creato. L'idea di una conoscenza continuamente in crescita e perfezionamento, in contrasto con l'idea di coloro che guardano con decadente nostalgia ad una passata età dell'oro, avrebbe facilitato l'evolversi non solo delle scienze logiche pure e teologiche, ma anche pratiche, in una maniera davvero scientifica. Il paganesimo e l'islam, che crederebbero in divinità talora irragionevoli e capricciose, svincolate dalle leggi della logica, sarebbero rimasti privi di quest'interesse scientifico per l'indagine di Dio e del mondo da lui creato ed ordinato. L'ebraismo, invece, pur portatore di un messaggio potenzialmente altrettanto efficace, sarebbe stato ostacolato nel proprio progresso economico dalle difficili vicissitudini della diaspora. Stark individua nel medioevo l'era in cui avvenne lo sviluppo dei tre fondamenti dell'economia moderna: la scienza, la libertà personale e la difesa della proprietà privata, concetti tutti ampiamente sviluppati e discussi dai teologi scolastici medievali. Un persistente pregiudizio anticattolico tuttora non scomparso avrebbe avuto larga responsabilità, a suo dire, nell'inaccettabile mistificazione dell'epoca medievale, dipinta come “l'era dei secoli bui”. Un particolare "uso della ragione" europeo avrebbe invece portato l'Europa cristiana a surclassare tutte le altre civiltà; all'epoca delle grandi scoperte geografiche i viaggiatori avevano ottimi motivi per stupirsi dell'arretratezza in cui gli altri popoli non cristiani erano rimasti. Nella parte seconda, intitolata Il compimento, l'autore traccia una storia dello sviluppo del capitalismo, soffermandosi soprattutto sul contributo italiano (università, banche e assicurazioni) che venne esportato nelle altre nazioni cattoliche dell'Europa. Gli elementi necessari per garantire la fioritura del capitalismo sono tre: la libertà politica, il riconoscimento del diritto alla proprietà privata e lo sviluppo culturale. Proprio a causa del venir meno della prima condizione l'Italia subì nel diciassettesimo secolo un periodo di decadenza, a causa delle invasioni straniere subite dalla penisola e dell'affermarsi di un modello centralistico e assolutistico, già responsabile del mancato sviluppo della Spagna e della Francia. Anche per quanto concerne l'epoca moderna, l'autore pensa di poter rinvenire una differenza di atteggiamento politico ed economico tra i credenti impegnati e coloro che non lo sono; per questo, si rifà agli studi svolti in America Latina da parte del sociologo Anthony Gill. La conclusione è chiara: responsabile del progresso della civiltà occidentale, non solo dal punto di vista economico, è il cristianesimo; il libro si conclude con una dichiarazione di un intellettuale cinese, secondo il quale "le basi morali cristiane della vita sociale e culturale sono state ciò che ha permesso l'emergere del capitalismo e poi la riuscita transizione verso politiche democratiche". Non sono in grado di giudicare le conclusioni del libro, ma è evidente la dirompenza delle sue tesi; al posto delle spiegazioni addotte in passato per spiegare la fortuna dell'Occidente (alcune delle quali, come quella della sua felice configurazione geografica, totalmente indipendenti dalla volontà dei suoi abitanti) si ricorre all'argomento della teologia cristiana, la quale avendo abbracciato la strada della logica e del pensiero deduttivo avrebbe aperto la strada alla libertà e al progresso. Le conclusioni di Stark sono ora disponibili per il dibattito scientifico il quale, si può immaginare, sarà intenso. FONTE: Fonte: www.christianismus.it

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    “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
    Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
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    Claudio Cava
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    Utente Gold
    Papa
    00 22/07/2008 15:06
    Re: Re:

    A me sinceramente si e' spenta la luce dopo 4 frasi.

    Vittoria della ragione, razionalita' nel credere in Dio....

    Il Cristianesimo ha prodotto benessere, progresso e ricchezza...


    Mah, avranno ragione loro, i cervelloni.
    E io sono troppo ignorante.

    DEVO STUDIARE.


    [SM=x789048] [SM=x789048] [SM=x789048]


    Ciao
    Claudio






    “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
    Joseph Pulitzer (1847-1911), Fondatore Premio Pulitzer
  • pcerini
    00 22/07/2008 15:07
    Re: Re:
    Adesso ho capito come liberarci della dittatura berlusconiana e della crisi economica italiana:

    rinchiudiamo in un seminario o in un convento Berlusconi e Tremonti per un certo periodo di tempo....dopo vediamo che succede.

    [SM=x789051] [SM=x789051] [SM=x789051]
    [Modificato da pcerini 22/07/2008 15:07]
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    Claudio Cava
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    Papa
    00 22/07/2008 15:12
    Re: Re: Re:
    Il Cristianesimo ha prodotto benessere, progresso e ricchezza...


    Benessere e ricchezza di sicuro: a Vaticano e Chiesa Cattolica.

    In quanto al progresso, c' ha pensato la stessa CC. [SM=x789048]

    A ritardarlo il piu' possibile.

    Ciao
    Claudio

    [Modificato da Claudio Cava 22/07/2008 15:13]





    “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti, descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sè non è forse sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
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