| | | OFFLINE | | Post: 6.196 Post: 1.221 | Città: ACCIANO | Età: 39 | Sesso: Maschile | Utente Master | Arciprete | |
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06/08/2008 20:00 | |
Chomsky è un teorico della comunicazione.
Questa è una sintesi:
"Poiché la conoscenza di una lingua è per Chomsky capacità di produrre e comprendere un numero virtualmente infinito di frasi, cioè anche frasi nuove, mai prodotte o udite prima, di questo deve dar conto una grammatica." (WP)
Egli dice cosa è possibile costruire con il linguaggio e gli strumenti che lo regolano. In fondo si avvicina molto al pensiero degli analisti della parola. C'è però una differenza sostanziale che va colta e sulla quale potremo parlare.
Qualcosa di simile avevo riferito anch'io con uno dei post di questo thread che qui riporto:
"Perfetto.
La verbalizzazione del pensiero non è mai identica al pensiero che l'ha originata, ma un tentativo, a volte felice, altre volte infelice, di far dire alle parole le intenzioni del pensiero.
E' come la musica.
Essa si origina nel pensiero e poi trasformata in note che, per quanto tentino di ripetere, una volta messe su carta, la sinfonia che si è originata nel pensiero, non trametteranno mai la musica che si intendeva far ascoltare.
Le note di uno spartito sono il corrispondente dell'alfabeta in una lingua. La lora miscela dà luogo ad un'infinità di musiche e di parole, senza soluzione, all'infinito, eterne.
Una nota di per sè non dice nulla, mentre più note originano un motivo, che noi possiamo scrivere e catalogare e risentire dopo secoli, ma non sarà mai la sinfonia che si era originata nel pensiero dell'autore, ma qualcosa di simile.
Una consonante o una vocale nell'alfabeta di per sè sono segni, non dicono nulla. Miscelate insieme producono parole, che, a loro volta miscelate, producono strighe linguistiche, proposizioni, che, messe insieme, produno trattati, racconti, libri, compresi i libri sacri.
Quante volte noi vogliamo esprime diversamente un pensiero e non troviamo parole adatte?
Per questo una stringa linguistica non è mai identica a sè, mai identica al pensiero che s'è composto nella mente ... è solo un tentativo di tradurre al meglio in parole un pensiero.
La difficoltà del mettere giù una poesia non sta nel pensarla, ma nel trovare il modo per trasmetterla, ovvero le parole adatte a renderla.
Le note musicali sono sette, ma fra una nota e l'altra c'è un bemolle o un diesis (le mezze note), rendendo la scala musicale complessivamente di 12 fra note e mezze note.
Se ci pensiamo bene fra una nota e l'altra ci sono infiniti suoni. Se però noi abbiamo un pianoforte è impossibile ricavare tutte le sfumnature di suoni intercorrenti fra una nota e l'altra.
Uno dei pochi strumenti musicali che si potrebbe prestare, come di fatto si presta, a rendere una gamma di suoni praticamente e teoricamente infiniti è il violino, che è uno strumento che può rendere il concetto di allegria, di pianto, di lamento, di rapidità etc., meglio di qualunque altro strumento.
Dicasi la stessa cosa delle parole. Il violino, in un certo senso, è il nostro vocabolario al quale, già ricco, vengono coniate e poi aggiunte sempre nuove parole, allo scopo di trasmettere sfumature diverse del pensiero.
Il problema è che, con le parole, il compito di trasmettere attraverso di esse un significato è più complesso che con la musica.
La musica si ascolta ed è universale, può essere gustata e condivisa da chiunque ed in chiunque può trasmettere sensazioni diverse.
Non così con le parole.
Esse sono come scatole vuote.
Han bisogno d'essere riempite di significato, di senso.
Accade che in una stessa scatola (parola), non avendone a disposizione altre vuote perchè non c'è la voglia di farle (coniarle), si immettono una molteplicità di significati, fino a stare stretti.
Pensate ai significati della parola "amore".
Per questo è necessario coniare nuovi termini.
La difficoltà più grossa è recepire il linguaggio altrui.
Per farlo gli alfabeti e le parole devono essere condivise da un certo numero di persone, qual'è, ad esempio, una nazione; ma, come si sa, all'interno di una stessa nazione, regione, fra paesi e paesi cambiano accenti e significati. Per non parlare fra nazione e nazione.
Per questo un insieme di parole possono dar luogo ad una lingua ed a più lingue, o, se vogliamo, ad infinite lingue.
C'è forse qualcosa, quant'anche di astratto, che non si identifichi con parole (a parte i gesti, che sono un'ulteriore modo di trasmettere il pensiero)?
Se le parole trovano la loro origine nella creatività umana, allora il linguaggio, inteso come struttura pensante (una specie di programma), è ciò che crea tutto, da uno spillo all'ambulanza, al concetto di amore e di odio, ma anche di sacro e di astratto.
Tanti saluti
Pyccolo
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